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La figura

Il bambino al centro della formazione, la rivoluzione pedagogica di don Bosco

Don Bosco ha avuto un merito di gran lunga superiore, cioè quello di aver "collocato il fanciullo al centro", riconoscendosi discepolo autentico del messaggio evangelico

La figura e l’esempio di Don Bosco continuano a suscitare interesse e simpatia, nonostante la proposta pedagogica dello stesso sia ormai piuttosto datata.

In un mondo in continua trasformazione ha ancora senso affidarsi a insegnamenti così apparentemente distanti dalla nostra epoca? Quale contributo ha davvero saputo trasmetterci il presbitero piemontese? Cosa sopravvive di lui oggi? Don Bosco, esemplare modello di santità cristiano-cattolica, è ancora attuale?

Basterebbe forse sottolineare l’importanza tuttora rivestita dalla famiglia salesiana nell’educazione, per scongiurare il rischio di ridurre il nostro a una sorta di semplice e bonaria immagine a effetto, utile solo per santini e libretti di devozione. Troppo poco, tuttavia. Don Bosco ha avuto un merito di gran lunga superiore, cioè quello di aver “collocato il fanciullo al centro”, riconoscendosi discepolo autentico del messaggio evangelico. Il più grande nel regno dei cieli non coincide con il detentore di maggiori ricchezze o poteri.

Gesù stesso rese esplicita questa sua convinzione chiamando a sé un bambino: “In verità io vi dico: se non vi convertirete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me” (Matteo 18, 1-5). Parole destinate a segnarlo sin da giovanissimo, esortandolo ad abbracciare una specifica vocazione, cioè quella di spendersi completamente per chi non contava nulla, in favore del più povero tra i poveri, tra gli indifesi senza diritti, in seno a una società avviata a una repentina, e indubbiamente traumatica, industrializzazione. Don Bosco seppe riconoscere nel volto di ogni fanciullo quello dell’infante di Betlemme.

Un altro aspetto interessante, e decisamente contemporaneo, contenuto nella proposta pedagogica di Don Bosco, riguarda il profilo umano e professionale dell’educatore.
Spesso gli educatori non accettano di mettersi in discussione e di fronte a risultati deludenti accusano i ragazzi di difettare in impegno o in serietà. La rinuncia e l’abbandono dell’alunno sono tentazioni pericolosissime, figlie e piaghe di ogni epoca.

L’educatore convincente e credibile deve essere “qualcuno” per il fanciullo. Per toccare il ragazzo nelle sue dimensioni esistenziali fondamentali, cioè il pensiero, l’amore e la fede, l’educatore deve concretamente e spontaneamente dare prova di sé. È chiamato a diventare un modello da imitare, vivendo quei valori che si ripropone di trasmettere: disponibilità al dialogo e all’ascolto; atteggiamento equilibrato e sereno; affetto e confidenza; fermezza e decisione nelle scelte educative.

Il rispetto non si guadagna mediante il distacco e il timore reverenziale. Il progetto di Don Bosco è quindi molto più esigente con l’educatore che con il fanciullo.
Il metodo delineato può essere uno strumento di aiuto, ancora valido ed efficace, animando, risvegliando, persino provocando, una società tendente ad appiattire i giovani a meri consumatori di beni effimeri: ragazzi svuotati di interessi e passioni, perché incapaci di sentirsi amati.

Si consiglia la lettura del pregevole e ben documentato studio di Enzo Bianco, intitolato Educare come Don Bosco? (ed. Elledici, Torino, 2009) per approfondire le riflessioni sviluppate nell’articolo.

 

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