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I bestiari

Hate-speech, “Odio, dunque sono”

Nella giungla virtuale o in quello che potremmo definire Bestiario digitale, troviamo i leoni da tastiera, ossia coloro i quali ergendosi a onnipotenti sovrani della virtualità, aggrediscono gruppi o singoli, considerati “diversi” con l’intento di ferire, annientare e sopprimere. I coccodrilli invece, versano lacrime di pentimento (fasulle o reali) dopo essere stati identificati e quindi denunciati, con tutte le relative conseguenze del caso

“Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza, della religione o della classe alla quale appartengono. Gli uomini imparano a odiare, e se possono imparare a odiare, possono anche imparare ad amare, perché l’amore, per il cuore umano, è più naturale dell’odio”.
Nelson Mandela

È la fine degli anni ’80 quando la giurisprudenza statunitense introdusse per la prima volta il termine hate speech – letteralmente linguaggio d’incitamento all’odio o discorsi d’odio, tradotto in simboli, parole, frasi, gesti o comportamenti finalizzati a offendere, ledere o procurare danni a individui e/o gruppi, storicamente massacrati per etnia, nazionalità, religione, orientamento
sessuale e disabilità. Successivamente con l’avvento dei social media, questo fenomeno si è ampliato: razzismo, bodyshaming, omofobia, insulti sessisti, minacce, revenge porn, trovano terreno fertile e un ambiente ideale proprio in rete. In Countering Online Hate Speech l’Unesco identifica quattro differenze sostanziali tra odio offline e odio online. La prima: l’odio online permane per
lunghi periodi di tempo e in diversi formati. La seconda differenza: alcune espressioni d’odio vengono rimosse ma possono tornare, riapparire altrove e in altre modalità, transitando sui vari media. La terza: l’importanza deleterea dell’anonimato, l’uso di pseudonimi, nickname falsi e tag rendono le persone meno consapevoli di sé stessi e del valore delle proprie parole, generando
aspettative di irresponsabilità e impunità. La quarta differenza: la transnazionalità aumenta l’effetto dell’hate speech, rendendo più complicato individuare i meccanismi legali per combatterlo. Mantenere un’attenzione costante, contrastando insulti, comportamenti ostili e discriminatori è indispensabile proprio per evitare che le dinamiche peggiorino, lo sosteneva nel ’54 lo psicologo cognitivista americano Gordon Allport, attraverso la Scala Allport da lui concepita attraverso cinque livelli, utile e preziosa per valutare il grado di pregiudizio e discriminazione esistente all’interno di un gruppo sociale o di una comunità, così descritta:

1. Anti-locuzione: si verifica quando un gruppo o un individuo, al proprio interno, si esprime liberamente, in modo negativo, contro un gruppo o un individuo esterno. A questo livello stiamo parlando di uso di stereotipi, maldicenza, ridicolizzazione, discredito e discorsi d’odio.

2. Evitamento: consolida le rappresentazioni negative trasformandole in pregiudizi. I membri del gruppo evitano costantemente le persone appartenenti all’out-group (gruppo esterno) attraverso pregiudizi, evitamento ed emarginazione. Anche se non c’è alcun danno diretto si viene a creare un danno psicologico, spesso dovuto all’isolamento.

3. Discriminazione: riguarda la concretezza della quotidianità. I pregiudizi si trasformano in subordinazione costante e in divieti discriminatori. Ai “diversi” è limitato o negato l’accesso alle opportunità che la comunità offre. La facoltà di espressione dei “diversi” è ridotta. Se provano a far valere le loro ragioni vengono ignorati o interrotti. Oppure ciò che dicono viene manipolato e riformulato.

4. Attacco fisico: riguarda un’intolleranza così forte ed estrema da esprimersi attraverso il ricorso alla violenza e all’aggressione fisica. Stiamo parlando di agguati, pestaggi, stupri e spedizioni punitive. I beni materiali di proprietà dei “diversi” possono essere bruciati o vandalizzati. Gli esempi includono i pogrom contro gli ebrei in Europa o ad esempio i linciaggi dei neri negli Stati Uniti.

5. Sterminio: escalation dell’odio totale, riguarda la cancellazione dei “diversi”, che può verificarsi attraverso lo sterminio o la rimozione di un’ampia frazione del gruppo o dell’intero gruppo.

Nella giungla virtuale o in quello che potremmo definire Bestiario digitale, troviamo i leoni da tastiera, ossia coloro i quali ergendosi a onnipotenti sovrani della virtualità, aggrediscono gruppi o singoli, considerati “diversi” con l’intento di ferire, annientare e sopprimere. I coccodrilli invece, versano lacrime di pentimento (fasulle o reali) dopo essere stati identificati e quindi denunciati,
con tutte le relative conseguenze del caso.

Perché si odia?

