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12 ottobre 1492

Cristoforo Colombo e il coraggio di affrontare la paura più grande: quella di smarrirsi

Cristoforo Colombo, il grande marinaio genovese venne baciato dalla sorte, coniugando perfettamente i due distinti significati del verbo “errare”

Cristoforo Colombo e la sua straordinaria avventura, la scoperta inconsapevole di un nuovo mondo. Un evento che traccia un confine tra vecchio e nuovo, ad uso e consumo delle ricostruzioni e delle classificazioni storiche più diffuse.

Un approdo frutto di un clamoroso errore di valutazione: raggiungere le Indie orientali veleggiando verso ovest, lasciandosi alle spalle le coste atlantiche di quello che sarebbe stato apostrofato, nei secoli a venire, come il caro e Vecchio Continente. Il grande marinaio genovese venne baciato dalla sorte, coniugando perfettamente i due distinti significati del verbo “errare”.

Un aspetto non banale: spesso la storia procede per tentativi ed errori, abbandonando logiche e convinzioni radicate, offrendo se stessa al vagare incerto ed errabondo. Una verità scomoda che certifica la fragilità della conoscenza umana: errando s’impara. L’approdo verso nuove forme di sapere richiede, di sovente, il coraggio di affrontare la paura più grande, cioè quella di smarrirsi, più o meno consapevolmente, nei contorti percorsi del proprio peregrinare. L’impresa del Nostro, tuttavia, lungi dal lasciarsi ridurre a mera casualità. L’evoluzione degli eventi, che siano secondi o milioni di anni, procede inesorabilmente secondo cause e ragioni, da investigare e individuare con metodo scientifico. La fama di Cristoforo Colombo è profondamente debitrice tanto di un
matrimonio quanto di un’autentica disfatta. L’unione e la caduta furono correnti decisamente favorevoli al viaggio intrapreso, verso le ignote terre oltreoceano.

Il sogno di grandezza dei “re cattolici”, Ferdinando e Isabella, desiderosi di attuare per i regni di Castiglia e Aragona “una stessa politica, dotandoli di un più efficiente apparato burocratico e di truppe reali permanenti munite di artiglieria, in modo da rendersi militarmente meno dipendenti dai contingenti armati forniti dalle città e dalla nobiltà” (G. Vitolo, Medioevo. I caratteri originali di un’età di transizione, Sansoni, Milano, 2003), nonché la ferma volontà espressa dai medesimi di “far nascere una coscienza nazionale spagnola, puntando soprattutto sul fattore religioso” (Op. cit.) sono elementi di fondamentale importanza per comprendere le dinamiche in atto in quel particolare ambiente e periodo. L’intransigenza religiosa avrebbe presto convinto ebrei e musulmani a partire, “impoverendo soprattutto l’agricoltura delle regioni interne” (Op. cit.), mentre i progetti di potenza militare e di emancipazione dalla dipendenza nobiliare finirono con il suscitare, inevitabilmente, sogni e speranze di incommensurabili tesori.

“Il 17 aprile 1492 [Cristoforo Colombo] ottenne dai sovrani spagnoli, con la Capitolazione di Santa Fé, il titolo di ammiraglio, viceré e governatore delle terre eventualmente scoperte, mentre
mercanti e banchieri genovesi e fiorentini anticipavano gran parte dei soldi necessari alla spedizione” (Op. cit.): non si trattò, quindi, di finanziare un viaggio esplorativo per amore della scienza, ma di un autentico investimento da parte della famiglia reale, peraltro pienamente legittimo e del tutto comprensibile, onde realizzare i propri piani di rilancio del prestigio della corona, mirando a trasmettere un’idea di potenza economica e commerciale, nonché militare, tanto all’interno quanto all’esterno dei confini dei rispettivi regni. Il secondo episodio da mettere a tema si verificò il 29 maggio 1453: la caduta di Costantinopoli. Una tragedia che “destò enorme impressione in Occidente, dove erano assai pochi quelli che avevano una visione chiara del potenziale bellico turco e sentivano la responsabilità di aver abbandonato a se stessa la Cristianità orientale” (Op. cit.).

Cristoforo Colombo

L’avanzata turca proseguì inarrestabile verso il Caucaso e la Mesopotamia, guidata da Maometto II. Molti territori, città e paesi furono depredati e sottomessi dagli ottomani: “Nonostante una coraggiosa resistenza da parte delle popolazioni locali, furono occupate le isole del mar Egeo, Atene e l’intera Attica, la Morea […], l’Albania […], la Bosnia, la Valacchia e la parte meridionale della Crimea. Ormai tutto il bacino orientale del Mediterraneo era sotto il controllo dei Turchi, che minacciavano da vicino l’Ungheria, l’Austria, i territori veneti dell’Istria e della Dalmazia, e la stessa Venezia, non esitando a spingersi anche più lontano” (Op. cit.). Il culmine della violenza e del fanatismo venne raggiunto il 14 agosto 1480, durante il famoso massacro di Otranto, occasione in cui
“buona parte degli abitanti furono massacrati, mentre i superstiti furono inviati in Albania per essere venduti come schiavi” (Op. cit.). La minaccia contribuì a rendere insicure le rotte commerciali dell’epoca, impedendo a uomini e merci di raggiungere l’Oriente. Una situazione che stimolò l’ingegno occidentale, obbligandolo “a cercare in direzione opposta, cioè verso ovest, nuove vie per raggiungere l’Oriente, che è quanto cercò di fare Cristoforo Colombo” (Op. cit.).

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