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In tribunale

Non si ferma la violenza sulle donne: tre mariti a processo per maltrattamenti

Uno è stato condannato a 4 anni e 8 mesi, l'altro resta in carcere anche se la moglie lo rivuole a casa, l'ultimo è stato lasciato dalla consorte che ora vive in un appartamento protetto con i 4 figli

Bergamo. Tre uomini alla sbarra, tre donne maltrattate dai mariti. Ognuna di loro ha reagito in modo differente alle violenze subite, ma tutte hanno avuto la forza e il coraggio di denunciare. Una di loro, pakistana, è venuta in Italia con il sogno di emanciparsi, di diventare economicamente indipendente, di integrarsi nel nuovo Paese, ma il marito glielo ha impedito. Ora, che lo ha lasciato e vive in un appartamento protetto con i suoi 4 figli, studia l’italiano e presto inizierà a lavorare come addetta in una mensa. Una è marocchina: ha fatto finire il marito in carcere ma ora lo rivuole a casa, dice che manca tanto a lei e ai suoi tre figli, che continuano chiedere del papà. La terza è italiana, ha due figli, è sposata con un marocchino che ora è agli arresti domiciliari.

La coppia di Bergamo

Al banco degli imputati Z.C., marocchino di 35 anni piange, gli mancano i suoi bambini di 5 e 2 anni. Per prendersi cura di loro, che hanno problemi di salute, d’accordo con la moglie aveva anche lasciato il lavoro. Lui si occupava dei figli, lei di portare a casa uno stipendio per mantenere la famiglia.

Nega di aver mai maltrattato la donna, italiana, anche lei 35enne. Dice che il loro rapporto era ottimo, fino a quando non è morto il padre di lei e tutto è precipitato. Dice di non averla mai picchiata: “Era lei a picchiare me, mi ha anche rotto una bottiglia in testa e mi tradiva, lo ha anche ammesso”.

Secondo la moglie, dal novembre 2021 al maggio 2022, sono stati diversi gli episodi di violenza nei suoi confronti da parte del marito. Continui gli insulti, in due occasioni l’avrebbe schiaffeggiata, in un’altra occasione l’avrebbe strattonata, spinta a terra, colpita con calci e scaraventata contro il muro del vano doccia. Un pomeriggio l’avrebbe minacciata di morte puntandole contro un coltello.

Infine l’episodio del 15 maggio 2022, quando insieme alla figlioletta raggiunse la donna in un bar di Bergamo e le tirò con violenza i capelli, strappandole una ciocca. “Lei era seduta insieme a tre tunisini, mi sono arrabbiato ma non l’ho picchiata perché gli uomini si sono messi a difenderla”. In quell’occasione Z.C. fu arrestato ed ora si trova agli arresti domiciliari a casa del fratello.

Il Collegio giudicante, davanti al quale mercoledì 18 ottobre è comparso l’imputato, ha creduto alla versione della donna ed ha condannato il marocchino a 4 anni e 8 mesi di reclusione.

La coppia di Antegnate

Anche N.E.K., marocchino di 36 anni, è accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, connazionale di 30 anni, madre dei loro tre figli. Secondo l’accusa l’uomo, spesso ubriaco, picchiava e insultava la donna: in un paio di episodi l’avrebbe colpita con dei pugni al volto; nel maggio 2023 l’avrebbe svegliata in piena notte minacciandola di morte in quanto lei aveva espresso il desiderio di separarsi. Aveva poi strappato il passaporto dei figli e aveva seguito la moglie che nel frattempo era uscita dal loro appartamento di Antegnate per chiamare un’amica e chiedere aiuto.

Qui l’aveva afferrata per i capelli, sbattuta a terra e le aveva strappato di mano il telefono cellulare, poi l’aveva colpita con diversi pugni in faccia. I vicini di casa avevano chiamato i carabinieri e N.E.K., alterato dalla rabbia, dall’alcol e da sostanze stupefacenti, aveva aggredito anche i  militari, rimediando, oltre all’accusa di maltrattamenti, anche quella di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale.

Durante l’udienza di mercoledì 18 ottobre la donna è stata chiamata a testimoniare: “Io voglio solo che mio marito torni a casa. Abbiamo fatto la pace, vado in carcere a trovarlo tre volte alla settimana. Lo rivoglio con me, manca molto sia a me sia ai nostri figli”.

L’avvocato ha chiesto che la misura cautelare venisse ridimensionata all’obbligo di firma, ma il Collegio ha respinto la richiesta ed ha rimandato il processo al prossimo 29 novembre.

La coppia di Ponte San Pietro

Una donna pakistana di 41 anni, madre di 4 figli di 11, 6, 5 e 3 anni, è invece riuscita ad affrancarsi dal marito violento. Ora, come ha dichiarato dal banco dei testimoni “frequento una scuola d’italiano e presto inizierò a lavorare come addetta in una mensa. Sono venuta in Italia per cercare un’indipendenza economica, dato che nel mio Paese non è consentito”.

La donna si è sposata con R.A, connazionale di 44 anni, nel 2011 in Pakistan, dove ha anche dato alla luce la primogenita. Nel 2016 ha raggiunto il marito in Italia, a Ponte San Pietro e la coppia ha avuto altri tre figli. Tutto andava per il meglio fino a quando l’uomo è tornato da solo nel suo Paese perché era morto suo padre.

Una volta rientrato in Italia si è convinto che la moglie lo avesse tradito ed ha iniziato a maltrattarla, ad insultarla tutti i giorni, a minacciarla di morte, a mettere in dubbio la paternità dei suoi figli. Il 15 dicembre 2019, quando la 44enne era al settimo mese di gravidanza, il marito voleva costringerla ad avere un rapporto sessuale con lui. Al rifiuto della consorte, l’uomo l’aveva sbattuta con violenza contro il muro e le aveva stretto le mani al collo. “Mia figlia è entrata in camera e si è messa a piangere, allora ho preso i bambini e sono uscita di corsa di casa. Ho denunciato mio marito e sono stata accolta con i bambini in una comunità”, ha raccontato la donna.

Ora lei vive in un appartamento protetto con i figli, studia l’italiano, sta cercando di integrarsi.

Il processo a carico di R.A. è stato rinviato al prossimo 21 febbraio.

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