Secondo il filosofo Zygmunt Bauman odio e paura accompagnano l’evoluzione dell’essere umano da sempre e probabilmente non smetteranno mai di accompagnarlo. Si odia perché si ha paura del diverso e quella paura non fa che alimentare odio, astio e ripugnanza, soprattutto in un mondo dove l’individualismo è imperante, nessuno è compagno di un percorso comune ma tutti sono antagonisti dai quali guardarsi. La nostra società viaggia spesso su binari fragili e incerti, i quali amplificano la paura del diverso, innescando il bisogno di scaricare su un bersaglio – sia migrante o ebreo, gay o musulmano, disabile o nero – tutto l’odio e la rabbia repressa.

Un antidoto efficace e potente non può che essere la cultura, utile per combattere l’ignoranza di chi si chiude negli stereotipi e non sa guardare oltre i propri limiti, spesso nati e implementati all’interno del proprio ambito familiare.

coccodrillo bestiari fornoni
Crocodili lacrimae - collage fotografico - 40x50 cm. 2024

Per evitare che contenuti palesemente ostili o violenti si normalizzino, tra mancata responsabilità degli individui e banalizzazione delle pedagogie d’odio, due libri ci aiutano a comprenderne i significati, ma soprattutto spiegano come contrastarli:

Hate Speech – il lato oscuro del linguaggio di Claudia Bianchi, Ed Laterza. Docente ordinaria presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute S. Raffaele, dove insegna Pragmatica del linguaggio, Comunicazione e cognizione e Gender Studies. Dal 2022 dirige il centro Gender (Interfaculty centre for gender studies).

Commenti sessisti, insulti razzisti, attacchi omofobici: le parole possono essere scagliate contro gli altri per deriderli, ferirli, umiliarli, e ancor più per rinchiuderli in ruoli e posizioni di inferiorità. Le parole possono essere potenti strumenti di oppressione, pesanti come pietre. Chi parla, soprattutto se da posizioni di autorità o in contesti istituzionali, ha una pesante responsabilità: ciò che diciamo cambia i limiti di ciò che può essere detto, sposta un po’ più in là i confini di ciò che viene considerato normale, assodato, legittimo. E cambiare i limiti di ciò che può essere detto cambia allo stesso tempo i limiti di ciò che può essere fatto: ci abituiamo a una mancanza di attenzione e vigilanza sulle parole, che rende più accettabile la mancanza di vigilanza sulle azioni. Il silenzio, l’indifferenza o la superficialità con cui spesso accogliamo gli usi offensivi di altri corrono il rischio di trasformarsi in consenso, approvazione, legittimazione – e muta noi in complici e conniventi. Così il libro indaga una delle declinazioni più interessanti del tema della violenza: quello che è diventato comune chiamare hate speech (‘linguaggio d’odio’ o ‘discorso d’odio’). Con questo termine si indicano espressioni e frasi che comunicano derisione, disprezzo e ostilità verso gruppi sociali e verso individui in virtù della loro mera appartenenza a un gruppo; le categorie bersaglio dei discorsi d’odio vengono identificate sulla base di tratti sociali come etnia, religione, genere, orientamento sessuale, (dis)abilità. Lo hate speech raccoglie usi discorsivi estremamente vari: dalla propaganda nazista alle leggi sull’apartheid, dal discorso ideologico di certe formazioni politiche fino agli esempi quotidiani di linguaggio d’odio divenuti ormai tristemente frequenti. Un tema diventato ancor più d’attualità con il diffondersi dei nuovi media: commenti sessisti, insulti razzisti e attacchi omofobici hanno trovato un ambiente ideale per
esprimersi online, dove spesso mancano mediazioni, filtri o (auto)censure.

L’odio online di Giovanni Zuccardi, Ed. Raffaello Cortina Editore. Docente di Informatica giuridica e coordinatore del corso di perfezionamento in Informatica giuridica presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano.

La diffusione di Internet ha reso possibile un dialogo ininterrotto, che si alimenta sui blog, sui forum, nelle chat, sui display degli smartphone. All’interno di questo dialogo globale, sono approdate le espressioni di odio razziale e politico, le offese, i comportamenti ossessivi nei confronti di altre persone, le molestie, il bullismo e altre forme di violenza che sollevano la curiosità del giurista. Come è nato il concetto di hate speech? Anche odiare è un diritto e quali sono i limiti che pongono gli ordinamenti giuridici? È mutato il livello di tolleranza e sono cambiati irreversibilmente i toni della discussione? A queste domande risponde l’autore, affrontando da un punto di vista giuridico, filosofico e politico il tema della violenza verbale e della sua diffusione nell’era tecnologica.

Generico febbraio 2024

Ho imparato che le persone dimenticheranno quello che hai detto, dimenticheranno quello che hai fatto, ma non dimenticheranno mai come le hai fatte sentire.
Maya Angelou

* Giovanni Fornoni ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano. All’attività di artista affianca quella di docente. Con i suoi Bestiari sovrappone o accosta la condizione umana a quella animale, indagando simbolicamente fatti di cronaca contemporanea, mettendo in rilievo verità ataviche, antropologiche, sociali e culturali.

Immagine dell’opera: Crocodili lacrimae – collage fotografico – 40×50 cm. 2024

Freepik archive, image wirestock reworked by the Artist

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