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L'intervista

Carenza di infermieri, Solitro: “Resta un problema, dopo il Covid non è cambiato nulla”

Il presidente dell’Ordine degli infermieri di Bergamo si esprime sulle condizioni di lavoro di chi svolge la professione infermieristica

“A quattro anni dallo scoppio della pandemia da Covid, purtroppo, i nostri problemi sono sempre gli stessi”. Così il presidente dell’Ordine degli infermieri di Bergamo, Gianluca Solitro, si esprime sulle condizioni di lavoro di chi svolge la professione infermieristica.

L’ormai cronica carenza di personale continua a farsi sentire, mentre la novità positiva è costituita dall’introduzione della figura dell’infermiere di famiglia e comunità a supporto della medicina del territorio per rispondere alle esigenze dei pazienti. Le criticità sono parecchie e nell’ultimo quadriennio si sono consolidate: abbiamo intervistato Solitro per saperne di più.

Cos’è cambiato per gli infermieri dallo scoppio della pandemia ad oggi?

Purtroppo non è cambiato molto. I nostri problemi sono sempre gli stessi e negli ultimi quattro anni si sono consolidati. La criticità principale resta la carenza di personale, dovuta alla scarsa attrattività della professione. A incidere sono gli stipendi non competitivi rispetto alle altre professioni e la mancanza di un vero e proprio sviluppo di carriera attraverso il riconoscimento delle competenze specialistiche e dei titoli acquisiti, che non vada solo a valorizzare ruoli dirigenziali , ma anche quelli ad indirizzo clinico .

Potrebbe fare qualche esempio?

Fra il trattamento che riceve un infermiere che lavora da poco in sala operatoria e un altro che svolge questa attività da anni, escludendo gli scatti di anzianità, non c’è molta differenza. Le stesse considerazioni valgono fra chi è in possesso della laurea triennale in infermieristica e chi ha conseguito la laurea magistrale, dottorato di ricerca o effettuato master. Confidiamo che la situazione possa cambiare e per riuscirci, la Federazione nazionale degli Ordini delle professioni infermieristiche ha intrapreso un’interlocuzione con il governo. Dopo la pandemia, che nelle fasi più drammatiche ha visto un notevole sforzo del personale sanitario, abbiamo ricevuto riconoscimenti simbolici prestigiosi che sono motivo d’orgoglio, ma non a livello sostanziale. Sul piano della riconoscibilità non c’è stato nulla, se non l’adeguamento dettato dai rinnovi contrattuali per gli infermieri che lavorano nel pubblico impiego. In un contesto complicato come questo segnalo una novità positiva.

Quale?

Dopo la pandemia, finalmente, è stato introdotto l’infermiere di famiglia e comunità. L’abbiamo caldeggiato per tanti anni e adesso è diventato realtà. L’emergenza Covid ha fatto emergere le criticità territoriali e questa figura va a colmare, almeno in parte, le sue lacune. Ancora non si è consolidata del tutto, ma sta prendendo sempre più piede e va incrementata per rispondere alle esigenze dei pazienti. Bisogna far conoscere ai cittadini le sue funzioni in qualità di valido supporto per la medicina territoriale. Ovviamente, di contro, se vogliamo potenziare le attività territoriali dobbiamo fare i conti con la carenza delle risorse che andrebbe affrontata senza compromettere la qualità del servizio.

 

Gianluca Solitro - Ordine degli Infermieri di Bergamo

 

Cosa intende?

Per rispondere al problema della carenza di personale attingere a infermieri di altri Paesi, senza che abbiano l’obbligo d’iscrizione all’albo ne compromette la vigilanza sugli stessi, non potendo così noi assicurare che siano in linea con gli adempimenti di legge. Il reclutamento di infermieri da nazioni extra-Ue, che è stato prorogato per un altro anno con il milleproroghe, può essere utilizzato in situazioni di emergenza ma non può essere una pratica ordinaria perché implica diverse problematiche.

Quali?

Significa immettere nel circuito sanitario infermieri che lavorano senza il riconoscimento da parte dell’Ordine dell’esame di italiano e della garanzia di svolgere formazione continua in medicina. Le incognite sono parecchie, a cominciare dalla conoscenza della lingua italiana sia scritta sia parlata. Inoltre prestano il loro servizio senza versare la tassa d’iscrizione all’Ordine e senza che si sappia se abbiano i requisiti assicurativi che per noi sono obbligatori come previsto dalla Legge Gelli. Da parte delle istituzioni viene solo verificato che abbiano la laurea in infermieristica o titolo abilitante, mentre noi come ordine ente sussidiario dello Stato, non siamo messi nella condizione di esercitare la nostra funzione di garanzia della professione a beneficio della cittadinanza.

E per quanto tempo proseguirà l’inserimento di infermieri da Paesi extra-Ue?

Non lo sappiamo. Potrebbero restare nel circuito lavorando, al termine del periodo previsto dal milleproroghe, senza essere regolarmente iscritti all’Ordine per molto tempo, configurando di fatto un abuso dell’esercizio della professione. In linea generale, comunque, prima di iniziare a lavorare in Italia dovrebbero compiere un percorso di formazione, a cominciare dalla lingua, ed essere tracciati dall’Ordine, che deve sapere chi sono i suoi professionisti sul territorio. È importante anche per poterli monitorare in caso di eventuali provvedimenti disciplinari che, in questa situazione, non possono essere a loro impartiti dall’Ordine.

Per concludere, da dove comincerebbe per migliorare le condizioni di lavoro degli infermieri?

Bisogna pensare a nuovi modelli organizzativi che vengano sviluppati partendo dalla valutazione del numero di infermieri che occorre per ottimizzare le risorse, al fine di garantire adeguati standard di qualità assistenziale. Inoltre, è necessario rendere più attrattiva la professione riconoscendo le competenze specialistiche e gli sviluppi delle carriere, come in tutte le professioni ci sono gli scatti di anzianità, ma non costituiscono la valorizzazione delle competenze che in questo momento storico per la professione è indispensabile.

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