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La recensione

“A guardia di una fede”, il credo laico verso l’Atalanta raccontato dal Bocia

Trent’anni di storia della Curva Nord, narrati da uno dei suoi leader più rappresentativi e controversi, dal DASPO al Gesù della chiesa dell’Ospedale. Oltre 2.500 spettatori e otto sold out, dopo le prime proiezioni

Titolo: A guardia di una fede

Titolo internazionale: Guardians of a Faith

Regia: Andrea Zambelli

Paese di produzione/ anno/durata: Italia / 2023 / 102 min.

Fotografia: Andrea Zambelli

Montaggio: Cristina Sardo

Cast: Claudio “Bocia” Galimberti

Produzione: Andrea Zanoli per Lab 80 film, Davide Ferrario per Rossofuoco

Programmazione: Lab80 (Auditorium Piazza Libertà)

 

“A guardia di una fede”. Non poteva avere titolo più azzeccato il documentario del regista bergamasco Andrea Zambelli, che mostra trent’anni di storia della Curva Nord dell’Atalanta, presentato in questi giorni all’interno del programma di proiezioni di Lab80, nell’Auditorium di Piazza della Libertà.

Un film, prodotto da Andrea Zanoli per Lab 80 film e Davide Ferrario per Rossofuoco, che ha fatto registrare otto sold out dalla scorsa settimana, con oltre 2.500 spettatori. Un’importante affluenza di pubblico che dimostra, ancora una volta, l’attaccamento dei bergamaschi verso la squadra cittadina e l’attenzione ancora presente verso la vicenda di Claudio “Bocia” Galimberti, storico capo della Curva Nord, condannato a 30 anni complessivi di DASPO.

Vicende che l’hanno visto colpevole e martire, umano e provocatorio, sacerdote e profeta di una fede laica come quella verso il rituale del calcio e il tifo verso la propria squadra del cuore. Trent’anni di storia ultras raccontati dalla voce del Bocia e mostrati attraverso immagini di repertorio e di stretta attualità che coinvolge il rinnovamento dell’Atalanta e del suo stadio, ma anche il ricordo di un periodo terribilmente complicato come la pandemia che ha travolto la Bergamasca.

Risulta evidente come, per capire a fondo un personaggio come il Bocia e le dinamiche che coinvolgono il movimento Ultras, sia necessario avere fede. Una fede laica, che si fatica a capire ed a spiegare, ma che si può solo provare. Non esistono vie di mezzo.

Una fede che accompagna anche nel riscatto, come la Dea Atalanta che quasi in un campo-controcampo sovrannaturale si confronta con l’immagine della Madonna presente sull’imbarcazione di Galimberti, la Caligo Guercio, con la quale ha iniziato una nuova vita come allevatore di cozze a Marotta, vicino a Senigallia, nelle Marche. In riva al mare, il Bocia racconta dei suoi trent’anni di DASPO (con sorveglianza speciale nel 2009), tra allontanamenti dallo stadio e dalla Bergamasca, il suo ritrovarsi apolide sull’Autostrada con l’attaccamento al quartiere di Redona e l’amore per il calcio di provincia, quello che ancora oggi, anche per il regista, mantiene ancora il profumo del calcio, quello fatto di “fango e tacchetti”.

 

bocia docufilm

 

Il Bocia, quasi una sorta di Caronte esiliato, racconta le vicende che hanno attraversato il movimento Ultras nazionale, dall’avvicinamento con gli storici nemici del Brescia dopo il ferimento dell’ultrà bresciano Paolo Scaroni, colpito alla testa dalla Polizia alla stazione di Verona Porta Nuova, all’omicidio del laziale Gabriele Sandri nel 2007, ucciso dall’agente di Polizia Stradale Luigi Spaccarotella. Esempi lampanti che sottolineano il senso di fratellanza insito nei gruppi Ultras, ma anche un codice di comportamento impossibile da accettare per uno sguardo esterno.

Una contraddizione esplosa dopo la raffigurazione del volto del Bocia sul Cristo, realizzato da Andrea Mastrovito nel 2016, nella chiesa di San Giovanni XXIII all’ospedale di Bergamo. Sacro e profano, così come la Festa della Dea, da anni ormai rito civile per gli atalantini, simbolo di comunità ed aggregazione, oltre che di volontariato e di gesti concreti d’aiuto.

Festa della Dea come rito laico, dal provocatorio carro armato che nel 2013 schiaccia due auto che simboleggiano Roma e Brescia alla benedizione che dal palco un sacerdote impartisce alla folla. Folla che segue il Bocia, ma che mai si mostra reticente nel mostrare la propria Fede, calcistica o religiosa che sia.

Religione che diventa rito, con il silenzio e il volo delle fiaccole in cielo nel ricordo di Yara Gambirasio e l’abbraccio del Bocia proprio con il padre della ragazzina trovata morta in un campo di Chignolo d’Isola.

La figura di Galimberti, con il suo carisma, catalizza spesso lo sguardo nelle inquadrature, ma il regista riesce con altre immagini evocative a donare il senso di un’Atalanta e di una Curva come comunità.

Le fiaccole rosse che salgono al cielo a ricordo della piccola Yara, i tanti bambini che affollano la Festa della Dea, i neonati che indossano la maglia nerazzurra, i fumogeni che illuminano le mura di Città Alta, una Bergamo deserta che segue la sua squadra fino al momento più alto della sua storia calcistica.

Poi ancora il Bocia, che da capo Ultras diventa semplice lavoratore, che si divide tra mare ed un centro ippico (dove finirà di scontare una delle sue condanne). Personaggio sempre e per sempre contradditorio, che si ama o si odia, che non fa nulla per proprio interesse e che finisce per diventare Cristo in croce, che ha riunito i vari gruppi Ultras con il solo scopo di restare “a guardia di una fede”.

Il calcio come un rito, citando Desmond Morris, che a volte risulta difficile da comprendere o da giustificare. Come una fede, che nell’irrazionale racchiude esigenze ed emozioni a volte insopprimibili.

 

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