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L'intervista

Gaia Mologni: “Le mie poesie ricordano alle persone di chiedere aiuto quando si soffre”

In arte Grebxy, la scrittrice parla a cuore aperto della sua esperienza da autrice di poesie, ricordandoci come sia giusto mostrare le nostre fragilità

Piccola presentazione per chi ancora non ti conoscesse: chi è Gaia Mologni, e ha un significato lo pseudonimo Grebxy?

“Per quanto suoni assurdo dato che ho scritto poesie che parlano della mia vita, dare una descrizione di me stessa la trovo una cosa estremamente difficile. Anche perché mi reputo in continuo cambiamento e credo non ci sia una vera certezza su chi sono.
Mi sono sempre sentita una ragazza qualunque che, purtroppo, ha vissuto una delle sofferenze più grandi che, una qualunque persona di diciassette anni, non si augura nemmeno al proprio peggior nemico: perdere un genitore per un gesto estremo, una scelta e non una malattia.
Sono una persona a metà da quel preciso momento e mi va estremamente bene perché non mi dispiace chi sto diventando, nonostante l’immensa malinconia che mi porto sempre sulle spalle. Per quanto io cerchi di nasconderla, chiunque sappia osservare meglio potrebbe vederla. Grebxy nasce proprio come mio bisogno di dare un nome alla parte mancante di me. È lo pseudonimo che utilizzo proprio perché sarebbe molto più difficile mostrare il dolore abbinato al mio nome. Grebxy mi fa sentire più compresa e forte, perché è grazie a questo pseudonimo che sono riuscita a liberare le caviglie dai massi che mi stavano trascinando nel mio abisso. Difficile da comprendere questo concetto, ma è stato come accettare quella parte ormai mancante che nessuno potrà mai cambiare o riempire”.

Hai terminato la scuola per parrucchieri e poi la svolta: l’università di lettere, con il sogno intraprendere il tuo sogno nel mondo dell’editoria. È Stata la tua ambizione o è successo qualcosa che ti ha fatto capire che quella era la strada da percorrere?

“Non mi sono mai reputata una persona ambiziosa, sono sincera. Non penso lo sarò mai. Semplicemente la vita che avevo mi stava stretta e mi sono detta che ero troppo giovane per accontentarmi di qualcosa che mi faceva più male che bene. Facevo la parrucchiera per mio papà, non per me. Stavo vivendo per lui e non per me. La scelta di proseguire gli studi è stata legata solo al bisogno di cambiamento, l’università solo perché i libri sono sempre stati il mio mondo. Niente di più, niente di meno. Ho cambiato la mia vita non per ambizione, ma per la mia salute mentale. Ora ho un lavoro umile in libreria che mi rende estremamente felice e non potrei chiedere di meglio”.

Hai all’attivo due raccolte di poesie, “Costellazione di un’anima” e “Il mio abisso”. In entrambe ti sondi la tua anima a 360 gradi, tra emozioni, sentimenti ed esperienze molto personali. È stato difficile per te affrontare questo passaggio o ti viene naturale metterti a nudo di fronte ai tuoi lettori?

“È stato estremamente difficile per me. Chi mi conosce sa molto bene quanto io non sia in grado di mostrare le mie debolezze, sono sempre stata convinta che avrei dovuto essere forte per non essere colpita. Alla fine ho compreso che mostrare le mie debolezze mi avrebbe resa solo più forte, perché si qualcuno potrebbe usarle contro di me, ma sono cose che io ho superato e che quindi riuscirei ad affrontare. E poi, c’è troppa finzione, nel mio piccolo volevo dare alle persone la possibilità di comprendere che si può scegliere e che è giusto stare male e chiedere aiuto. Che la felicità arriva solo in quel momento. Ecco perché è nata la prima raccolta: solo ed esclusivamente per ricordare alle persone che non sono sole e che, anche se non si vede, tutti abbiamo dei dolori che teniamo dentro per paura di non essere compresi.
Quindi per rispondere alla tua domanda: non è stato facile mettermi a nudo, ma è stato giusto”.

