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Libri

La recensione

“Selene. Storia di follia, d’amore e di spettri”: le nostre scelte allo specchio degli altri

Uno scritto che incatena il lettore stimolandolo alla riflessione, immergendolo nell’abisso delle proprie deboli certezze, rivolgendogli apertamente, senza censure, provocazioni e interrogativi scomodi, circa il mistero di una natura umana da sempre assetata di senso e di verità, ma resa naufraga in un mare di contraddizioni, di fatalità e di intollerabili ingiustizie

Selene. Storia di follia, d’amore e di spettri (Europa Edizioni), romanzo gotico di Luca Giribone, è un intreccio ben congeniato d’invenzione e verosimiglianza, mediante la narrazione di vicende e stati d’animo surreali e concretissimi. La storia viene ambientata all’interno di una cornice dal fascino sinistro, un luogo che fu storicamente adibito alla cura delle differenti sofferenze e
patologie mentali, ossia l’ex manicomio di Quarto. Una struttura monumentale immersa nel verde della cosiddetta “collina dei matti”, secondo la nota definizione coniata dai genovesi.

Il racconto muove da un preciso contesto temporale: siamo alle porte di un cambiamento epocale, con l’imminente approvazione della Legge Basaglia (1978) che avrebbe determinato, negli anni a
venire, la chiusura e la dismissione dei manicomi, rivoluzionando l’approccio di cura alla malattia mentale, nonché lo sguardo da rivolgersi al paziente. Un periodo d’incertezza, di passaggio, anche
per gli operatori del settore, spesso vittime a loro volta di frequentazioni decisamente ingombranti e contagiose, cioè quelle della follia e del dolore. I protagonisti sono gli esclusi e gli invisibili,
carnefici e compagni di luoghi terribili, prigionieri tutti senza colpa alcuna. L’umana dignità cerca allora rifugio e sollievo nel sogno, nell’incubo, nella catatonia dimentica di sé.

Il romanzo narra e documenta, ricostruisce con precisione lo spirito e gli spiriti infestanti tanto gli animi quanto i vissuti di uomini e donne affetti dalla condanna più pesante, cioè quella
dell’emarginazione, del rifiuto, della segregazione e dello scarto. Viviamo, forse, in tempi non così distanti da quelle sensibilità, prigionieri delle nostre paure, dei dubbi più inconfessabili.

Miseramente sommersi dal futile, ci riscopriamo, nel cammino, infelici reietti, avendo per compagnia la sola presenza, più o meno sbiadita e reale, di mostri, fantasmi, semplici comparse del passato. Nello scritto, si sviluppano vari piani di lettura, eventi e figure ben caratterizzati, offrendo un racconto godibile e appassionante: un caso di cronaca nera, un’indagine giornalistica,
la descrizione delle prassi scientifiche e mediche del tempo (l’elettroshock su tutte), l’amore contrastato e impossibile tra lucidità e patologia, tra ricchezza e povertà, tra morte e vita.

Uno scritto che incatena il lettore stimolandolo alla riflessione, immergendolo nell’abisso delle proprie deboli certezze, rivolgendogli apertamente, senza censure, provocazioni e interrogativi scomodi, circa il mistero di una natura umana da sempre assetata di senso e di verità, ma resa naufraga in un mare di contraddizioni, di fatalità e di intollerabili ingiustizie: “Un giorno chiederò a Dio alcune cose, gli chiederò cosa sia più vero fra questa realtà sporca e squallida e il sogno che vede Paolo e me seduti al nostro bistrot preferito, o a fare l’amore in un letto che non è mai stato reale (ma il piacere che ci doniamo, dopo tanto dolore, lo è, eccome). Cosa sia più vero fra il sogno e l’ospedale. So che Dio non ha conti in sospeso con me. Ho già pagato il prezzo più alto, non mi resta altro da scontare. So che Dio è innamorato del perdono. So che conosce il mio perdono, solido come la roccia, quando potrei essere quell’altra cosa, quella parola che odio, e che, non lo nego, qualche volta mi ha attraversata. Sono così facile da attraversare. Vendetta. Ma vendetta contro chi?”.

E se il perdono e la speranza, proferite con trasporto dalla tragica figura di Selene, fossero in realtà il perimetro e il confine entro i quali dare forma alla più lucida delle follie, cioè a quel desiderio tenace in grado di orientarci irresistibilmente verso gli altri, dando corpo all’utopia onirica di una salvezza condivisa? Il racconto lascia volutamente in sospeso il quesito, offrendo al lettore un’occasione preziosa per interrogarsi, nel profondo, circa l’orientamento e la qualità delle proprie scelte di vita, nel segno della responsabilità verso il prossimo, ossia verso un altro me stesso.

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