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Quattro anni fa

Le mascherine di Chiara, il casco di Giuseppe, l’ossigeno di Maurizio: Bergamo e il Covid, 10 storie da non dimenticare

Dieci racconti di solidarietà, generosità e altruismo. Per ricordare anche il buono di quei giorni

Bergamo. “Ne usciremo migliori”. Quante volte l’abbiamo sentito dire ai tempi del lockdown? Forse è il caso di dire “eravamo migliori”, vista l’onda anomala di solidarietà e altruismo che il Covid ha portato con sè: l’unico effetto collaterale positivo (passateci il termine, infelice se associato al virus) di un evento senza precedenti per Bergamo e la sua gente.

Da allora sono passati quattro anni: il 22 febbraio 2020 (e non il 23, come svelato dall’inchiesta della Procura ) venivano accertati i primi tre positivi, solo che all’epoca nessuno pensò di dire nulla “per non creare allarmismo”. Cosa successe a partire dalle seguenti 24 ore è storia.

Se l’inchiesta è ormai archiviata, vale la pena non archiviare la memoria. Ricordando non solo le vittime e le storie che restituiscono il dramma di quei giorni, ma anche le piccole grandi gesta di chi, in mezzo al caos, non si è dimenticato degli altri. Di chi si è speso per il “noi”, lasciando per un attimo da parte l'”io”. Perché di storie così, in quei giorni, ne abbiamo viste tante.

Il parroco chimico

 

amuchina don Claudio
L'amuchina di don Claudio

 

L’idea non gli è venuta così per caso. Perché don Claudio Del Monte, parroco alla Malpensata, vanta una laurea in chimica industriale. Nei confusi giorni dell’emergenza Covid, si è accorto che l’Amuchina era merce sempre più rara, nelle farmacie come nei supermercati. Così, seguendo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, si è messo a produrre del gel igienizzante fatto in casa per lui e i fedeli del quartiere. Boccette da 25 millilitri ciascuna, utilizzando quelle per l’acqua santa. Alcune le ha regalate ai medici e agli infermieri che frequentano la parrocchia. Una trentina, invece, sono andate a ruba tra le persone più anziane. Un’intuzione, la sua, raccontata persino dal New York Times.

Le mascherine di Chiara

“Sono tantissime le storie che hanno caratterizzato i drammatici mesi della prima ondata della pandemia – ricorda il sindaco di Alzano Lombardo, Camillo Bertocchi -. Molte tristi, ma molte anche di speranza e fiducia. Non dimenticherò mai le testimonianze di affetto e di sostegno che ricevevo. E che non avevano il solo valore dell’aiuto materiale, ma soprattutto di quello morale, quello di cui avevamo tutti bisogno. Tra i tanti gesti che potrei raccontare, mi ricordo quello di Chiara. Una nostra concittadina che abita da anni in Cina e che il 18 marzo 2020 mi ha scritto una mail comunicandomi di avere acquistato 200 mascherine Ffp2 marcate CE e che me le avrebbe spedite. Così fece. Per noi, in quel momento, erano più preziose dell’oro”.

Il casco di Giuseppe

 

Giuseppe Basso Ricci
Giuseppe Basso Ricci

 

Paura. Smarrimento. Confusione. “Così tanta, che nemmeno sapevo dove avessero portato papà. Ho riconosciuto la sua bara guardando un servizio in tv”. L’episodio che Walter Basso Ricci racconta a proposito del padre Giuseppe, morto nella notte tra l’8 e il 9 marzo 2020 all’ospedale Papa Giovanni, restituisce la misura di ciò che molti hanno sperimentato in quei giorni: un senso di completa impotenza, di fronte al dramma collettivo che si stava consumando. “Papà aveva 81 anni, come tutti gli anziani era un po’ acciaccato – dice il figlio – ma stava bene, tant’è che andava a passeggiare ore e ore in montagna. Aveva ancora un fisico atletico” e “la settimana prima era persino andato a correre in palestra”. La mattina del 3 marzo, Walter riceve una chiamata mentre è a lavoro. È suo padre: “Non sto bene, fatico a respirare”. Corre subito a casa, mentre i familiari avvertono il 118. Sono le 10, ma l’ambulanza non arriverà prima delle 17,30. “Quei giorni erano un continuo via vai di sirene – ricorda Walter -. Più si avvicinavano, più pensavamo fossero arrivati a soccorrere papà, ma evidentemente erano in tanti a chiedere aiuto”. Prima di salire sull’ambulanza, Giuseppe abbraccia la moglie Rosanna, 81 anni, e saluta affettuosamente i figli Walter, Matteo e Simona. “Vedrete che non è nulla, ci vediamo presto”. Non fu così. A cinque giorni dal ricovero, il Papa Giovanni comunica alla famiglia il decesso. “Ci hanno detto che papà aveva ceduto il casco dell’ossigeno ad un paziente più giovane, con qualche speranza in più di sopravvivere. È stato bello sentirselo dire”.

