L’assunto chiave da cui partire è semplice: perdere all’Olimpico, nel corso di una stagione, ci sta. Perdere contro la Lazio, ci sta. Lo scorso anno è successo in casa e fu una lezione di calcio. Quest’anno è successo in trasferta, sempre intorno al giro di boa del girone d’andata. Con una dinamica di gara totalmente diversa.
Nella sconfitta per 3-2 maturata nell’8ª giornata di Serie A 2023/24, l’Atalanta è mancata all’inizio e alla fine. Carente l’approccio, carente la gestione del finale: il primo dovuto alle complicazioni nella preparazione della partita dopo il volo di ritorno notturno da Lisbona (tre ore di aereo) di giovedì sera, la seconda all’inevitabile fatica e fiato corto accusato da chi da tempo sta tirando la carretta. Non sono alibi: è inevitabile, quando i cambi nell’undici iniziale sono poco frequenti e anche i subentrati sono quasi sempre gli stessi.
A dirlo sono i numeri: i giocatori di movimento impiegati dal primo minuto in questo mini-ciclo di sette partite, da Firenze a Roma, son stati 15. In 10, però, dalle 5 volte in su (Djimsiti, Scalvini, Kolasinac, Zappacosta, Ederson, De Roon, Ruggeri, Koopmeiners, Lookman, De Ketelaere), uno 4 volte (Toloi), poi uno 2 volte (Pasalic) e 3 per una volta (Holm, Scamacca e Muriel). Nomi visti e rivisti: sono gli stessi che hanno giocato gran parte delle partite anche subentrando. Tutti gli altri hanno avuto spazio solo per qualche minuto a gara in corso in maniera alternata, senza continuità.
È un dato che inquadra meglio di altri la situazione della rosa nerazzurra in questo momento della stagione: c’è un nucleo forte che compone la formazione titolare, ma anche volendo allargare il discorso ai cinque subentrati, raramente si esce dai nomi già menzionati. I vari Bakker e Adopo, Miranchuk e Palomino, Zortea e Hateboer hanno avuto solo piccoli spezzoni saltuari subentrando non più di tre volte ciascuno.
Che ci siano delle gerarchie tecniche è normale e più che naturale, ma in questo momento il divario nei minutaggi che sussiste tra i titolari e le riserve – divisione che non piace agli allenatori, ma estremamente evidente in questo momento – è notevole ed emerge dai dati. 11 giocatori hanno più di 400 minuti all’attivo (7 dei quali sopra i 650), Pasalic e Scamacca sono intorno ai 200, gli altri sono dai 140 in giù. Tranne l’infortunato El Bilal, tutti hanno avuto un’occasione. Non tutti l’hanno colta.
Nasce soprattutto da qui la netta discrepanza tra il contributo del “gruppo storico” spesso menzionato da Gasp, a cui si è aggiunto anche Kolasinac, e chi dovrebbe offrire loro una valida alternativa quando si tratta di dover rifiatare, come in questo mini-ciclo di 7 partite. Detto che senza l’infortunio anche Scamacca sarebbe probabilmente tra i più utilizzati, ma non sarebbe cambiato granché.
Il problema continua ad essere quello evidenziato puntualmente a più riprese da Gasperini, vale a dire che l’Atalanta deve “mettere allo stesso livello tutta la rosa”, “allargare la base aggiungendo elementi al gruppo storico”. In altri termini: c’è chi è pronto, c’è chi si è adattato presto grazie a talento ed esperienza, c’è chi non lo è per varie questioni, un po’ fisiche e un po’ tecniche. O entrambe.
In un trittico di partite ravvicinate in otto giorni con Juve, Sporting e Lazio, tre squadre da (o “di”) Champions League, a chiusura di un ciclo di sette impegni in tre settimane, è un qualcosa che naturalmente si paga e su cui il tecnico era stato come sempre lungimirante. Specialmente perché in un campionato più livellato sono rari gli impegni facili e le partite con poco dispendio energetico. E una rosa di undici elementi più quattro è troppo corta per poter gestire il doppio, che poi diventerà triplo impegno. Soprattutto nell’ottica dei ritmi primaverili, quando i punti conteranno il doppio.
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