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Ballando di architettura (una guida all'ascolto)

L’invisibile armata

Nella nuova puntata della rubrica 'Ballando di architettura' raccontiamo il festival del prog rock, un genere tornato definitivamente in auge nel nuovo millennio

Cos’è il prog rock, e soprattutto, ha senso parlarne ancora nel 2023? Certo che sì, ma con una doverosa premessa ontologica.

Nel documentario dedicatogli a pochi mesi dalla scomparsa, Wayne Shorter ricorda il monito del suo bandleader Miles Davis: “Se non sei in grado di suonare un genere di musica che attiri le donne, trovati un altro mestiere”.

Cercando di interpretare in senso non strettamente letterale queste parole (anche perché – per dovere di cronaca – Davis non usa il termine ‘ladies’, ma il più colorito ‘bitches’), si giunge all’assunto secondo cui la musica, come prodotto di consumo, deve rivolgersi alle ragazze, ai ragazzi e, più in generale, alle grandi masse.

Ecco spiegato il progressive, il tipo di musica che NON si rivolge alle grandi masse.

 

prog rock

 

Un rock difficile, enfatico, autoindulgente, slegato dal sociale e tenacemente imprevedibile.

Una musica la cui popolarità è durata poco più di un lustro, dal 1969 al 1975, quando gruppi come Pink Floyd, Yes e Jethro Tull facevano stragi di vendite, per essere poi travolti dal punk che, in realtà, rappresentò una ventata d’aria fresca per tutta la scena (è risaputa la passione sfrenata di Johnny Rotten per i Van Der Graaf Generator) e tornare in auge nei primi anni Ottanta, con l’ondata neo prog capitanata dai Marillion, quindi nei Novanta, col prog metal dei Dream Theater e definitivamente nel nuovo millennio, col crossover prog del pluripremiato e multiforme Steven Wilson.

L’aggettivo più gentile usato dai detrattori per chiamare i progghettari è ‘riccardoni’ o l’affettuoso ‘pippaioli’, o il lapidario ‘sfigati’ che contiene gli altri due.

Eppure, da oltre dieci anni, il primo weekend di settembre, nella terra del bel canto, dei talent e del festival delle polemiche, si tiene una manifestazione che richiama migliaia di persone accomunate da una sola grande passione: indovinate quale.

 

prog rock

 

Il Veruno 2 Days Prog + 1 Festival è la più grande rassegna di progressive rock in Italia ed una delle più importanti al mondo. Nel corso di tre giorni, decine di gruppi diversissimi gli uni dagli altri, non solo per provenienza ed estrazione, ma anche per tipo di proposta musicale, si esibiscono di fronte a un pubblico assolutamente trasversale, un piccolo esercito di appassionati che una volta l’anno si riunisce da ogni parte del mondo per celebrare la musica più camaleontica e folle di sempre.

Nell’edizione appena conclusasi, i più attesi erano i Big Big Train, largo ensemble votato alle sonorità più smaccatamente sinfoniche del genere, per la prima volta dal vivo in Italia. 

Basterebbe passare in rassegna il curriculum dei membri della band per comprenderne la caratura: l’italiano Alberto Bravin (PFM) alla voce, il californiano Nick D’Virgilio (Genesis, Tears for Fears, Spock’s Beard, Cirque du Soleil, Mr. Big) alla batteria, il polistrumentista svedese Rikard Sjöblom (Beardfish, Gungfly, Bongo Fury), l’italiana Maria Barbieri, astro nascente delle sei corde, elogiata da Re Cremisi Mr. Robert Fripp in persona, il norvegese Oskar Holldorff, giovanissimo tastierista e gli inglesi Gregory Spawton al basso, unico membro originario, e Dave Desmond al trombone, leader del quartetto di ottoni immortalato nel funambolico assolo di drums & brass.

Tutto qui? Una schiera di musicisti iper-tecnici che suonano canzoni senza strofa e ritornello?

Nient’affatto, perché oltre allo spettacolo sul palco, e forse ancor più di quello, i partecipanti possono gustarsi il VERO show, quello che si consuma in platea, alle code ai banchetti del merchandising, in fila alle bancarelle dell’usato e pure fuori dai bagni. Gente che dietro a sorrisi di circostanza fa a gara a chi ha conosciuto prima il gruppo indonesiano che mischia prog rock e musica etnica (esiste, giuro), schiere di progheads che disquisiscono su quale sia il suono di basso per antonomasia, se il Rickenbacker di Chris Squire (edizione limitata di soli mille esemplari, ça va sans dire), o il Fender Jazz di Greg Lake, e poi fanno la pace perché entrambi usavano lo stesso modello di amplificatori Hiwatt. 

 

prog rock

 

Scontri all’ultimo sangue a suon di citazioni colte, amarcord, critiche feroci e commenti al vetriolo. Leoni da tastiera tramutatisi per magia in galli da combattimento.

Al termine del festival ognuno torna senza fretta alla propria routine, con una sensazione di sazietà che rimarrà appagata per i successivi dodici mesi, sino alla prossima luna del raccolto.

Perché il vero nerd non muore mai.

(photo credit di Vincenzo Nicolello)

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