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La criminologa

“Lucida e razionale: cosa potrebbe aver portato Monia ad uccidere i suoi due figli”

Martina di Mattia: “Sembrerebbero non emergere disturbi di tipo psichiatrico che possono aver influito sulla capacità di intendere e di volere della donna”

Martina di Mattia, psicologa e criminologa clinica bergamasca, parte da una premessa. “Non ho visionato nessun atto e alcuna documentazione relativa al caso, mi sto basando sulle informazioni apprese di recente tramite i mass-media”.

Si parla, ovviamente, del caso di Monia Bortolotti“, la 27enna mamma di Pedrengo accusata di duplice infanticidio. “Tante  sono le cose che non tornano e gli aspetti ancora da chiarire. Capire come mai una madre, più o meno consapevolmente, arrivi a mettere fine alla vita del proprio figlio è molto difficile e appare incomprensibile. Per un’approfondita analisi di ogni singolo caso bisogna sempre disporre di tutta una serie di informazioni: dati anamnestici, socio-culturali, di contesto e familiari per poter comprendere. Occorre, inoltre, conoscere la struttura personologica di chi ha commesso l’omicidio, come nel caso della madre dei due neonati, Alice e Mattia, morti a distanza di un anno l’uno dall’altra molto probabilmente per asfissia”.

È il 15 novembre 2021 quando la piccola Alice di quattro mesi muore, fatto che all’epoca viene archiviato come morte in culla. Il 25 ottobre 2022 seguirà la morte di Mattia di soli due mesi, secondogenito di “Mia” Bortolotti e del compagno Cristian Zorzi, deceduto a causa di un’asfissia meccanica acuta. Sarà proprio la morte di Mattia a far destare sospetti e a far rivalutare agli inquirenti anche la morte della primogenita: due decessi molto simili tra loro in cui, in entrambe le situazioni, la mamma si trovava da sola in casa.

“Con il termine figlicidio – spiega la dottoressa Di Mattia – si fa riferimento all’uccisione di uno o più figli da parte di un genitore sia esso madre o padre, mentre con l’espressione infanticidio ci si riferisce all’atto che viene commesso solo per mano della madre che cagiona la morte del figlio neonato. È bene sottolineare che nell’ordinamento penale italiano non esiste il reato specifico di figlicidio. Dunque, l’uccisione dei propri figli si può configurare come infanticidio (art. 578 c.p.) oppure omicidio (art. 575 c.p.). L’uccisione di un bambino è un delitto atroce, destabilizzante e inaccettabile, soprattutto quando avviene nella famiglia, nel luogo cioè dove il piccolo dovrebbe crescere al sicuro, protetto, circondato dall’affetto e dall’amore dei propri genitori. L’omicidio diventa ancor più incomprensibile quando a commettere tale violenza inaudita è la madre stessa”.

In questo caso, secondo la criminologa, il movente dei delitti è da ricercare “nella storia personale dell’autrice, nella vita quotidiana e nella relazione con il padre dei suoi figli. Si tratta di un crimine del quale esistono una serie di tipologie situazionali e motivazionali che possono portare una donna a uccidere il proprio figlio. Tra queste vi sono casi di madri che assassinano con estrema crudeltà perché infastidite dal pianto o dalle esigenze del proprio piccolo, situazioni in cui divengono passive e negligenti nel loro ruolo materno, altre in cui assassinano i figli non voluti che spesso rievocano nella donna episodi spiacevoli e traumatizzanti della propria vita come violenze sessuali, momenti di abbandono o determinate difficoltà esistenziali; ulteriori casi in cui commettono tali delitti per ragioni di convenienza o pressione sociale e, infine, circostanze in cui il genitore per motivi ideologici, aderendo per esempio a particolari sette religiose che evitano il sottoporsi a cure mediche, lasciano che i propri figli muoiano piuttosto che sottoporli a cure o interventi che potrebbero salvarli (I. Merzagora, 2023). In altre situazioni una madre arriva ad uccidere perché affetta da psicopatologie puerperali come la maternity blues, la depressione post-partum o le psicosi puerperali. Infine, esistono situazioni in cui le madri uccidono il figlio per non farlo soffrire (omicidio compassionevole), altre perché credono di salvarlo (figlicidio altruistico) e altre ancora che desiderano di farla finita uccidendosi e uccidendo anche il proprio figlio (suicidio allargato)”. Nel caso di Monia Bortolotti, come riportato dai media, sembrerebbero non emergere disturbi di tipo psichiatrico che possono aver influito sulla capacità di intendere e di volere della donna: apparsa lucida, ben orientata, con grande capacità di linguaggio, razionalizzazione e freddezza.

La dottoressa Di Mattia conclude: “Chi sono le madri che uccidono e come mai arrivino a commettere tali azioni riprovevoli sono domande complesse. Come spiega la professoressa Isabella Merzagora, ordinario di Criminologia alle facoltà di Medicina e di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano e professore a contratto all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano: ‘Non c’è una vera e propria spiegazione. Per certo, c’è di fondo una grande sofferenza che, talvolta, resta inascoltata’”.

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