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Area di Sosta

Area di sosta

Dalla comunità-villaggio al villaggio globale, sempre più dominati dall’incertezza: forse…

Negli ultimi decenni però stiamo davvero chiedendo troppo a noi stessi, con il rischio che il nostro cervello finisca in “over”, cioè al di sopra della sua capacità ricettiva

Bergamo. Nella civiltà contadina c’era la bussola del “passo secondo la gamba”; con le accelerazioni impresse dalla post-modernità, dove stiamo andando?

Chiedendo troppo al nostro cervello, come nel presente, corriamo un rischio…

C’è un’uscita di sicurezza dall’emergenza educativa che segna in generale, e senza confini, questo tempo? È possibile, come sostengono alcuni addetti ai “lavori”, che anche in passato i problemi dei comportamenti adolescenziali e giovanili si siano sempre posti con difficoltà di soluzione. La differenza starebbe ora soprattutto in una comunicazione fattasi più tempestiva e senza limiti.
Siamo insomma nell’era dei social e le notizie corrono in tempo reale giorno e notte. A monte però la domanda cruciale è a sapere se c’è o meno un aggravamento, e quanto, della situazione a prescindere dal flusso delle notizie: che non sono l’unico e decisivo termometro della febbre tra le nuove generazioni. E gli adulti sono peraltro consapevoli delle pesanti ricadute di certi fatti&misfatti che li vedono cattivi maestri?

M’è capitato di rileggere una lunga intervista che scambiai nel lontano 1991 con Franco Zambelloni, docente di filosofia, scrittore, conferenziere, brillante suggeritore di galateo e bon ton con un illuminante compendio raccolto nel libro “Lo specchio vuoto” (editore Giampiero Casagrande, Premio Campione 1990). È una lontananza temporale quasi giurassica per la velocità impressa dalla tecnologia al nostro vivere.

In un primo raffronto tra la civiltà contadina e la fine del Novecento, Zambelloni faceva osservare che la comunità-villaggio non era certo immunizzata da tutti i fenomeni di devianza. Il grosso della società condivideva però interiormente le norme comuni e offriva ai giovani l’immagine di un modello coerente secondo valori indiscussi.
Noi, adesso, “navighiamo” in una “società liquida”, nella quale si affievolisce il senso comunitario e il covid ha dato un’ulteriore pesante botta, accentuando ripiegamento in sé stessi, chiusura e diffidenza. Nervo scoperto e sensibile, specialmente in questi settant’anni, è l’evoluzione dell’idea e del posto che hanno i valori dentro i mutamenti epocali in corso.

Già negli anni Novanta, secondo Zambelloni molti si adeguavano alle norme per indolenza, per conformismo o per paura: tutti motivi che non configurano un genuino atteggiamento etico. Nella visione del docente di filosofia, “i valori danno, invece, una volontà positiva di bene. In virtù dei valori noi sappiamo per che cosa vale la pena di vivere e, indirettamente, come bisogna vivere. I valori sono le vitamine e le proteine dello spirito. Una persona smette di esistere (o continua a vivere solo per la paura di morire) quando non trova più alcun senso alla sua vita”.

Certo è che tutto si è velocizzato e tutto si è anche accorciato e rapidamente siamo passati dalla modernità alla post-modernità e ci troviamo già nell’altermoderno.

Un’etichetta dopo l’altra, con una dominante che si accentua ed è l’incertezza, la quale va sottobraccio alla precarietà ansiogena e alla conclamata crisi d’identità. Si afferma anche che “la tecnica fine a sé stessa sembra essere l’unico effettivo motore del progresso sociale”. Non a caso il dibattito, con relative attese e paure, si è spostato sulle nuove frontiere dell’intelligenza artificiale. Verso dove stiamo andando? Fino a ieri si diceva “di questo passo”, ora occorre aggiornare: “con queste accelerazioni”.

Una risposta intelligente, su cui riflettere, l’ha data il professor Fulvio Scaparro: “Viviamo in un mondo imprevedibile e inquietante e, malgrado questo, è mio preciso compito reagire vigorosamente ai profeti di sventura, come hanno fatto gli esseri umani che sono vissuti prima di me in condizioni non certo meno inquietanti di quelle attuali”.

Poi, con una punta di sarcasmo l’autorevole psicoterapeuta aggiunge il suo approccio alla quotidianità del presente fatto attraverso una clessidra, una misura del tempo inventata… appena 4 mila anni fa. E spiega che è una medicina efficace per “prendere di tanto in tanto distanza dall’enorme massa di informazioni, disinformazioni, immagini, suoni e messaggi pubblicitari che i dispositivi tecnologici mi mettono a disposizione in quattro e quattr’otto senza farmi perdere troppo tempo”.

Forse ha ragione Scaparro quando sostiene di credere che non sia mutato nulla rispetto alla necessità di imparare a convivere con l’incertezza, del resto da Aristotele a Cartesio c’è una bella scuola di maestri del “Dubito ergo sum”. Negli ultimi decenni però stiamo davvero chiedendo troppo a noi stessi, con il rischio che il nostro cervello finisca in “over”, cioè al di sopra della sua capacità ricettiva. Oltre i limiti dello sviluppo si apre il fosco scenario del “game over”, gioco concluso e partita persa. Come in molti videogiochi, per stare calati nell’altermoderno.

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