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Il personaggio

Farinelli, il genio del bel canto che incantò il mondo

Al canto seppe unire la sua passione per la composizione e per lo strumento, mettendosi in evidenza come cembalista. La sua immagine, tanto in vita quanto negli anni a seguire, diventò progressivamente “oggetto di culto con testi, film, biografie anche grazie a episodi, aneddoti, fantasie”

Il 24 gennaio del 1705, ad Andria, nasceva Carlo Maria Michele Angelo, colui che sarebbe passato alla storia come il Farinelli, il più grande cantante di opera lirica di tutti i tempi.

Un talento immenso, forgiato a Napoli, grazie alla protezione e all’aiuto dei Farina, ricchissima e potente famiglia partenopea, dai quali prese il nome d’arte. Un debutto precocissimo, a soli quindici anni, “nel 1720 a Napoli nella serenata Angelica e Medoro del Porpora” (A. Zapperi, Broschi, Carlo Maria Michele Angelo, detto Farinelli o, più sovente, Farinello, In Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 14, 1972): un successo di critica e di pubblico che avrebbe suscitato l’interesse e la curiosità del Metastasio, favorendo la nascita di un rapporto sincero di “amicizia e [di] stima che du[rò] quanto la loro vita” (Op. cit.). Una familiarità di intenti e di opera, umana e artistica, che li fece fratelli e collaboratori: “I quali solevano chiamarsi l’un l’altro “gemello””(Op. cit.). Farinelli legò la sua vita al lungo e largo peregrinare, esibendo il suo virtuosismo inarrivabile e il suo dilettare suscitando meraviglia e commozione nei principali teatri dell’epoca: “Cantò fino al 1734 nei maggiori teatri italiani, quindi a Londra e infine, dal 1737 al 1759, fu al servizio della corte di Spagna” (La Nuova Enciclopedia della Musica, Garzanti, 1988). Di bell’aspetto e dalla
presenza scenica impressionante, il nostro possedeva un repertorio da sopranista e da contralto pressoché sterminato. Dotato di “una tecnica formidabile (fiati, passaggi, trilli, sbalzi) e [di] una somma capacità improvvisata” (P. Moioli, L’opera classica. Tra Vivaldi, Farinelli e Mozart, Ed. Mursia, Milano, 2021), venne lodato persino dal Padre Martini “per la voce bella, dolce, forte, penetrante, estesa” (Op. cit.).

Al canto seppe unire la sua passione per la composizione e per lo strumento, mettendosi in evidenza come cembalista. La sua immagine, tanto in vita quanto negli anni a seguire, diventò
progressivamente “oggetto di culto con testi, film, biografie anche grazie a episodi, aneddoti, fantasie” (Op. cit.), nonché morbosità intorno al mistero, circa la datazione e l’occasione, della sua castrazione chirurgica.

Ma quale fu il lascito più originale del Farinelli, il suo contributo più importante nella storia della musica e della cultura?

Il noto cantante pugliese, durante il suo lungo soggiorno in terra spagnola, a servizio dei regnanti Filippo V ed Elisabetta Farnese, Ferdinando VI e Barbara di Braganza, si adoperò attivamente per realizzare “il definitivo trionfo del dramma musicale italiano” (A. Zapperi, op. cit.), facendo “tradurre i libretti in castigliano, chiam[ando] in Spagna i più famosi cantanti e strumentisti italiani” (Op. cit.), realizzando di fatto un cangiamento nei gusti dei reali e dei nobili, facendosi promotore e divulgatore della cultura e dell’arte italiane. La musica come viatico per guadagnare spazi di influenza, anche politica, anticipando e contribuendo a diffondere quell’idea di Nazione che gli artisti, i letterati, gli esploratori e i condottieri, provenienti da ogni angolo del Bel Paese, conservavano e custodivano gelosamente, seppure in forma ancora mutevole e magmatica, nel proprio animo.

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