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Indagine ascom

Affitti aumentati fino al 15%, a Bergamo in crisi un negozio su due

“Gli ultimi due anni – ha precisato Oscar Fusini - sono stati negativi per il numero di cessazioni di attività, poco più di mezzo migliaio nel primo semestre di quest’anno, a fronte comunque di aperture per più di 850 unità, per un saldo positivo di poco superiore alle 300 attività”

Bergamo. Credito d’imposta sulle locazioni dei negozi delle merceologie più colpite dall’inflazione e dal calo delle vendite (abbigliamento, calzature e alimentari in particolare) e reintroduzione della cedolare secca sugli esercizi commerciali. Sono le due proposte che Ascom Confcommercio Bergamo ha avanzato, lunedì 4 dicembre, per fronteggiare sia il problema dell’aumento degli affitti per queste attività sia il conseguente rischio di desertificazione di talune delle zone più periferiche del capoluogo e dei principali centri urbani.

“Tra ottobre 2021 e quello che ci siamo appena lasciati alle spalle – ha spiegato Oscar Fusini, direttore dell’associazione che in provincia conta oltre 43mila imprese operanti nel Terziario – l’aumento Istat è stato infatti del 13,4%. Ma, nel periodo 2020-ottobre 2023, è salito addirittura del 16,9%. Per questa ragione, a nome delle categorie più colpite dall’inflazione e dal calo delle vendite, chiediamo sia un credito d’imposta sulle locazioni degli immobili, dopo che i canoni sono cresciuti di una mensilità in due anni, sia la riadozione della cedolare secca sui locali commerciali”.

“Inoltre – ha aggiunto Oscar Caironi, presidente della sezione di Bergamo della Federazione mediatori e agenti d’affari oltre che coordinatore di Fimaa Lombardia) – si potrebbe agire anche sul fronte della Rigenerazione urbana, coinvolgendo Ance Bergamo, l’Ordine degli Architetti, le associazioni degli Amministratori di condominio, il Comune del capoluogo e noi per mappare alcune aree cittadine al duplice scopo di intervenire sul nuovo PGT oltre che per ridefinire alcuni spazi, sfitti di lungo termine”.

“Il riferimento – ha spiegato Fusini – è ad alcuni immobili in via Sardegna (quartiere di San Tomaso) dove si contano numerosi locali sfitti, a piano terra, che potrebbero essere riconvertiti ad uso degli studenti universitari”. Senza dimenticare, d’altro canto, la possibilità di “rivedere la Legge, risalente al 1978, che regolamenta sia l’insediamento abitativo sia quello commerciale”.

Il quadro della situazione

Le proposte sono conseguenza diretta della recente ricerca che Ascom ha commissionato a Format research, sui canoni di locazione che le attività terziarie bergamasche sono chiamate a sostenere in questo frangente storico.
Dall’indagine risulta che 6 imprese su 10, fra quelle operanti nel Terziario (per la precisione il 61,1%, cioè oltre 26600 attività tra Commercio, Turismo e Servizi, compresi quelli alla persona) sono in affitto. E durante l’anno che sta per concludersi, il 59% dei loro titolari ha dichiarato di aver dovuto far fronte ad aumenti dei canoni: nel 48% dei casi, la variazione sarebbe stata compresa fra il 5 e il 15%; nell’11% avrebbe superato il 15%. Nessun rialzo, invece, per l’altro 41% dei loro colleghi, che non sono proprietari dei muri.

Contestualmente, dell’iniziale 61,1% del campione preso in esame, meno della metà (cioè il 48,6%) ha ravvisato difficoltà nello stare al passo con le scadenze degli affitti: ‘molte’ per il 21,6% e ‘abbastanza’ per il 27%; per la maggioranza (51,4%) degli interpellati, invece, gli impedimenti hanno oscillato nell’area del risibile, tra il ‘poco’ e il ‘per nulla’. Che le spalle dei 701 imprenditori selezionati siano, ancora, abbastanza larghe, lo dimostrano le risposte date alla successiva domanda posta agli intervistati. Solo meno di un terzo (28,6%) probabilmente si sposterebbe (evenienza ‘molto probabile’ per un risicato 3,6% a fronte di un più consistente 25% secondo il quale tale eventualità potrebbe rivelarsi ‘abbastanza probabile’), qualora fosse richiesto di pagare un affitto più oneroso dell’attuale. Per oltre due-terzi del campione (pari al 71,4%) invece, l’eventuale ulteriore aumento del canone non comporterebbe automaticamente un trasferimento.

