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Teatro donizetti

“La milonga del fútbol”, Federico Buffa emoziona raccontando l’amore argentino per il calcio

Grazie anche alle splendide interpretazioni del pianista Alessandro Nidi e della cantante Mascia Foschi, il famoso giornalista e storyteller ha fatto rivivere le gesta di tre immortali del calcio: Renato Cesarini, Omar Sivori e Diego Armando Maradona

Bergamo. Il calcio come una danza, il genio sportivo imbevuto nell’amore per il gioco, che lega indissolubilmente storia e società, consegnandosi all’immortalità dei più grandi. Il calcio argentino che diventa un tango, una danza d’amore e di passione che narra cento anni di storia grazie a Federico Buffa ed alla sua “Milonga del fútbol”, andata in scena, con la regia di Pierluigi Iorio, al Teatro Donizetti nella serata di venerdì 23 febbraio.

Uno dei più famosi giornalisti e storyteller italiani ha portato in scena il racconto delle gesta sportive di tre leggende del calcio mondiale, che legano la storia argentina con quella d’Italia. Tutto inizia dal ricordo del piroscafo Mendoza, che ad inizio Novecento parte da Genova, simbolo di una fase importante dell’emigrazione italiana, per arrivare in Argentina.

A bordo della nave anche la famiglia Cesarini, da Senigallia, tra cui il neonato Renato. El Tano, esempio dell’immigrazione che tra il 1870 e il 1915 lega le due nazioni e nome immortale nella storia del calcio italiano. Alla sua frequenza nel segnare gol nei minuti finali della partita si deve l’espressione “Zona Cesarini”, ma anche cinque scudetti consecutivi vinti dalla Juventus negli anni Trenta.

Guidato anche dalle note precise ed emozionanti del pianista Alessandro Nidi e dalla voce energica e suadente di Mascia Foschi, il racconto di Federico Buffa si accompagna sempre con un tango costante che detta i ritmi del racconto, un tango che racconta di un’identità argentina che porta con sé orgoglio ed angoscia. Un’Argentina che prende the beautiful game, che cade dalla tasca degli inglesi (inventori del gioco ed acerrimi rivali), per trasformarne le giocate ed inventando “l’amore per il gioco”.

Buffa, tra le valige degli emigranti sempre pronte per la partenza (ricolme di miseria, sogni e paure) ed un grosso cavo di ormeggio a ricordare il Mendoza, racconta di Renato Cesarini e della sua scoperta di Omar Sivori, talento cristallino, tutto genio e sregolatezza, che nel River Plate incanta l’Argentina degli anni Cinquanta. El Cabezón, figlio di una abruzzese e di un ligure, nato nell’Argentina rurale degli anni Trenta, andrà poi alla Juventus a vincere altri tre scudetti a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta. Sivori che consolerà poi uno dei più grandi, dopo l’esclusione dal Mondiale del 1978. “Dentro di te hai la verità più profonda del fútbol”, dirà ad un inconsolabile Diego Armando Maradona in un’intervista che intitolerà “Escuchame, Pibe”. Sul fondo della scena compare una foto proprio con Maradona e Sivori, dove “manca solo lo Spirito Santo”. Metà italiano da parte di madre, indio-guaranì da parte di padre, El Pibe de Oro diventa, a fine anni Ottanta, l’idolo di un popolo che stava uscendo dalla dittatura del generale Videla e la leggenda di un Napoli che con lui vincerà i primi due scudetti della sua storia.

 

Al Donizetti in scena

 

Tre argentini legati tra loro che condividono anche una parte di sangue italiano e un’importante fetta della storia del calcio del nostro paese (dieci scudetti complessivi). Un racconto di gesta sportive evocate dalla narrazione potente ed affascinante di Federico Buffa, accompagnato, in questa “Milonga del fútbol”, dal canto energetico ed estremamente emozionante di Mascia Foschi e dalle note precise e piene di spirito di Alessandro Nidi. Tre metodi espressivi e di comunicazione che si intersecano e si inglobano nella voce corale del racconto, sempre cadenzato dal tango e dal blues, capaci di accompagnare grandezze e miserie dello sport e della vita.

Un omaggio all’Argentina ed alla sua “italianità”, legate da culture e tradizioni e, soprattutto, dall’ “amore per il gioco”. Un gioco del calcio che si fa passione, un tango argentino ballato su un campo d’erba. Lo stadio diventa Milonga, le gesta sportive dei grandi geni sono passi di danza. Gesta e passi di milongueros che, grazie anche al racconto preciso ed evocativo di Buffa, sembrano ritornare davanti agli occhi degli spettatori, per un ulteriore, immortale, “passo di danza”. Danzano le parole del giornalista, che padroneggia lo spettacolo con preparazione, padronanza linguistica, registro drammatico ed ironico quando serve.

Anche quando, sullo sfondo, insieme a loro torna a danzare Diego Armando Maradona, nell’immortale gol segnato nel Mondiale 1986 contro l’Inghilterra: 60 metri di corsa lasciando dietro di sé cinque avversari. Commuove Buffa nel raccontare il genio e la tragica fine, la “tremenda passione di Diego” (accompagnato da un “Maradona Blues”) che un fascio di luce ricorda mettendo in risalto alcuni fiori, lasciando al buio il resto della scena (ottimo il lavoro del light designer Francesco Adinolfi). Mentre L’Equipe intitolerà “Dio è morto”, Buffa torna a far rivivere ed a danzare questo tango degli immortali, l’espressione più pura ed autentica di una passione viscerale che talvolta è difficile da spiegare. A meno che le giocate di Tano, El Cabezón ed El Pibe de Oro non si ripropongano, ancora una volta, grazie alle parole di chi, attraverso passione e competenza, ha trasformato la narrazione sportiva in arte.

 

 

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