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L'analisi

Amadeus, Fiorello: i 5 anni di Sanremo che ci meritavamo

L’analisi tecnica e i numeri di un ciclo che ha fatto la storia del festival della canzone italiana. Ecco perché

E così archiviamo anche la settantaquattresima edizione del Festival della Canzone Italiana. In bocca un sapore dolceamaro. Dolce per via di tutto quello che lascia agli italiani questa bolla di leggerezza lunga più di una settimana, amaro perché a stata a quanto pare l’ultima tornata della coppia Amadeus/Fiorello. Un duo che, volente o nolente, ha avuto il coraggio di fare la riforma, di innovare quella che da un po’ di tempo a questa parte era una manifestazione destinata ad arrovellarsi su sé stessa. Voi vi ricordate come era prima? Io no. Ma andiamo con ordine.

La qualità dell’offerta televisiva e la qualità del Paese sono aspetti che tendono a influenzarsi con reciprocità. Ad esempio: I talk sono diventati i format più diffusi in palinsesto. Ci sono tantissimi talk show in prima serata, ognuno dei quali dura mediamente due ore e mezza, a cui si aggiungono quelli nello spazio di access e nel day time. Tutti vedono protagonisti ospiti che si azzuffano, più urlano e bisticciano più il prodotto funziona. L’audience però è generalmente bassa, ma anche il costo lo è. Più sono meno si spende. Questo fenomeno è frutto di una tivù indietro con i tempi rispetto alla rapida evoluzione dei media. Se si sommano i due ingredienti – che nazione siamo e qual è il modello televisivo – il risultato è imbarazzante.

Ed ecco che a fronte di un più crescente bisogno di diversificazione dei contenuti Sanremo 2024 è l’ultimo squillo di un quinquennio che prova a ribaltare il trend. Evoluzioni apparentemente logiche e necessarie, che per essere apportate però, hanno richiesto importanti doti manageriali. In tal senso Amedeo Umberto Rita Sebastiani ha dato fango da mangiare a molti; pacato, lontano da tutto ciò che è divisivo, uomo politico e garbato. Il vicino della porta accanto che oggi tutti incensano, ma che per arrivare fino a qui le cose non solo le ha dette, ma ha avuto la capacità di farle. Per davvero.

Un po’ come quando, difronte allo scetticismo dei vertici, interruppe la liturgia dell’Ariston uscendo dallo stesso con Emma. La prima volta che un conduttore ebbe il coraggio di varcare all’inverso la soglia del Teatro, nonostante in più di una riunione gli avessero ribadito: “Non farlo, altrimenti la gente cambia canale”. Era la puntata numero uno della prima edizione della gestione Ama. Quel preciso momento, con la conseguente passeggiata verso piazza Colombo, ottenne il picco di share. E così per tanti altri aspetti, uno su tutti la lineup che oggi sembra
scontata, ma che tempo a dietro… Visione e caparbietà?

Personalmente nutro molto rispetto per chi prova a cambiare il sistema e ci riesce. La gestione di questa operazione affigge un post-it sulle nostre scrivanie con scritto: “Non sempre la compressione è immediata, alle cose va dato il tempo giusto”.

Questo rimane, al di là dei numeri. Che tuttavia sono fondamentali. Perché va bene avere idee, ma se non ci sono le risorse per metterle a terra non si arriva da nessuna parte. Non si parte nemmeno, a dire il vero.

I NUMERI

Trovo estremamente affascinante leggere dati, si tratti di un successo o di un insuccesso, pormi domande, dare letture alle decisioni.  Quella appena passata è stata una settimana dal 66% medio di SH, la migliore dal 1996. Solo il momento della proclamazione del vincitore ha ottenuto il 90.7% (total audience, amr tv e digital, 15 milioni 100 mila su tutta la trasmissione) roba che manco lo sbarco dei marziani farebbe lo stesso. Ma uno degli insights più significativi sta nel + 80% di SH tra i 15 e i 24 anni, ovvero l’intrattenimento di prima serata più giovane di sempre. Da sommare al + 12% di tempo speso sulle piattaforme digital con un engagement totale di 29 milioni di persone.