Fin qui la fotografia relativa alla prima parte dell’indagine, focalizzata sugli affitti nel Terziario bergamasco, illustrata lunedì.
“Gli ultimi due anni – ha precisato Fusini – sono stati negativi per il numero di cessazioni di attività (poco più di mezzo migliaio nel primo semestre di quest’anno, a fronte comunque di aperture per più di 850 unità, per un saldo positivo di poco superiore alle 300 attività)” e “i nuovi contratti con canoni diminuiti sono pochi rispetto alle decine di migliaia di affitti in corso che, invece, continuano a crescere per effetto dell’adeguamento Istat”. “Inoltre – gli ha fatto eco Caironi – l’attuale sistema dei tassi di interesse non favorisce l’investimento per l’acquisto degli immobili in cui sono affittuari, a gran parte dei titolari delle imprese del Terziario”.

I motivi?

“L’inflazione colpisce queste imprese sia sul versante delle vendite, che calano, sia su quello dei costi, canoni in rialzo” spiega il direttore Fusini. Che precisa: “Tra le categorie più colpite, ci sono le merceologiche tradizionali (abbigliamento, calzature e accessori), che costituiscono la spina dorsale del commercio dei centri urbani. Oggi, però, il problema si sta estendendo ai negozi del commercio alimentare, che vedono contrarsi le spese delle famiglie”.
A loro volta preoccupate dalla situazione generale. A fronte di questo scenario, la ricerca commissionata a Format research ha messo in evidenza un altro aspetto legato a quello degli affitti in aumento: l’incremento del numero dei locali sfitti. In assenza di numeri precisi, la ricerca ha cercato di cogliere quanto meno il sentiment che aleggia fra gli imprenditori del Terziario. Il 46,1% delle imprese del campione selezionato ritiene che il fenomeno si sia aggravato nella zona in cui opera, rispetto al 2022; di contro, il 53,9% non la pensa così. Ma la percentuale aumenta decisamente, ribaltandosi, se agli intervistati viene chiesto un parere alla situazione antecedente, cioè pre-covid: il 63,1% pensa cioè che il fenomeno dei locali sfitti, nella zona in cui lavora, si sia aggravata rispetto a quattro anni fa. Di parere opposto, il 36,9%: ‘poco’ per il 26,5% e ‘per nulla’ il 10,4%.

Nonostante ciò, per poco più di sei imprese su dieci (60,5%), il fenomeno dei locali sfitti non ha avuto effetti negativi sulle attività. Secondo il 17,3% si è assistito sì ad un peggioramento dell’immagine dell’impresa ma non ad un calo dei ricavi; per il 22,2% del campione, invece, al deterioramento dell’immagine si è pure abbinata una riduzione dei ricavi.
Da qui, le proposte di cui abbiamo detto.

A questo punto bisognerà vedere se gli attori chiamati in causa da Ascom Confcommercio Bergamo e da Fimaa Bergamo accetteranno, nell’interesse dell’intera comunità, di mettersi in gioco per trovare valide soluzioni.
I livelli dove affrontare le questioni e prendere le relative decisioni sono almeno due. Da un lato c’è il piano nazionale dove, oltre alle Legge del 1978, si dovrebbe decidere anche in merito ad una norma che regolamenti la delicata questione della ‘Rigenerazione urbana’, sollevata un mese e mezzo fa dalla presidente di Ance Bergamo, Vanessa Pesenti, in occasione della 75a assemblea dei costruttori. A livello locale, invece, difficile pensare a soluzioni a breve. A giugno ci saranno le votazioni per dare a Bergamo un nuovo Sindaco e, verosimilmente, anche questi temi potrebbero diventare argomenti da mettere sul tavolo durante i mesi della campagna elettorale. In modo tale che il prossimo inquilino di Palafrizzoni, già il 9 giugno 2024 possa iniziare a lavorare per rispondere, coi fatti, a queste sollecitazioni.

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