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Teatro

Bergamo, da Nozzari a Rubini: la fabbrica che produce tenori

Perché Bergamo, dalla metà del Settecento in poi, ha dato natali ai primi tenori nel mondo di quell’epoca? "Per influenza del paesaggio e del clima, ma anche predisposizione genetica della popolazione"

Bergamo. “Quella del Settecento non era opera per tenori: era seria, almeno, dominata da castrati e primedonne. Nel genere comico avevano invece trovato il ruolo habitat nei ruoli cosiddetti di mezzocarattere. A fine secolo, però, si cominciò a pretendere voce virile anche dagli eroi di melodramma serio, e quella di tenore si affermò. A Bergamo e nel suo territorio nacquero e si formarono tenori importanti, protagonisti di eccellenza delle opere di Rossini, prima, e poi Donizetti. Tra loro Andrea Nozzari e Giovanni Battista Rubini, capaci di suoni baritonali o di acuti stratosferici analogamente a Domenico Donzelli e Giovanni David: materia prima eccezionale, nelle mani dei compositori”.

Giorgio Appolonia, scrittore e ricercatore, introduce il suo discorso riguardo i tenori bergamaschi, senza dimenticare di ringraziare quella componente della Fondazione Donizetti che è poco visibile, in quanto opera dietro le quinte per la realizzazione dell’Opera. Si tratta della componente Scientifica, ovvero di coloro che si occupano della ricerca e dello studio dei testi da cui si attinge per la costruzione e realizzazione di uno spettacolo.

Tra loro ricordiamo Paolo Fabbri, che spiega: “Questo lavoro trova i suoi sbocchi in palcoscenico, non rimane dietro le quinte o sulle scrivanie e gli scaffali delle biblioteche. Abbiamo preso spunto dall’opera Alfredo il Grande per mettere a fuoco il tenore Andrea Nozzari, primo interprete dell’opera”.

Prosegue sempre Fabbri riguardo a una città produttrice di tenori: “Bergamo è considerata la patria degli usignoli del canto italiano. Rubini, critico e compositore, scrive ‘Bergamo e i suoi dintorni hanno il privilegio di fornire tenori all’Europa Musicale. È forse l’aria, il sole, l’acqua che beve questa popolazione privilegiata o la polenta di cui essa fa un uso, la freschezza delle vallate o il vento impetuoso che scende dalle montagne, che predispone i bergamaschi per l’esecuzione di canti in chiave di Do. È un dato di fatto costante che i quattro quinti dei tenori italiani vengono da Bergamo. Non cercate a Bergamo né bassi, né soprani, né soprAlti, né baritoni. Il paese non produce che tenori’

Segue un piccolo elenco dei tenori bergamaschi che hanno arricchito il panorama musicale europeo:
Giacomo David (Bergamo 1750, debutto: Bergamo 1770, età 20 anni);
Giuseppe Viganoni (Almenno San Salvatore 1757, primo debutto: 1777, 20 anni);
Adamo Bianchi (Bergamo 1764, primo debutto: Monza 1784, 20 anni);
Eliodoro Bianchi (Cividate al Piano 1773, primo debutto: Treviso 1793, 20 anni);
Andrea Nozzari (Vertova 1776, primo debutto: Pavia 1794, 18 anni);
Marco Bordogni (Gazzaniga 1789, primo debutto: Novara 1808, 19 anni);
Domenico Donzelli (Bergamo 1790, primo debutto: 1807, 18 anni);
Giovanni David (Napoli, ma bergamasco in quanto figlio di Giacomo David 1790, primo debutto: Siena 1808, 18 anni);
Pietro Bolognesi (Bergamo 1791, primo debutto: Messina 1812, 21 anni);
Giacomo Rubini (Romano di Lombardia 1791, primo debutto: Bergamo 1811, 20 anni);
Giovanni Battista Rubini (Romano di Lombardia 1794, primo debutto: Bergamo 1812, 18 anni);
Giovanni Storti (Bergamo 1801, primo debutto: Cremona 1825, 24 anni);
Carlo Trezzini (Bergamo 1805, primo debutto: Monaco 1823, 18 anni);
Giovanni Battista Milesi (Bergamo 1807, primo debutto: Bergamo 1830, dopo i 22 anni)

Perché tanti tenori a Bergamo?
Ci si è sempre chiesto perché Bergamo, dalla metà del Settecento in poi, abbia dato natali ai primi tenori nel mondo di quell’epoca. Le spiegazioni sono state le seguenti: influenza del paesaggio e del clima, ma anche predisposizione genetica della popolazione: come citato dallo scrittore e musicologo John Rosselli: “Era più che raro che i cantanti potessero essere figli d’arte rispetto ai suonatori di tromba o di violino, perché il canto, più che la pratica strumentale, dipende da doti naturali che non si trasmettono necessariamente per via ereditaria”.

Si ipotizza che un altro aspetto possa riguardare le interrelazioni familiare o la didattica: l’insegnamento del canto passa spesso di padre in figlio, da zio a nipote, da “maestro della porta accanto” ad allievo. Inoltre gioca un ruolo importante la formazione scolastica: accanto alle chiese fiorivano scholae, dove agivano i maestri capaci di individuare le voci e di formarle. E così non era infrequente che artisti nati e istruiti in Bergamo arrivassero a San Marco o comunque operassero nei territori della Repubblica veneta. E da Venezia spesso prendevano il via carriere internazionali.

Nell’ambito della familiarità, colore e timbro della voce sono caratteristiche individuali, inconfondibili, una sorta di impronta digitale che in parte ereditiamo dai genitori. Un articolo su Science Advances ora ci spiega che esistono varianti nella sequenza (mutazioni) del gene ABCC9 che influenzano le caratteristiche del parlato e del canto: dunque è chiaro il ruolo giocato dal DNA.

Un team di scienziati islandesi collegati al deCODE Health Study ha incrociato le registrazioni vocali di un campione di diecimila individui con i dati delle sequenze del genoma. In questo modo hanno identificato mutazioni comuni nel gene ABCC9 che sono associate a una voce più o meno acuta, sia negli uomini sia nelle donne.

Per quanto riguarda l’ambiente, come gli studi scientifici più recenti dimostrano: “Ciò che siamo non è solo già scritto nel nostro Dna, ma è anche determinato da un processo di interazione dinamica fra il genoma e l’ambiente in cui siamo immersi. Le esperienze fatte nell’ambiente quotidiano sarebbero quindi in grado di modellare l’attività di geni attraverso le cosiddette modificazioni epigenetiche”.

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