Su RaiPlay oltre 25 milioni di visualizzazioni nella sola la giornata di ieri, il miglior risultato di sempre, mentre i device connessi alla fruizione lineare della finale segnano record con una crescita di oltre il 55% rispetto al 2023 portando a 10 milioni di ore (+40% sul 2023), il tempo speso live complessivamente nelle cinque serate. “Total!” verrebbe da esclamare a gran voce e a ritmo di musica.

Di conseguenza una raccolta pubblicitaria del valore di 60 milioni. Secondo la società di consulenza EY l’ impatto economico equivale a 205 milioni di euro, producendo un valore aggiunto (rapportabile al Pil) di 77 milioni, +6 milioni rispetto al 2023. I settori maggiormente impattati sono quelli relativi ai servizi pubblicitari (con un giro d’affari di 96 milioni di giro d’affari), di alloggio e catering (13 milioni di euro) e produzione cinematografica, televisiva e musicale (10 milioni di euro). Importante anche il lato occupazione: i posti di lavoro full time equivalent attivati sono pari a oltre 1300 addetti, di cui circa 860 derivanti dagli
effetti indiretti e indotti. Il nostro Superbowl?

Poi il carrozzone di brand al seguito misto ad un significativo sguardo nei confronti della GenZ. Gli spot pubblicitari diventano più dinamici e divertenti, i canali corporate sposano il tono di voce di un diciassettenne, l’istant marketing esplode. Le gag degli “Amarello” sono pensate a prova di repost. Tutto strizza l’occhio ai giovanissimi in un copione dove il linguaggio televisivo collassa insieme a quello dei social network, ottenendo un gusto nuovo. Anche commercialmente vincente, soprattutto se pensiamo al potere d’acquisto del target, ahimè enfatizzato dal fenomeno sociale della fomo, problema non indifferente.

Dal significato di Festival – festa popolare con manifestazioni di arte, cultura, folclore – l’evento si fa esperienza diffusa e iconica per tutta la città. Attivazioni, interviste, incontri, i cantanti in gara che prima non si potevano vedere tra le vie del centro. Persino la moda scomoda il lusso creando capi d’archivio o custom-made per il cast.

L’onestà intellettuale obbliga a dire che questa è stata la serie meno interessante, quella scritta peggio sul piano televisivo e meno coraggiosa sul piano dell’offerta? Non sono d’accordo.

Piuttosto abbiamo appena terminato di assistere ad un’edizione partita in sordina e culminata con il botto, dove ancora una volta il progetto svela una scelta, una venatura. Dove al centro vi è sempre più la canzone con le sue logiche di mercato. È l’episodio Travolta a travolgere tutti, in positivo. Uno dei momenti più significativi in cui l’essenza del successo comico si palesa così come è: l’amicizia tra i due “carnefici” ci riguarda da vicino. Siamo noi a spassarcela con l’amico o l’amica di sempre.

SOCIAL? MALE

A guardarla bene ci sono aspetti del prodotto che non sono mai andati nel verso giusto. La pressione è altissima, gli accordi sottoscritti valgono sei zeri. Ma allora com’è che ogni anno dai profili dell’evento esce una cosa che… Insomma. Da un fenomeno anche web di questo tipo, infatti, ci si aspetterebbe una comunicazione social all’altezza. Ma andiamo per gradi: ci sono secondo me 3 aspetti su tutti che vanno evidenziati. Uno: non è un piano editoriale normale, si tratta
di una frequenza di pubblicazione folle, video da postare praticamente in diretta, velocità, velocità, velocità. Lo stress è pari a quello di Oppenheimer prima di sganciare. Due: ci sono delle direttive dall’alto in merito ai contratti che vale la pena seguire e che vincolano le pubblicazioni. Tre: i target non sono mai tutti. Ogni canale deve parlare un codice diverso nello stesso momento. Tuttavia: la discrepanza dell’identità visiva online e offline (palco, set design etcetera) è clamorosa. A gestire la comunicazione sono agenzie diverse che hanno vinto gare diverse, il feed è carico di contenuti tutti differenti l’uno dall’altro, stili e accozzaglie che non hanno nulla a che vedere con la coerenza, sembra una bacheca dove ognuno di noi ci hanno messo la mano. Sogno un Sanremo carico di contenuti esclusivi che raccontano tutto ciò che succede dietro le quinte (in parte è fatto), lontano dai telespettatori. Con un’impatto d’immagine forte e riconoscibile. Senza tradire i punti di forza attuali, ad esempio gli short video istantanei delle esibizioni. Alzerebbe di gran lunga il livello, un tema che varrebbe la pena sviluppare. Oppure no?

