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La riflessione

“Ciò che è stato possibile per questi santi, è possibile anche per me”

“Quod istis mihi” reca scritto il cartiglio della celebre tela della Madonna e dei santi di Giampaolo Cavagna nella chiesa di Santa Maria Immacolata delle Grazie in Bergamo: “quello che è stato possibile per questi Santi è possibile anche per me”. Si tratta di una raffigurazione concreta di quanto già affermato da Sant'Agostino: Se questi e queste sono diventati santi, perché non anch’io’; “Si isti et istae, cur non ego?”

La data del 1° novembre e quella successiva del 2 novembre, per chi come me è della terza età, portavano con sé spontaneamente il ricordo della Festa di tutti i santi e del giorno dei Morti.

Oggi queste date sono associate alla festa di Halloween, la quale sebbene cada il 31 ottobre, anche grazie ai grandi interessi commerciali che la promuovono, ha oscurato quasi totalmente questi giorni così importanti nel calendario cristiano.

Questo contesto, di scheletri e di maschere, che diffonde una parodia della morte, rende ancora possibile la comprensione del senso di queste feste cristiane?
In un contesto dove persino la morte viene demitizzata e ridicolizzata, non dovranno subire la stessa sorte quegli “eroi mitizzati” che sono i Santi?

Ancor oggi, ma soprattutto in passato, nelle nostre chiese, ma anche sulle strade e agli angoli delle piazze c’erano statue di Santi, e ovunque si ricorreva a loro più che a Dio, perché Dio era sentito come lontano, un po’ inavvicinabile, mentre i santi – prima di essere elevati alla gloria degli altari – erano vissuti in questo mondo e avevano fatto la nostra stessa esperienza di vita, avevano affrontato i nostri stessi problemi e quindi ci capivano meglio.

Si ricorreva a loro, che poi fungevano da intermediari presso un Dio ritenuto non solo lontano, ma un po’ estraneo ai nostri problemi (si dimenticava che Lui era venuto in questo mondo per fare la nostra stessa esperienza di vita). Oggi, anche chi va in chiesa, generalmente si rivolge direttamente a Dio, con la fiducia dei figli. I santi – anche la Madonna- vengono considerati anzittutto come fratelli e sorelle che proprio per la loro santità e vicinanza a Dio possono essere più vicini a noi come nostri compagni di viaggio e a motivo delle diverse situazioni in cui sono vissuti ci indicano che la santità è possibile in ogni condizione di vita. In questo senso essi sono modelli di vita, non da ricopiare, ma che ispirano le nostre scelte per essere veri discepoli di Cristo. Per questo la chiesa pur venerando i santi, non cessa di cantare a Cristo “Tu solo sei santo!”

La ricorrenza annuale di Tutti i santi – come è celebrata oggi dalla chiesa – non è il giorno per ricordare i nomi di quei santi che non trovano posto nel calendario, ma il richiamo alla sanità che è raggiungibile da tutti e in tutte le possibili situazioni in cui il cristiano possa venirsi a trovare. Il gran numero di beatificazioni e canonizzazioni effettuate da Giovanni Paolo II durante il suo lungo pontificato non era frutto di una sua “mania”, bensì della convinzione che la santità è più frequente e più vicina a noi di quanto abbiamo pensato in passato. Per questo papa Francesco parla della capacità di scoprire i santi “della porta accanto”, della santità quotidiana, capillarmente diffusa, che è il vero miracolo che si realizza ogni giorno nella chiesa.

Si parla tanto delle malefatte dei cristiani. Ma perché non sappiamo vedere che la Chiesa è anche un popolo di santi di ogni nazione, razza, popolo e lingua, di ogni età, di ogni ceto sociale e livello culturale, e che la sua storia è tutta permeata di santità? Colpisce molto, per esempio, il constatare che la santità è meravigliosamente fiorita non solo nelle prigioni, ma persino nei campi di sterminio nazisti e nei gulag sovietici, veri inferni creati dalla crudeltà di uomini perversi e non dobbiamo dubitare (perché il bene non fa rumore come il male) che questo avvenga anche negli inferni non meno crudeli accesi dal diffondersi della “guerra mondiale a pezzi” di questi nostri giorni.

Il santo non è un eroe solitario, sprezzante di tutto e di tutti capace di sfidare ogni pericolo. Il santo è colui che nella vita ce l’ha fatta. Ce l’ha fatta a non odiare nonostante la solitudine e l’amarezza che lo hanno ferito; a continuare a credere nell’amore, nonostante le delusioni e cicatrici; a vivere di quella felicità che noi tutti cerchiamo di spremere dalla vita. Ce l’ha fatta a raggiungere quello che tutti dovremmo raggiungere perché a tutti e possibile, cioè la felicità di essere veramente e pianamente “umani”.

I santi, però, ci ricordano e ci indicano come questo è possibile per tutti non “umanamente” (senza Dio), ma “divinamente” (con Dio).

“Quod istis mihi” reca scritto il cartiglio della celebre tela della Madonna e dei santi di Giampaolo Cavagna nella chiesa di Santa Maria Immacolata delle Grazie in Bergamo: “quello che è stato possibile per questi Santi è possibile anche per me”. Si tratta di una raffigurazione concreta di quanto già affermato da Sant’Agostino: Se questi e queste sono diventati santi, perché non anch’io’; “Si isti et istae, cur non ego?”.

* Monsignor Valentino Ottolini, parroco della chiesa di Santa Maria Immacolata delle Grazie

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