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Certe cronache sui femminicidi…

Le denunce al 1522 (numero telefonico di emergenza contro le violenze di genere) sono raddoppiate e non si sono esaurite nell’ondata emotiva di pochi giorni. Forse sta maturando qualcosa di nuovo anche sul piano della responsabilità ai vari livelli

Sono 110 i femminicidi in Italia fino al 10 dicembre 2023: ben 91 in ambito familiare o affettivo, 59 le donne uccise da partner o ex partner. La tragica fine di Giulia Cecchettin ha avuto e sta avendo un clamore mediatico straordinario che si spera contribuisca a sensibilizzare, educare, far riflettere, ottenendo un cambiamento nei comportamenti di molti uomini – ancora troppi – convinti di poter disporre a discrezione personale di una donna come personale proprietà.

Anche dopo l’uccisione di Giulia, per i diversi casi, si sono moltiplicati gli appelli a una nuova cultura e per la fine di atteggiamenti da padri-padroni delle proprie mogli, compagne, fidanzate… La sensazione è che ci si limiti spesso ad impressionarsi per qualche tempo, fino al nuovo intollerabile caso di violenza (mentre ancora si viveva il lutto nazionale per Giulia, il 5 dicembre una donna è stata aggredita e sfregiata al volto e alla schiena con l’acido dall’ex-marito).

Più che dire e invocare, è ora di “fare” e mettere in atto tutto, ma proprio tutto, il necessario per prevenire con ogni mezzo la messa in atto di agguati d’ogni genere.

Ogni ritardo può diventare una colpa e i “se” ed i “ma” che accompagnano molte cronache annunciate delle vittime più deboli e fragili servono a poco. È il “prima” che va posto in atto. Si pensi soltanto a cosa ha prodotto in molte donne molestate e bersagli di violenza maschile la nuova consapevolezza suscitata dalla ferma reazione di Elena, sorella di Giulia che ha esortato a reagire, a cogliere i segnali di pericolo che non vanno mai minimizzati o trascurati. Molte donne che subiscono da tempo in silenzio hanno trovato il coraggio di identificarsi nelle parole forti di Elena.

Le denunce al 1522 (numero telefonico di emergenza contro le violenze di genere) sono raddoppiate e non si sono esaurite nell’ondata emotiva di pochi giorni. Forse sta maturando qualcosa di nuovo anche sul piano della responsabilità ai vari livelli.

Bene ha fatto Gino Cecchettin nel suo toccante intervento come padre, al termine del funerale a Padova, a ripercorrere un dramma nei suoi molti perché.
Uno di questi ha riguardato – ed è stato molto opportuno – anche i mass media per vari eccessi. Questo un passaggio saliente del suo condivisibile rilievo critico: “Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti…”.

Che senso ha e che valore aggiunto porta a una causa – quella della difesa totale della vita e della dignità della donna da ogni forma di violenza – il diffondersi in particolari da raccapriccio sulle coltellate “tra il collo e la testa, senza lasciare scampo, in una morte quasi istantanea”. È così necessario – nell’elenco delle lesioni inferte a Giulia – sottolineare anche “quella mortale, a forma di asola che sembra sferrata da dietro, o comunque in modo laterale, e che recide l’arteria basilare”?

Una cronaca non è un verbale di carabinieri o di magistrati.

Andrea Spada, storico e indimenticato direttore de “L’Eco di Bergamo”, con il suo giornalismo insegnava che “alla gente si può dir tutto, ma è sempre il modo, l’animo che è più importante dell’inchiostro”. Per essere ancora più esplicito: “Quando devi scrivere di un fatto terribile, prova a immaginarlo come se la vittima fosse un familiare. Con la mamma, il papà, una sorella o un fratello troverai le parole giuste, non una di troppo per raccontarlo”. E concludeva con un aureo principio da direttore e prete ma prima ancora da uomo: “Se qualche volta non ti vedo piangere
per la notizia di una disgrazia, vuol dire che non sei un vero giornalista”.

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