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Le interviste integrali

Ruffini e Bendotti (Isrec): una vita dedicata alla diffusione delle storie della Resistenza bergamasca

Gli interventi completi della direttrice e del presidente dell'Isrec in occasione del servizio targato Bergamonews sulle pietre d'inciampo a Bergamo

Bergamo. Parole preziose, che il mondo di oggi forse non vuole più sentire. Inestimabili e consapevoli le voci di Elisabetta Ruffini e Angelo Bendotti, rispettivamente la direttrice e il presidente dell’Isrec, l’Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea.

Intervistati in occasione della Giornata della Memoria 2024 e del servizio targato Bergamonews sulle pietre d’inciampo a Bergamo, Ruffini e Bendotti hanno aperto le porte del loro istituto e della loro vita per raccontare il progetto delle pietre e ciò che la Resistenza bergamasca ha rappresentato per la città e, in generale, per la storia.

La direttrice spazia da una riflessione legata alla memoria indotta dalle pietre (“La memoria è una scelta. Una pietra d’inciampo può essere superata con un semplice passo e il passante rimane lo stesso: fermarsi ad osservare la pietra significa scegliere di fermarsi, bloccare la vita frenetica di tutti i giorni, e ricordare una persona”) alla descrizione dell’artista tedesco Gunter Demnig (“Gunter Demnig è un artista consapevole che la memoria è un rito che ha bisogno di costruire degli spazi di vuoto dentro la frenesia delle nostre città. Gunter Demnig è vestito sempre nello stesso modo, con lo stesso cappello: non dice assolutamente niente durante la cerimonia di posatura, anzi, rende superflue e ipocrite tutte le parole dei presentatori”), concludendo mettendo in evidenza l’importanza dei luoghi in cui vengono poste le Stolpersteine (“Le pietre d’inciampo sollecitano a riflettere sulle ragioni della partenza: non sono nei campi, portano ad analizzare la propria storia nazionale”).

 

elisabetta ruffini
Elisabetta Ruffini, direttrice dell'Isrec

 

Il presidente Bendotti porta invece chiunque ascolti le sue parole nei meandri più profondi dell’esistenza di Aldo Ghezzi, tipografo bergamasco cresciuto in via Pignolo attivo nella Resistenza. Arrestato e deportato a Mauthausen, Ghezzi morì di stenti nel sottocampo di Ebensee il 3 giugno 1945, poco più di un mese dopo l’entrata delle avanguardie della Terza Armata Americana nel lager.

 

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Angelo Bendotti, presidente dell'Isrec

 

Una figura, quella di Ghezzi, che ha rappresentato un vero e proprio “partigiano a tempo pieno”. E che, nelle sue mille sfaccettature, possiede ancora una stretta connessione con l’attualità (“La Resistenza era fatta da ragazzi, come quelli che ancora incontro nelle scuole superiori. La necessità di insistere su storie come quella di Ghezzi risiede nella possibilità di donare una dimensione umana, e non solo storica e politica, ai quei giovani che scelsero la via della Resistenza. Una città, una comunità, non può fare a meno di figure di questo tipo: volenti o nolenti bisogna ricordare. I partigiani lottarono fino a perdere la vita per la libertà, per la democrazia, valori nei quali la gran parte di noi si riconosce ancora”).

Ed ecco come porre una pietra d’inciampo diventi “una scommessa rispetto all’intelligenza dell’uomo”: le persone che notano le Stolpersteine inevitabilmente vengono trascinate dal desiderio di scoprire qualcosa di più su quella vita violentemente portata lontano dalla sua casa. Le pietre diventano, per concludere con le parole del Presidente, “il termometro della reazione civile di un paese”.

 

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