Così Cantucci: “Come Europa Verde, pensiamo che questo sia un provvedimento che si inserisce a pieno nel passaggio storico che la nostra società deve fare e che Jeremy Rifkin chiama la III rivoluzione industriale post-carbon, sostenibile e dinamica che non sarà più centralizzata e verticistica, ma distribuita e collaborativa.
Affermiamo che è paradossale che si debba aspettare il 2023 per far passare un principio ovvio e in linea con la Costituzione (art 36), ovvero la proporzione del salario con la quantità e qualità del lavoro svolto.
Anche i detrattori dell’ultima ora possono essere sconfessati, perché gli studi empirici ed economici hanno dimostrato che gli aumenti ragionevoli del salario minimo portano ad un aumento per i salari più bassi senza che ci sia un effetto negativo sull’occupazione o sul numero di ore lavorate.
Non è una misura che ci inventiamo in Italia perché già stata introdotta (e funziona) nella maggior parte dei paesi europei: 21 Paesi su 27 hanno il salario minimo, che viene aggiornato in base all’aumento dell’inflazione. Due esempi recenti: la Germania nel 2022 ha aumentato il salario minimo orario a 12€, un aumento del 25% rispetto all’anno precedente; mentre la Spagna nel 2023 ha aumentato nuovamente il salario minimo mensile a 1080 euro (su 14 mensilità, 1260 euro se pagato in 12), portandolo ad un aumento del 47% rispetto al 2018.
Purtroppo anche il lavoro nella bergamasca è caratterizzato invece da precarietà e salari bassi, infatti evidenti sono le sacche di sfruttamento come nel settore della logistica e in molte cooperative.
Ovviamente non siamo solo tutti noi ad affermare la bontà di questa misura: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) sottolinea che il salario minimo tende empiricamente ad avere un importante effetto positivo sulla riduzione delle disuguaglianze. Anche la BCE guarda con favore al salario minimo, prevedendo che l’aumento dei minimi salariali in questi anni sarà un fattore chiave della crescita economica nell’eurozona. Quindi questo è un provvedimento di grande giustizia sociale, ma aggiungo, come diceva Alexander Langer, ambientale, perché oggi si impone sempre di più la necessità di riconsiderare la qualità ecologica del lavoro e delle sue condizioni. “Lo esige non solo l’emergenza ambientale, in generale, ma lo stesso degrado alienante del lavoro, da un lato, e le potenzialità di riscatto e di risanamento, dall’altro”.
Come Europa verde sosteniamo con forza e determinazione la battaglia per il salario minimo e siamo molto felici di farlo insieme alle forze di opposizione a questo governo – così Oriana Ruzzini – . Questa è una battaglia urgente e non solo perché al tavolo OCSE, se si confronta l’evoluzione dei salari negli ultimi trent’anni l’Italia è all’ultimo posto, ma anche perché viviamo una fase storica particolarmente complessa per le persone e le famiglie che abitano le nostre città. L’inflazione sta piegando la nostra economia riducendo i consumi, ogni famiglia che fino a ieri era il ceto medio, si trova a fare i conti per riempire il carrello della spesa. Va da sé che chi prima faceva fatica ad arrivare alla fine del mese ora se va bene è accudito dai servizi sociali. Aggiungo che non è un caso se questa fase storica di difficoltà delle famiglie coincida con il governo più a destra del dopoguerra: meloni anziché agevolare la transizione ecologica, il lavoro femminile, gli accordi europei per l’immigrazione e l’integrazione, a tutela dei diritti ma anche della nostra economia, del nostro mondo del lavoro, sforna ogni giorno misure sempre più inique. -ultima quella di ieri: fare pagare 5000 ad ogni migrante che voglia evitare i centri di rimpatrio.
Il salario minimo, il diritto ad un salario dignitoso è una misura necessaria. Anche Mediobanca due giorni fa ha certificato il disastro dei salari italiani: “Potere d’acquisto crollato del 22% nel 2022. Ma i profitti delle industrie salgono del 26% nel 2022 le società industriali e terziarie italiane “hanno segnato performance decisamente positive” sul fronte della marginalità e della redditività, con utili cresciuti del 26,2%. Il ritorno sugli investimenti è migliorato dal 6,5% al 6,9% mentre quello sul capitale (roe) dal 6,4% al 7,7%.
Dati positivi, le aziende reggono e fortunatamente guadagnano. Ma lo stesso non si può dire per i e le dipendenti.
anche la produzione manifatturiera segnala la performance, in termini reali, della filiera del made in Italy (+3,8% il fatturato totale, +5% oltreconfine) a conferma del crescente apprezzamento delle produzioni italiane, soprattutto sui mercati esteri. Perché questi dati non si traducono nelle buste paga dei lavoratori e delle lavoratrici? Come lavoratori e lavoratrici siamo penalizzati due volte, da un mondo del lavoro che non riconosce in proporzione i progressi e i successi economici di cui siamo artefici, e quando andiamo a fare la spesa, perché gli aumenti dei prezzi decisi dalle aziende non sono mai proporzionali a quelli dei costi. Non vogliamo e non possiamo assistere impassibili ad una forbice che si allarga, nella nostra società. Una forbice che taglia fuori soprattutto le donne, complice un gender gap salariale che ricordiamocelo, oggi è al 13″.
commenta