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Il punto

Automotive al punto di svolta: “Incentivi ok, ma serve più supporto alla transizione lungo tutta la filiera”

Nel bel mezzo delle sfide verso l'elettrico e il digitale, il settore vive un momento di forte incertezza: i pareri di Ferdinando Uliano (Fim Cisl), Roberto Vavassori (Brembo e Anfia) e Agostino Piccinali (Meccatronici di Confindustria Bergamo)

Il confronto col governo è aperto e vivace, ma il settore dell’Automotive vive di oscillazioni e trend a medio-lungo termine che richiederebbero velocità di intervento e una chiara linea di indirizzo non solo per i costruttori ma anche per tutta una filiera fatta di componentisti che servono le più grandi case automobilistiche europee.

Una richiesta che arriva soprattutto dai sindacati e dal segretario nazionale della Fim Cisl, il bergamasco Ferdinando Uliano, che da sempre si occupa delle vicende del gruppo Stellantis, holding multinazionale fondata da Fiat Chrysler Automobiles e dal Groupe PSA che controlla ben quattordici marchi, da Abarth ad Alfa Romeo, da Fiat a Lancia, passando per Chrysler, Citroën, Dodge, DS Automobiles, Jeep, Maserati, Opel, Peugeot, Ram Trucks e Vauxhall.

L’impulso alle transizioni ecologica e digitale, già ben avviate, ha ovviamente mutato il panorama generale: “Processi che però vanno accompagnati – sottolinea Uliano – Siamo riusciti ad aprire dei gruppi di lavoro che si stanno occupando di fotografare puntualmente il settore in Italia, al fine di individuare le iniziative a sostegno e supporto in questa fase di transizione. Per il momento però il governo ha predisposto solo interventi che riguardano l’incentivazione alla domanda e all’acquisto di vetture sostenibili e in passato ha fatto altrettanto con iniziative non troppo calibrate. Nell’ultimo incontro avuto, invece, si è ragionato su linee di intervento più equilibrate: il Dpcm è entrato nel suo percorso di approvazione e confidiamo che venga fatto in tempi rapidi. Le stime parlano di metà marzo ma si deve fare in fretta perché oggi i continui annunci sulle incentivazioni hanno solo portato i consumatori in una posizione di attesa”.

La spinta è motivata dal valore della posta in palio: “Si parla di 950 milioni, che dovrebbero facilitare l’acquisto e aumentare i volumi. Va definita la politica industriale da attuare per supportare costruttori e filiera nella transizione elettrica e digitale. Al momento la nostra componentistica è molto sbilanciata sulle motorizzazioni tradizionali: dobbiamo fare in modo che da alcuni componenti che non verranno più prodotti si passi alla produzione interna di altri che oggi importiamo dall’estero e penso a parti elettroniche, batterie, semiconduttori. La criticità maggiore è fare in modo che i 5,6 miliardi rimasti nel fondo automotive confluiscano su una transizione industriale che sia immediatamente attivabile, perché senza un piano di quel tipo il rischio licenziamento e desertificazione industriale diventano certezza. Allo stesso tempo, guardando più a Stellantis nello specifico, dovrebbero sostenere anche la produzione che punta al milione di veicoli entro il 2030, rispetto ai 752mila prodotti in Italia lo scorso anno: una partita ampia, perché riguarda anche le vetture da assegnare agli stabilimenti e il mantenimento della rete di fornitura il più italiana possibile per non subire contraccolpi, ancora una volta, occupazionali e produttivi”.

Fare una fotografia locale sul settore, fatto di tanti piccoli pezzettini e senza un codice Ateco univoco, è sempre complicato e i dati a disposizione sono da considerare non esaustivi: secondo stime di Confindustria Bergamo la filiera, limitatamente alle fasi di trasformazione manifatturiera e quindi escludendo tutte le fasi della commercializzazione e dei servizi, conta nella nostra provincia una novantina di imprese con circa 5.700 addetti, particolarmente concentrate nelle lavorazioni intermedie (pneumatici, batterie, carrozzerie, apparecchiature elettriche ed elettroniche ed altri componenti). Limitandosi alle sole società di capitale, risultano attive 41 imprese, con un fatturato di 4,3 miliardi di euro.

