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Il progetto

Un “Erasmus italiano”? Chiamiamolo “Stai”. Unibg e Unirc pronte a sperimentare la novità

I due atenei saranno protagonisti di un progetto pilota che incoraggerà la mobilità studentesca, su modello dell’Erasmus in Europa, ma tra nord e sud Italia. In prima fila multidisciplinarietà e scambio di competenze

Meglio di sperimentare la vita studentesca in un’università si può solo sperimentare la vita studentesca in più di un’università. Lo so bene anch’io dopo le mie due esperienze di mobilità internazionale, una in Francia e una in Australia, che vi ho raccontato qui su BGY. Eppure, stando a quanto lo scorso giugno è emerso da vari comunicati stampa, presto non servirà andare così lontano per godere di un’esperienza del genere. Se ne fanno portavoce l’Università degli Studi di Bergamo e Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria, che per prime sperimenteranno questa novità già annunciata dalla Ministra dell’Università e della Ricerca, che ha salutato l’“Erasmus italiano” come rientrante negli obiettivi fissati dal PNRR “per incrementare la flessibilità dell’offerta formativa e della interdisciplinarietà dei corsi di studio”.

Un’azione sperimentale

“È con soddisfazione che l’Università degli studi di Bergamo, insieme all’Università di Reggio Calabria, è precorritrice di questa nuova iniziativa che entrambi gli atenei intendono portare avanti non solo per rafforzare il legame esistente, ma offrire agli studenti la possibilità di specializzarsi in un ambiente accademico diverso da quello scelto”. Queste le parole con cui il Magnifico Rettore dell’ateneo orobico, Sergio Cavalieri, ha salutato con favore la ratifica dell’accordo con il suo omologo reggino Giuseppe Zambalatti che aggiunge: “Si tratta dell’avvio di un nuovo percorso virtuoso per giovani universitari del Sud e del Nord del nostro Paese, all’insegna dello scambio e dell’arricchimento di grandi saperi ed importanti modelli competitivi Made in Italy”.

Gli atenei di Bergamo e Reggio Calabria si fanno capofila di un progetto pilota, che testerà l’idea sul campo  a partire da un campione ristretto: “Il progetto pilota dell’Erasmus italiano di Unibg e Unirc prevede, inizialmente, di limitare lo scambio alle sole lauree magistrali, in particolare a quelle afferenti alle aree di Ingegneria e Scienze della formazione primaria. Per quanto riguarda Ingegneria, ogni studente in uscita potrà scegliere esami in un catalogo che contiene tutti i corsi erogati, anche triennali, e di tutti gli anni. Gli studenti inizialmente coinvolti saranno 5 o 6 per Ateneo, inclusi eventuali studenti di Scienze della formazione primaria”, si apprende sul sito dell’Università degli Studi di Bergamo.

Un azzardo chiamarlo “Stai”?

L’“Erasmus italiano” sarebbe l’evoluzione, insomma, di quel che da qualche anno si vede chiamare “corso interateneo”: mentre questi ultimi prevedono convenzioni finalizzate a disciplinare gli obiettivi e le attività formative di un unico corso di studio, l’“Erasmus italiano” darebbe la possibilità di frequentare insegnamenti appartenenti a due diversi corsi di laurea di due diversi atenei. Questo il punto in comune con l’Erasmus propriamente detto, a cui l’“Erasmus italiano” deve essersi ispirato almeno nel nome che si è proposto al lancio, e che dovrà quasi di sicuro cambiare. Erasmus, infatti, è insieme un acronimo (di “EuRopean community Action Scheme for the Mobility of University Students”) e un’antonomasia riferita a Erasmo da Rotterdam, umanista che a cavallo tra ‘400 e ‘500 visse e studiò in cinque diverse nazioni Europee. Il nome del programma, quindi, è strettamente inerente il vecchio continente; di qui la necessità di trovare un altro nome per il progetto, che si suppone dotarsi (almeno per ora) dell’etichetta “Erasmus italiano” giusto per rendere l’idea della mobilità per studio. In Spagna, dove un “Erasmus spagnolo” esiste già dal 2009, si chiama “Sicue” (Sistema de Intercambio entre Centros Universitarios Españoles). Vista la natura sperimentale del progetto ancora da avviare, proporrò un nome: in Italia si potrebbe avere lo “Stai” (Scambio Tra Atenei Italiani), nome che condensa anche il rimanere entro i confini nazionali per svolgere il periodo di studio fuori dalla propria istituzione.