L’ossigeno di Maurizio

 

Maurizio Magli
Maurizio Magli

 

La notizia gli è arrivata attraverso un messaggio nella chat Whatsapp con i suoi colleghi della Tenaris di Dalmine. Al momento pensava fosse uno scherzo Maurizio Magli, 40 anni, di Albano Sant’Alessandro, il classico operaio bergamasco abituato a lavorare a testa bassa, poche parole e tanta concretezza. Martedì 2 giugno 2020, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo ha insignito dell’onorificenza di Cavaliere al merito. Il suo costume da supereroe è stata la sua tuta di lavoro nello stabilimento di Sabbio, dove ha continuato a lavorare nonostante il lockdown, per produrre bombole di ossigeno destinate a chi stava lottando contro il virus. Con lui una trentina di colleghi, che anche quando l’azienda ha chiuso si sono messi a disposizione per fornire in tempi record al Gruppo Siad un lotto di bombole da 14 litri per uso medicale: 5 mila i contenitori realizzati in un mese, destinati poi alle ambulanze e alle postazioni mobili di terapia intensiva attrezzate per fronteggiare la carenza di quelle fisse negli ospedali.

“L’ambulanza” dell’assessore

 

Matteo Morbi
Matteo Morbi

 

L’aneddoto (contenuto nel suo prossimo libro, intitolato “Carovane”) lo racconta l’ex sindaco di Nembro Claudio Cancelli. “Sceglierne uno non è facile”, premette. Ma poi attacca a raccontare a ruota libera. “C’erano compaesani positivi al virus che nessuno portava più al centro ospedaliero per la dialisi. Non lo faceva la struttura sanitaria, non c’erano autoambulanze disponibili nemmeno a pagamento e la protezione civile ci diceva che non era una competenza sanitaria loro…. In pratica, questi dializzati rischiavano di morire se non li si sottoponeva in tempo alla terapia salva-vita. Telefonate ovunque: in Ats, in ospedale, in provincia, ma la risposta era sempre la stessa: ‘Non possiamo intervenire’. E allora? Tra i nostri volontari c’è chi dice: ‘Lo faccio io, datemi una mascherina, farò salire il malato sui posti dietro’. C’erano persone con una famiglia a casa disposte a rischiare: il sistema era in default, noi non potevamo permettercelo. Tra queste persone senza paura, c’erano il mio assessore Matteo Morbi e un’ufficiale della stazione dei carabinieri di Alzano, si chiamava Fabrizio. Insieme a loro, altri volontari. Nessuno si tirava indietro, nessuno si sentiva un eroe. Incredibile”.

Insieme al fratello, fino alla fine

 

Maddalena Passera
Maddalena Passera

 

Quando il Covid aveva ucciso suo fratello Carlo, anche lui medico, Maddalena Passera non lo aveva nemmeno saputo: era intubata al Papa Giovanni. Un mese dopo Magda – così la chiamavano tutti – era morta a 67 anni nell’ospedale in cui aveva lavorato come anestesista in Otorino. Era stata proprio lei a prendersi cura e ad accompagnare suo fratello in ospedale, quando era stato male. E quando, qualche giorno dopo, aveva avvertito quei brutti sintomi, aveva capito di essere stata aggredita a sua volta dalla malattia.

Piccole grandi Silvia

 

Silvia Artuso
Silvia Artuso

 

Anche loro, sono state premiate dal Quirinale per il loro “impegno” e le loro “azioni coraggiose e solidali” durante i giorni del Covid. Silvia Artuso, 9 anni, di Albino, e Silvia Cavalleri, 13 enne di Pedrengo. Alla giovane della Valle Seriana è stata riconosciuta “la forza e la speranza che è riuscita a trasmettere ai compagni di classe nei giorni più duri del lockdown”, videoregistrandosi e leggendo loro ogni giorno il capitolo di un libro a lei caro. La ragazza di Pedrengo, invece, “per i gesti intensi e spontanei di fraternità con i quali è riuscita a comunicare con un compagno, che il lockdown e la disabilità avevano isolato dalla classe e a cui il Covid ha tragicamente portato via il padre”.

La promessa di Zeeshan

 

Zeesham
Zeeshan Azam Butt

 

Venerdì 6 marzo. Al sindaco di Stezzano Simone Tangorra squilla il telefono. Ats gli comunica il primo caso di Covid-19 in paese: Zeeshan Azam Butt, 39enne di origine pachistana, operaio in un’azienda di stampaggio di articoli in materiale plastico a Lallio. Mentre lotta tra la vita e la morte, Zeeshan promette a se stesso che una volta uscito da quell’incubo avrebbe fatto qualcosa per aiutare gli altri. Un mese esatto dopo, quando viene contattato dall’ospedale Papa Giovanni per donare il plasma (e in particolare gli anticorpi sviluppati durante la malattia) non ci pensa due volte. Accetta, nonostante si tratti di una metodologia sperimentale. Non solo: in quell’esperienza coinvolge anche i suoi due fratelli, entrambi reduci dalla malattia.

Il dono di Marco

 

Marco Ricuperati
Marco Ricuperati

 

Quando i medici dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo lo hanno chiamato perché c’era un ricevente compatibile con le sue cellule, il 28enne di Albino Marco Ricuperati ha risposto all’appello. “Memore dell’esperienza Covid – dice – ho sentito ancor più il dovere di salvare una vita”. Il 6 luglio 2020, dopo tutti gli accertamenti del caso, è diventato il primo donatore di midollo di Bergamo dopo la prima ondata. Un gesto non da tutti, che assume un’importanza ancor più grande se si pensa che, a causa del Covid, gli iscritti al registro dei donatori erano diminuiti del 60%.

 

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