“La varietà produttiva delle aziende bergamasche ci sta consentendo di non essere investiti in pieno dalle ondate di cambiamento in atto – sottolinea Agostino Piccinali, presidente dei Meccatronici di Confindustria Bergamo – Ci sono province che lavorano molto di più per componenti sul motore endotermico, mentre da noi i componenti auto sono per cruscotti, interni, freni, una varietà che è stata salvifica. L’auto già da tempo stava andando verso una maggiore digitalizzazione, a prescindere dal tipo di propulsione: e posso dire che sulla transizione ambientale e tecnologica le nostre aziende sono sul pezzo. Per quello che abbiamo visto finora, per il mondo variegato che abbiamo, ci sono più contraccolpi per rallentamenti generali dell’economia indiscriminati che dal fermo del settore specifico automotive. Non che non ci siano aziende che lavorano sui motori, perché qualcuno il colpo l’ha sentito e si è trovato addirittura a doversi riconvertire: più la transizione è progressiva e più è gestibile, se poi si poggiasse su un’economia in salute e trainante già di per sé allora avremmo ancora meno rischi a livello di aziende e di personale”.

Tra chi ha invece uno sguardo più d’insieme, sia su Bergamo che sul panorama nazionale, c’è sicuramente Roberto Vavassori, Chief Public Affairs Officer e membro del board di Brembo ma anche presidente di Anfia, Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica.

“In questo momento le criticità maggiori sono sostanzialmente di due tipi, congiunturali e strutturali – spiega – Il mercato automotive è ciclico, fatto di crescita e diminuzione, e oggi viviamo un momento particolare con l’Europa che è cresciuta ma che ancora non è ai livelli pre Covid. Un mercato che, e qui sta parte del problema strutturale, non favorisce le aziende piccole, che faticano a entrare nei mercati internazionali che contano, Nord America e Asia in particolare, che crescono in continuazione e producono più del 50% dei veicoli al mondo. Se opero nel settore e non ho la forza di guardare fuori dai confini mi sto già privando di una bella fetta di orizzonte. Il tavolo automotive ha previsto un milione di veicoli prodotti in Italia entro il 2030: dobbiamo cercare di aumentare la produzione, ma incontreremo la ‘death valley’ perché ci troviamo in mezzo la transizione elettrica che prevede veicoli strutturalmente più semplici, con meno componenti e alte competenze sulla parte elettrica che non tutta la nostra filiera ad oggi possiede. C’è quindi un forte bisogno di accompagnamento delle aziende da parte del Ministero, ma mi pare che la disponibilità ci sia a sostenere la riqualificazione dell’offerta. Dipende però anche dal livello di integrazione e vicinanza col prodotto finale che queste imprese hanno”.

Riguardo l’impatto che la transizione ai motori elettrici potrebbe avere, Vavassori non è così pessimista: “Anche con una propulsione diversa dall’endotermico i due terzi del veicolo rimangono identici. La componentistica al massimo deve evolvere, così come tutta la strumentazione, ma lo fa su una linea di continuità. Ciò che invece possiamo considerare ‘disruptive’ sono propulsione e trasmissione, con tutto ciò che si portano dietro. C’è grande attenzione sul 2035, ma anche in Europa avendo raggiunto un primo plateau sull’elettrico stiamo vedendo che le case automobilistiche che hanno necessità di vendere veicoli stanno anche rivedendo i piani di durata dei motori endotermici. Ci sono ancora 12 anni di percorso, non è un business che termina oggi: noi come ANFIA stiamo disegnando un percorso di transizione, quello che è mancato all’Europa fissando quel target e privilegiando una sola tecnologia. È chiaro che se l’elettrificazione avvenisse in tempi troppo rapidi avremmo importanti impatti sulla filiera, ma anche grazie agli interventi a livello normativo, con l’estensione dell’applicazione dell’Euro 7, sembra che l’endotermico possa giocare ancora un ruolo importante nei prossimi anni, ammortizzando anche il possibile impatto occupazionale. Ciò che non possiamo sicuramente mancare è invece il passaggio alla digitalizzazione, con macchinari più intelligenti, connessi e automatizzati che collezionano dati e che iniziano a governare la produzione. Noi abbiamo distretti molto capaci, ma composti da aziende molto piccole che non dialogano con la casa produttrice e non hanno le risorse per fare ricerca e sviluppo e un salto dimensionale e tecnologico. Nel panorama mondiale quindi siamo formiche, che possono ritagliarsi un ruolo importante se imparano a lavorare insieme”.

 

 

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