La voce si è diffusa: cosa ne pensano gli studenti?

Tra gli studenti si sentono già le voci di chi vede in questo “Erasmus italiano”, o meglio lo “Stai”, un’opportunità per combattere gli stereotipi e la competizione, appiattendo il divario che non solo è confermato dalla differenza nel saldo migratorio (+23% al nord, –26% al sud) ma che tuttora vive nel sentimento popolare. Alcuni già vedono una possibilità in più di partecipare al programma, visto che uno “Stai” non presupporrebbe i requisiti linguistici di un Erasmus, ma neanche la disponibilità economica che (pur contando le borse di studio) fa da discriminante per molti. Non manca poi chi sottolinea che c’è da guadagnarci molto in cultura, anche visto che nonostante molti viaggi all’estero moltissimi giovani del nord non hanno mai avuto la possibilità di vivere concretamente la realtà del sud e viceversa: nduja con la polenta oggi, domani chissà.

C’è poi una parte più pessimista e contraria, che vede in questo “Erasmus italiano” un limite, uno “Stai” imposto proprio come se fosse l’imperativo del verbo stare. I programmi di scambio verso paesi stranieri aprono ai loro aderenti opportunità di crescita all’estero, ma sembra esserci una volontà di cambiare passo con l’introduzione di questa novità tricolore: “Concretamente si vuole dare un’opportunità di restare – ha confermato con le sue parole il Rettore Unirc intervistato dal Tgr Calabria – si tratta di un’opportunità non per conoscere l’Europa, ma per conoscere le realtà eccellenti di prossimità”. Guardando al programma dell’attuale esecutivo si trova una corrispondenza nel punto che cita un “protezionismo intelligente per difendere le imprese italiane”, riguardante anche il capitale umano, per incoraggiare i talenti italiani a investire sulle loro passioni in patria. L’attuale governo deve tenere molto a questo ultimo punto, e non è difficile capire perché.

Si salvi chi può, ovvero gli universitari

Che l’iniziativa nasca anche per prevenire l’ormai nota “fuga di cervelli” non è poi un’ipotesi così azzardata. Neodemos parla, per il nostro paese, di numeri allarmanti: dei 580mila italiani emigrati negli ultimi dieci anni, 74mila sono quelli laureati. L’Italia, già penultima per percentuale di laureati, è terza in Europa per tasso di disoccupazione, ultima per tasso di occupazione, e prima per tasso di NEET. Una tendenza che si deve voler invertire, a partire appunto dalle opportunità che l’università può offrire: sempre secondo Neodemos “la mobilità internazionale non è un male assoluto, se concepita come un incremento delle opportunità di formazione ed apprendimento. Il problema si ha quando la partenza verso l’estero è l’unico sbocco in un Paese che non offre opportunità”. Offrire possibilità di crescita all’interno dei confini nazionali, in questo senso, può rappresentare un tentativo di cambiamento.

Tra gli obiettivi dell’iniziativa c’è la “valorizzazione dell’autonomia di atenei e studenti”, ma soprattutto il proposito di “colmare il gap tra Nord e Sud offrendo allo studente la possibilità di associare più opzioni formative proposte nell’ateneo di iscrizione oppure disponibili in un altro ateneo italiano”. Un intento da condividere, che potrebbe finalmente fungere da grimaldello per sbloccare una situazione che da tempo sembra tanto irrisolvibile da costituire la norma. Una speranza, quantomeno, una voce che suona come un “i nostri problemi possono essere risolti in patria, oltre che abbandonati per cercare soluzioni altrove”. Dipende tutto da come questa strada verrà intrapresa, se allo “Stai” si metterà un punto o un punto esclamativo.

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