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Area di Sosta

La riflessione

E come dono di Natale, aiutiamoci a sperare

C’è urgenza di ridare slancio e capacità di volo alla speranza, diventata ancora più indispensabile per respirare i giorni che viviamo. Ma quali ali possiamo trovare oggi per far volare la speranza in un cielo gonfio di preoccupazioni e paure?

Arriva Natale, un’altra volta, e il rovello si ripropone: dove e come viverlo, spesso anche con chi? In passato, nella civiltà contadina e dei nostri molti emigranti in Svizzera e Francia non c’era dubbio: “Natale con i tuoi” (e Pasqua con chi vuoi). Il calendario della modernità ha rivoluzionato anche le abitudini.

Paradossalmente, per come stanno andando le cose, Colui che dovrebbe essere il grande festeggiato per il compleanno rischia di essere il Grande Assente, perché oggi le prime cure e premure vanno al corollario piuttosto che alla centralità dell’evento.

Volteggiando nel cielo sopra Betlemme, nell’annuncio ai pastori, gli angeli auguravano “pace agli uomini di buona volontà” (messaggio un po’ più impegnativo e coinvolgente della nuova versione nel “Gloria”, con “gli uomini amati dal Signore”. Come si può pensare di non essere amati da un Dio-padre?). Dopo 2023 anni il mondo non pare aver fatto grandi progressi su questa strada.

Sì, quest’anno è prevedibile il rilancio (con puntuale immancabile codazzo di polemiche anche qui) del presepio, nel ricordo del primo ideato da Francesco d’Assisi per il Natale del 1223 a Greccio, ma in generale si sta più alla cornice che al quadro. E allora, dove tentare di mettere l’accento sul nuovo compleanno di Gesù?

C’è urgenza di ridare slancio e capacità di volo alla speranza, diventata ancora più indispensabile per respirare i giorni che viviamo. Ma quali ali possiamo trovare oggi per far volare la speranza in un cielo gonfio di preoccupazioni e paure?

Dalla Cornabusa una riflessione sui nuovi vitelli d’oro

Anni fa, in un incontro di festa alla Cornabusa, una bella figura di vescovo, Ernesto Togni, mancato un anno fa, invitava a sostare e a riflettere, per renderci conto di come la presenza di Dio sia diventata meno visibile nella nostra società e colta con più difficoltà dalle persone. “Dopo l’esperienza di povertà materiale dell’ultima guerra, siamo andati camminando giorno per giorno alla conquista di un benessere materiale, mai conosciuto da nessun secolo in precedenza, e cresciuto in progressione per le conquiste della tecnica e le invenzioni della scienza. E allora abbiamo pensato tutti: è arrivata la felicità”.

Da noi si stava innalzando a idolo ciò che a 40 mila km, in America era già sugli altari: il denaro, la comodità, il lusso, il piacere, il divertimento, lo sport, il sesso. “E quando gli idoli prendono spazio, fatalmente finisce che se ne sottrae a Dio. Le due città, quella del bene e l’altra del male: che non si conciliano”, sottolineò Togni.

Qui e là, noi e loro, i vecchi con saldezze morali consolidate, i giovani con il relativismo poi diventato filosofia diffusa. Le due facce andavano sempre più ad assomigliarsi, come si vede bene anche nel costante calo della pratica religiosa, ancor più dopo la devastante pandemia del covid, culminata con le chiese a lungo chiuse per prevenire il contagio.

Nei nostri paesi ci sono 2, 3, 4 chiese, spesso una in ogni frazione. C’era povertà estesa che obbligava anche a far le valigie: i nostri vecchi ritenevano però a Dio bisogna dare senza calcoli. Verso dove stiamo andando? Quale sarà il destino di argomenti spesso al centro di dibattiti, come storia, identità e appartenenza? Quali i riferimenti che uniranno le persone e i territori del futuro, dove si troveranno punti di coesione? Non è facile individuare la nuova frontiera verso dove avventurarsi in questa modernità che entusiasma, ma anche frastorna e disorienta.

Se non vogliamo essere sempre più soli

Stiamo sperimentando la complessità del credere dentro un tempo in cui la tecnologia assurge sempre più a nuova religione e in una società efficientista, spesso chiusa e sorda agli altri.

Con un’altra confidenza il vescovo Ernesto Togni raccontò che a San Francisco s’era imbattuto per strada in una cantante gospel. Accompagnandosi alla chitarra, con voce struggente quella donna si rivolgeva alla gente distratta, con una provocazione diretta: “Gesù sta tornando, sei pronto ad accoglierlo?”. È una domanda ancora più cruciale oggi, alla vigilia di questo nuovo Natale.

Nella globalizzazione tutto si lega, dal personale al collettivo, da New York a Milano, a Bergamo e come comunità si percepisce l’urgenza di ritessere rapporti sfilacciati o persi, di uscire dal guscio dell’indifferenza, della rinuncia, dell’individualismo. Serve cercare e vivere una dimensione umana, andando oltre lo slogan, nel concreto, se non vogliamo diventare gente senza speranza e sempre più sola. Dove non c’è umanità, non può esserci nemmeno Dio. E forse è vero che la nostalgia di Dio è un problema eminentemente moderno, più nostro, oggi, che nei tempi andati.

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