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Stile incontro

Ciclismo e protagonisti d’oggi visti da Mauro Gianetti: “Una generazione di campioni capaci di imprese eccezionali”

Uno che se ne intende come Mauro Gianetti, vincitore di classiche, vice-campione del mondo nel 1996, ora allenatore di una squadra del jet set planetario commenta come vede la nuova arena dei fenomeni del ciclismo d’oggi

Dopo Giro d’Italia e Tour de France, dopo i mondiali e con la Vuelta spagnola in corso (si concluderà il 17 settembre), il ciclismo si avvia ai titoli di coda. Qui, in calendario di prossimità, verso la chiusura di stagione spiccano Coppa Agostoni, Trofeo Baracchi, Coppa Bernocchi, Tre Valli Varesine, Giro di Lombardia. Si tirano le somme, protagonisti e classifiche alla mano si danno le pagelle, si guarda già al futuro e peraltro la stagione agonistica abbraccia ormai tutto l’anno. Ma come e quanto è cambiato e sta cambiando il ciclismo “globale” d’oggi?

Ai tempi c’era Eddy Merckx: l’avevano ribattezzato l’”ammazzacorse” e “il dittatore”. Suo principale e plurivincente competitor, Felice Gimondi. Poi vennero i Moser, Saronni, Pantani, Savoldelli… Oggi c’è Jonas Vingegaard: un extraterrestre quello “planato” al Tour de France 2023. Questo corridore ha inflitto distacchi epocali: 1’38” in 22 chilometri a Tadej Pogacar e 2’51” a Wout Van Aert, i due migliori specialisti al mondo, entrambi in formissima: gli esperti in materia hanno sentenziato che non ci sono precedenti nel ciclismo moderno.
Altri dati a supporto: media di 41,2 km all’ora su un percorso devastante. Le previsioni si spingevano ad accreditare una media di 39 km/h; lui, Vingegaard ne ha aggiunti 2,2. Altro che “rombo di tuono” (copyright Gianni Brera).

Un giudizio che rende l’idea l’ha espresso uno che conosce bene Jonas e gli è pure amico, Van Aert: “Vingegaard ha fatto qualcosa di incredibile, anzi impossibile, e io sono molto contento di essere il primo in classifica degli umani”.

Imperturbabile, l’extraterrestre Jonas ha commentato: “Capisco e giustifico chi è scettico sulle mie prestazioni. Sto andando davvero fortissimo. Avere dubbi è importante: impedisce che il ciclismo ricada negli errori del passato, autodistruggendosi. Abbiatene pure su di me”.
Ho chiesto a uno che se ne intende come Mauro Gianetti, vincitore di classiche, vice-campione del mondo nel 1996, ora allenatore di una squadra del jet set planetario come vede la nuova arena dei fenomeni d’oggi, alla luce anche di qualche perplesso (e quando mai non ce n’è?).

Senza perifrasi la sua risposta: “È un vecchio vizio quello di misurare il ciclismo con il metro non adeguato ai tempi, come fanno taluni addetti ai lavori di lungo corso. Io non ho neppure un’ombra di dubbio sulle prestazioni straordinarie di Vingegaard. Il ciclismo attuale è questo, i corridori vanno forte, hanno a disposizione delle biciclette che sono dei missili, una preparazione e un’alimentazione scientifiche. Una volta c’era una fuga, il corridore andava per 5-6 minuti, poi lo andavano a riprendere; adesso se lasci partire una fuga, diventa un’impresa il recupero. Le bici sono talmente performanti che anche davanti ce la fanno a mantenere velocità alte. E non va trascurato il fatto che siamo in presenza di una generazione di ciclisti più forti, con numeri eccezionali già a 18 anni. Il genere umano migliora, le performance vanno avanti. Può esserci ancora lo stupido che cade nella trappola di doparsi, però spesso è il corridore mediocre che pensa o viene indotto a pensare di non vincere immaginando chissà cosa fanno gli altri. Con i sistemi di controllo d’oggi, viene immediatamente individuato ogni e qualsiasi tentativo di barare, a volte anche prima dello stesso atto. Questi ragazzi che dominano la scena nel 2023, sono cresciuti in un’epoca in cui il ciclismo e lo sport in generale hanno fatto sforzi e passi avanti enormi in questo senso. Se chiedi loro di Pantani, conoscono il nome e qualcosa della storia molto mediatica che lo ha contraddistinto, ma non sanno veramente molto di lui, come del resto io, da ragazzo, sapevo soprattutto della leggenda di Coppi che era stato un grande campione e che aveva fatto battaglie epiche con Bartali, ma non molto di più. A vent’anni si è molto più interessati a sé stessi e a cosa si vuole raggiungere e si guarda agli avversari contemporanei, al limite si ha un idolo che ha solo qualche anno in più, come Tadej Pogacar che, a 22 anni, è diventato il mito di tutti i giovani ciclisti del mondo, perché questo è di fatto lo spazio temporale considerato dalle nuove generazioni”.

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