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Ballando di architettura

Addio a Stefano Nosari, fratello, dove sei?

Mercoledì 7 febbraio, Stefano Nosari se n’è andato

Estate, non ricordo di quale anno.

Coi Peruna£ira, omaggio a Lucio Battisti, abbiamo una fitta programmazione di date in vista. Una sera in sala prove, Piero Pasini, bassista e colonna portante della band, annuncia che, come ogni anno, si trasferirà con la famiglia all’Isola d’Elba, da fine luglio ai primi di settembre.

– Ma tranquilli, ho già un amico che mi sostituirà, dice.

Io, fresco dei miei trent’anni e perenne inquieto, non credo sia possibile trovare qualcuno che con così poco preavviso impari un repertorio di due ore abbondanti, ormai personalizzato, con stacchi, intro, outro, obbligati, assoli e ricamini vari.

– Non ti preoccupare, mi fa, È uno bravo.

Mi taccio, ma resto dubbioso. Conosco il termine “hired gun”, ma non ne ho mai visto uno in carne e ossa. La settimana dopo, Piero si presenta alle prove con un tipo alto, magro, pantaloncini corti, sneakers, calzini bianchi, pelle chiarissima, occhiali sottili in metallo, viso affilato, sorridente e gentile, che ci mette subito a nostro agio. Poi imbraccia il suo P-Bass, impugna il plettro ed attende il via. Facciamo tutto il repertorio in un’unica tirata, quasi senza pause.

Ogni tanto Piero, seduto in un angolo, mi guarda compiaciuto coi suoi occhi vispi, come a dirmi – Te l’avevo detto io, o no?

Nosari ha un suono avvolgente e un tocco soffice, disinvolto, mai aggressivo, quasi una carezza.

A un certo punto, nella solita smania di dire la mia, mi permetto di suggerirgli di doppiare una linea di tastiera, sul finale di Un’avventura “come fa Piero”. E lì Pasini dice una cosa che mi rimarrà impressa per sempre: “Senti Enrico, ognuno ha la sua personalità. Io suono a modo mio, Stefano suona a modo suo. Le note sono giuste? Sì. L’intenzione è giusta? Sì. Ecco. ALLORA VA
BENISSIMO”.

Mi taccio (e due) e faccio tesoro della lezione.

Terminano le prove, strette di mano e pacche sulla spalla. Le date estive vanno a meraviglia. Stefano ringrazia e se ne va.
Tornerà in veste di vicario in altre occasioni, sempre sereno, garbato e impeccabile. Sarà ogni volta un piacere averlo sul palco e in viaggio.
Poi il fenomeno Battisti va un po’ scemando, l’età media degli appassionati sale irrimediabilmente, le piattaforme digitali non riescono a passarlo per troppo tempo, la moglie Velezia minaccia cause a destra e a manca, le cover band si stufano, i gestori dei locali e delle feste si rivolgono altrove. Insomma, il progetto langue.
Stefano però è infaticabile, suona, insegna, studia e approfondisce (classica e jazz, soprattutto).
Il suo contrabbasso passa addirittura tra le mani di alcuni giganti delle quattro corde, di passaggio in Italia coi loro ensemble.

Ieri Stefano Nosari se n’è andato.

Oggi l’intera scena lo ricorda per la persona speciale che è stata, dentro e fuori dalla musica.
Su tutti, l’amico fraterno Piero, che lo saluta così: “Caro Stefano, sapevo che oggi sarebbe stato il giorno e sono voluto stare accanto a te. Tante belle cose ci hanno unito, da quel lontano 1976 quando iniziammo, lunghi, allampanati e con le mani enormi, la nostra avventura di bassisti al Conservatorio Donizetti di Bergamo. Ti regalo alcune delle nostre foto, con Eddie Gomez nella
tua taverna a provare il contrabbasso che, grazie ad Alex Travi, è stato usato non solo da Eddie ma da John Patitucci e Darek Oles nei tour italiani degli ultimi anni. Hai detto niente. E poi i concerti, le cene, le nostre menate adolescenziali, l’Elba, Seminario Nazionale di Musica Jazz dell’Isola d’Elba ed altri seminari, tu ed io fratelli sempre, assetati di sapere bassistico anche ora, fino a due mesi fa. Le nostre giornate “guccinizzate”, nelle quali parlavamo come il Guccio per ore. Perché non c’è solo il jazz. Ti prometto che sarai sempre nelle mie note. Ti prometto che il tuo contra avrà altra gloria. Ti prometto che ci rivedremo. Ciao brother bassman”.

Allora ciao, Stefano. Non eri un eroe dello strumento. Eri molto di più.

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