Venendo alla tua pubblicazione più recente, “Il mio abisso”, nell’introduzione lasci che ci si perda nel “tuo” mare, e ti auguri che le tue parole possano lenire il dolore che ognuno di noi porta con sé. Quanto peso hanno le parole ai giorni nostri? Pensi che si abbia perso un po’ di sensibilità ed empatia nei confronti del prossimo?

“Questo è un discorso molto complesso da fare, ma le parole feriscono molto più di tante altre cose. Ti si imprimono dentro e ti ritornano in testa quando sei più debole, perché il nostro cervello è davvero cattivo con noi.
Credo che i social abbiano tolto l’essenza del guardarsi negli occhi e vedere il momento esatto in cui le parole distruggono l’altro individuo. È solo così che ci si ricorda di essere umani, purtroppo. Perché di fronte ad uno schermo è più facile, non vedi e non percepisci la sofferenza altrui. Ti senti solo soddisfatto di aver detto qualcosa di cattivo, convinto di avere ragione e senza spazio di vera comunicazione.
Io nel mio evito queste situazioni, perché resto sempre dell’idea di essere responsabile di quello che dico e scrivo, ma non di quello che qualcun altro comprende per comodità personale”.

Nel tuo libro affronti alcuni temi attuali, come la violenza, il suicidio, il dolore per la scomparsa di un affetto, temi considerati dei tabù, perché difficili da affrontare, sia per le vittime che per chi ascolta. Pensi che negli ultimi tempi la comunicazione di questi temi sia migliorata, ci sia più consapevolezza e coraggio, oppure stiamo facendo marcia indietro?

“Nessuna marcia indietro, anzi, penso che su questi temi si stia pian piano sensibilizzando. Lo si vede nei film e nei libri.
Essere figlia di un suicida mi ha portato tanti problemi quando è accaduto nel 2015: sguardi di compassione, incapacità di comprendere il dolore e il costante bisogno di sparlare sul perché e per come. Mi ricordo che per almeno i tre anni successivi evitavo di dire come fosse morto mio papà, era più semplice. Sicuramente c’è ancora tanto da fare, perché la salute mentale è qualcosa che al giorno d’oggi dovrebbe essere presa in estrema considerazione e, invece, viene spesso sottovalutata. Come chi si autodiagnostica malattie mentali sminuendo chi realmente ne soffre e finendo per far sentire chi combatte ogni giorno ancora più incompreso. Bisogna ricordarsi che se qualcosa non lo si capisce, non significa che non sia reale per altri”.

 

depressione - foto da pixabay

 

Prima ancora che scrittrice, sei una lettrice incallita. Sulla tua pagina Instagram ti diverti a recensire libri di tutti i tipi, ma cosa significa perché leggere?

“Leggere per me è pura evasione dalla vita. Motivo per cui cerco sempre di non leggere libri troppo legati alla realtà che già vivo. Quando leggo ho necessità di sentirmi serena e lontana da tutti i vari problemi. Non avendo fratelli o sorelle, per me la lettura è sempre stata la compagnia che ho sempre ricercato quando stavo in casa da sola. È come vivere più vite contemporaneamente. Un toccasana per la mente”.

A proposito di lettura, recentemente è uscita la classifica AIE dei libri più venduti in Italia nel 2023, dove spicca al primo posto “Spare” del principe Harry e “Il mondo al contrario” del generale Vannacci, il più discusso per i temi sessisti e omofobi affrontati al suo interno. Che chiave di lettura dai a questa scelta fatta dagli italiani? Ti preoccupa?

“Non mi preoccupa, perché le classifiche si basano sulle vendite e lavorando in libreria ho visto che metà delle persone che hanno comprato questi libri non erano mai entrati in vita loro in una libreria, così come ho avuto modo di notarne l’età. Per il resto preferisco non esprimermi e dedicarmi ai giovani lettori”.

Obiettivi e progetti in cantiere?

“Attualmente sto tentando di scrivere un romanzo, forse due, ma è tutto molto incerto. La scrittura per me è un hobby, non voglio forzarla e rovinarla. Mi piace vivere giorno per giorno, che io poi pubblicherò altro o meno”.

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