VIVA RAI 2, VIVA SANREMO

Per molti l’idea che Rosario Fiorello conquistasse la delicatissima fascia mattutina con la stessa disinvoltura con la quale sbaragliava la prima serata polverizzando la concorrenza, sembrava impossibile. Per me, cresciuto con l’idea che Fiorello fosse il Re Mida della televisione, no. Ma che addirittura riuscisse a prendersi più di 2 milioni di ascolti alle 3 del mattino no. Questo non lo avevo immaginato. Menzione speciale dunque per “Viva rai 2… Viva Sanremo”, un collante naturale di intermezzi, interviste e rassegne stampa dal sapore vintage – il fatto che le pagine dei siti internet siano stampate su carta fa tenerezza – che non possono non strappare un sorriso fungendo da caffeina naturale dopo una prima serata lunga 6 ore. È un angolo dove in scena viene messo quello che prima non si può dire. Come gli showman americani che non si privano mai della libertà underground degli open mic tra le pareti di mattoni rosse del Comedy Cellar. Fighissimo sempre.

COSA HO IMPARATO?

Questa roba qui non è divisiva ma provocatoria, oltre che ad essere una questione importante. Il concetto di pagella viene preso molto sul serio che manco a scuola, ci sta. La comprensione del testo sembra essere tornata di moda. C’è ancora spazio anche per le belle parole e melodie. Stando e Geolier, i napoletani sono meno permalosi del previsto. E comunque il massimo della rivoluzione che possiamo aspettarci da un’emittente pubblica, seppur bene rappresentata su questo palco da chi ha incarnato il vero spirito del servizio pubblico, è un grido alla pace fatto da un cantate vestito di orsetti. Che poi però (non è il solo) si deve mangiare la lingua e sottostare a un comunicato stampa difficile da digerire. Provate a dire a un inglese che la dirigenza di una televisione pubblica è nominata direttamente dal Governo. Infine, se trovassimo un modo per entrare così nel merito e rendere appetibile anche la partecipazione politica, avremmo risolto una serie di problemi. D’altronde è tutto specchio del paese: nel bene e nel male.

E ADESSO?

Qualcuno disse che Sanremo 2024 aveva il potenziale per diventare una sorta di Guerra dei Mondi, ma oggi sembra di essere sull’orlo dell’Apocalisse. Parliamoci chiaro: qui non avevo niente di nuovo da scrivere se non ribadire un concetto trattandolo per benino. Sono un signor nessuno. Sono una ragazzotto di ventisei anni che si sbatte, nel tempo libero e senza secondi fini, per dare il minimo contributo al mondo affinché diventi il più simile possibile al meme della nave che recita “Ciao
nasone”. Come se guardando l’orizzonte si scorgesse sempre uno specchio che ricorda di essere autoironici. Di tenere alto il volume e gli obiettivi. Sempre.

Da una parte mancano 365 giorni al prossimo Sanremo e del doman non v’è certezza. Con tutto ciò che comporta salutare una direzione artistica del genere ai tempi che corrono.

In questa disamina tecnico/sociale, che tutto vuole affrontare tranne che il sistema della sfida e lo scenario musicale (di cui so poco e niente), sento a mani basse di poter affermare che sono stati i cinque anni che ci meritavamo. Giorni in cui il paese è stato ricondotto a sé stesso, dove la kermesse per antonomasia è tornata a godere del suo splendore più sincero, dove il piccolo schermo, facendo squadra con il piccolissimo, si è guadagnato ancora una possibilità. E noi con lui.

Ho un problema con gli addii. Belzebù, Ciuri, ci mancherete. Cavoli acidissimi per chi erediterà lo scettro, auspico nel segno della continuità.
Viva lo sport, viva la musica, viva Sanremo!

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