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Lirica

Donizetti Opera, la forza della conoscenza e dell’accoglienza di “Alfredo il Grande” fotogallery

Al Festival Donizetti Opera grande successo anche per la replica di Alfredo il Grande, con musica e cast ottimi e una scenografia d’impatto

Bergamo. “Parlo sincero (sarà quel che sarà), ma io non so far di più”. Parole scritte a Mayr da un Donizetti sconfortato, per un’opera che non ebbe molto successo (fatto che avvenne invece per il compositore bergamasco con i lavori successivi). Un’opera, “Alfredo il Grande” che il 2 luglio 1823 segnò il debutto del ventiseienne Donizetti al Real Teatro di San Carlo di Napoli, senza però alcuna replica.

Un’opera che, nel bicentenario, trova però una prova d’appello grazie a Donizetti Opera ed al suo progetto #donizetti200, che consiste nel rappresentare in ogni edizione del festival un’opera composta da Donizetti nello stesso anno, ma due secoli prima. Prima volta in scena nell’epoca moderna, l’opera ha riscosso un grande successo domenica 19 novembre, seguito dalla replica altrettanto positiva di venerdì 24. Una serata che ha visto il pubblico del teatro Donizetti accogliere l’opera, ancora una volta, con scroscianti applausi.

Nonostante il melodramma in questione non abbia di per sé un libretto memorabile (versi dell’abate Andrea Leone Tottola), lo spettacolo ha reso al meglio nella sua interezza.

Nel nono secolo durante l’invasione danese dell’Inghilterra, sull’isola di Athelney, la regina Amalia (Gilda Fiume), accompagnata dal generale Eduardo (Lodovico Filippo Ravizza), travestiti da contadini, sono alla ricerca di re Alfredo (Antonino Siragusa), scappato nella campagna per fuggire dagli invasori. A dare loro ospitalità è un contadino, Guglielmo (Antonio Gares), nella cui casa incontreranno proprio Alfredo. Il re ed Amalia, avvisati dell’arrivo dei danesi, vengono catturati poco dopo proprio dal generale danese Atkins (Adolfo Corrado). Nel frattempo, Eduardo e Guglielmo, con soldati, pastori e contadini, liberano Alfredo, che vorrà sconfiggere i danesi sul campo di battaglia. Fatto che avverrà, mentre Amalia dovrà fuggire da Atkins, salvata poi dal marito.

L’ottima regia di Stefano Simone Pintor dona ordine e consistenza a tutta l’opera, anche attraverso i movimenti dei cantanti che si muovono su una scena, ideata da Gregorio Zurla, minimal ma dal grande impatto.

Filo conduttore sono i libri, che aprono la scena e si materializzano sul grande fondale-schermo, dove scorrono miniature e pagine scritte, ma anche roghi, sommosse (ad esempio le celebri scene dell’assalto al Campidoglio dopo l’elezione del presidente americano Biden) e guerre dell’attualità. Disordini e fuoco che rendono l’idea della lotta tra danesi e britanni che si svolge nel corso dell’opera, richiamati anche dai leggii dei cori che mettono in risalto le due bandiere nazionali. A fare da contraltare alla guerra, proprio la figura del protagonista, Alfredo il Grande che è tale anche per la propria statura intellettuale e per il suo impegno nella promozione della cultura.

Un sovrano medievale inglese, venerato dai cattolici e dagli anglicani, che diventa icona fuori dal tempo e dalla Storia, simbolo di una cultura sempre minacciata dalla guerra, ma sempre resistente ad essa. Sulla scena, non a caso, ritornano spesso i libri, simbolo di cultura, che diventano ancora più importanti con l’aumentare dell’azione e degli eventi drammatici.

Un’opera che, per essere tale, guarda all’universalità ed alla contemporaneità, allo stesso tempo. Alfredo il Grande parla al mondo d’oggi, racconta di guerre (che mai hanno vincitori, ma che portano con sé sangue e razzie) e di accoglienza. La scena di Zurla riesce bene ad amalgamare il tutto ed allo stesso tempo sottolineare divisioni e confronti, mostrando sulla scena presente storico e stretta attualità. Un’attualità dove l’accoglienza e lo spendersi per gli altri risulta sempre più difficile, ma sempre più necessario, come sottolineato dall’impegno di semplici contadini nell’aiutare una coppia reale. (chiara in questo senso l’uniforme della Croce Rossa indossata da Enrichetta, interpretata da Valeria Girardello).

Messaggi importanti, sorretti senza ombra di dubbio dalle prove notevoli degli interpreti: ottimi il soprano Gilda Fiume e il tenore Antonino Siragusa, come altrettanto le voci gravi di Lodovico Filippo Ravizza e Adolfo Corrado. Applausi più che meritati poi per il direttore bergamasco Corrado Rovaris con l’Orchestra Donizetti Opera e il coro della Radio ungherese diretto da Zoltán Pad. Un cast che, grazie ad una bella idea registica, si presenta sul finale, insieme al coro e ad una banda: un confronto collettivo in grado di emozionare proprio al culmine dell’opera. Un “Alfredo il Grande” che parla di conoscenza e di come questa sia indispensabile per l’uomo, opera che esemplifica idealmente (e materialmente) il grande lavoro di ricerca che si cela dietro #donizetti200. Conoscenza che apre la scena e, idealmente, la chiude: “La cosa più triste per un uomo è che sia ignorante. La più eccitante che sappia”.

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