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L'intervista

Maxi rissa, lo psicologo: “Adulti poco attenti al loro futuro e i ragazzi esprimono il disagio con la violenza”

Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotauro e autore di "Sii te stesso a modo mio", analizza i fatti di domenica pomeriggio: "Adulti troppo fragili, non si rendono conto di aver creato un mondo in cui devi essere popolare e non esiste fallimento ma vorrebbero allontanare i giovani dalla rete sulla quale loro stessi cercano consensi"

Bergamo. Mentre proseguono le indagini per identificare tutti i partecipanti alla maxi rissa a Bergamo che nel tardo pomeriggio di domenica 20 agosto ha dato un triste spettacolo, tra i Propilei e la stazione, continuano le riflessioni attorno al tema non solo della sicurezza ma, soprattutto, riguardo le espressioni violente di alcuni gruppi di giovanissimi.

Per ora sono sette i ragazzi denunciati per rissa aggravata, tutti tra i 14 e i 18 anni: ma il parapiglia ha coinvolto circa 150 giovani di diverse nazionalità (principalmente nordafricani, italiani e senegalesi provenienti da Zingonia, Verdello, Ponte San Pietro, E Seriate) e gli inquirenti vogliono fare estrema chiarezza su quanto accaduto.

La tematica, delicata, è da sempre sotto l’attenta lente d’ingrandimento di Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta e autore di “Sii te stesso a modo mio – Essere adolescenti nell’epoca della fragilità adulta”, presentato a maggio al Salone Internazionale del Libro di Torino 2023.

Lancini, la maxi rissa di domenica pomeriggio a Bergamo è solo l’ultimo di una serie di aggressioni violente che hanno visto come protagonisti giovani e giovanissimi. Dal suo punto di vista, di chi tratta il tema ogni giorno, ha ragione chi parla di escalation di fatti analoghi o chi evidenzia che anche in passato sono sempre successi episodi di questo tipo?   

Credo sia molto difficile parlare di una tendenza precisa, ma di sicuro il disagio giovanile è in aumento. Vero che c’è sempre stato e che la pandemia ha solo esacerbato questi comportamenti, smascherando l’inadeguatezza degli adulti e inasprendo l’angoscia dei giovani verso il futuro. Molti ragazzi oggi esprimono questo disagio attaccando sé stessi e il proprio corpo: sono diffusi purtroppo fenomeni come il ritiro sociale, gli hikikomori, i disturbi alimentari, i tentativi di suicidio. Parallelamente, però, ci sono anche queste manifestazioni violente che, massmediaticamente, hanno sicuramente più impatto sul mondo esterno. Esiste questa parte di ragazzi che per motivi sociali, di personalità o appartenenza il proprio disagio lo esprime con azioni di gruppo e ricordiamoci che quando entra in scena il gruppo c’è molto di più della somma delle singole parti. Negli ultimi anni sicuramente è un qualcosa che sta coinvolgendo maggiormente le città lombarde, da Milano a Brescia e Bergamo, con giovani che partono dalle periferie e fanno delle zone più centrali il luogo ideale per esternare, anche simbolicamente, il proprio disagio.

Questione di visibilità quindi? 

Solitamente le risse o le aggressioni più drammatiche non sono organizzate, mentre qui siamo di fronte a veri e propri appuntamenti in luoghi dove c’è più possibilità di essere visibili agli occhi degli adulti e la scelta non è casuale. Ogni situazione, poi, nasconde aspetti che esulano da quelli psicologici e che dipendono magari da una serie di disagi vissuti in particolare nelle province. Non siamo ancora a livello delle banlieu francesi, grazie a Dio, ma dobbiamo cercare di capire di più dei confini del disagio giovanile e dell’impatto che ha l’assenza di una prospettiva. Abbiamo visto tante tipologie di rissa, dove i fattori scatenanti possono essere molteplici: alcuni si mettono d’accordo in rete pur non conoscendosi, solo per rubare una catenina o mettere paura a un gruppo rivale. Nel caso specifico della maxi rissa a Bergamo sembra che l’aggregazione sia nata per fare una resa dei conti. Ciò che colpisce è il disagio e l’esigenza di riprendersi una centralità nella mente degli adulti che, se non agiranno in fretta, non faranno altro che alimentare questi comportamenti. Dietro la violenza c’è sempre la disperazione, sia che tu colpisca te stesso o che faccia male ad altri. Perché se accoltelli o uccidi qualcuno la tua vita non avrà di certo grandi prospettive.

In che modo gli adulti stanno sbagliando nella gestione di questi fenomeni? Si tratta di lacune dal punto di vista educativo? 

Credo ci si debba fermare e riflettere davvero su cosa significhi essere un adulto oggi: abbiamo costruito una società competitiva e ideale, chiedendo ai ragazzi di crescere come piccoli adulti, di essere loro stessi ma a modo nostro. Gli abbiamo mostrato un mondo dove il successo e la fama passano attraverso internet e la rete, con le stesse figure educative, genitori e insegnanti, che vivono quegli spazi in cerca di consensi ma vorrebbero imporre loro di non usare i cellulari e di staccarsi da quella dimensione. I ragazzi non vedono un interesse reale nel costruire un futuro per loro. Siamo arrivati a un paradosso per cui sono i giovani ad adattarsi agli adulti per farli sentire tali, mentre gli adulti vivono una grande fragilità senza precedenti, fatta di individualismo e dell’esigenza di essere autorevoli che non trova un’identificazione. I ragazzi lo hanno percepito soprattutto durante la pandemia e oggi continuano a percepirlo.

Una prospettiva drammatica. 

È drammatico che i ragazzi vedano adulti più fragili di loro, che non percepiscano iniziative politiche ed educative per le future generazioni, a partire da tematiche come la plastificazione dei mari o il cambiamento climatico. Con i loro comportamenti gli adulti stanno dicendo che non hanno alcun interesse a lasciare un’eredità ai più giovani. In questo contesto, che non li ingaggia e non li coinvolge, i ragazzi cercano di risolvere a modo loro il disagio: aumenteranno i tentativi di suicidio, aumenterà il ritiro sociale che è il fenomeno più preoccupante dei nostri tempi con una diaspora dalla scuola impressionante. Quando tutto il modo vive in rete e l’adulto che dovrebbe avvicinare alle competenze invece dice ai ragazzi che internet fa male, un ragazzo dove va a cercare le soluzioni? Sulla strada, organizzando challenge sempre più estreme, dandosi appuntamento per delle risse. Questi ragazzi avrebbero bisogno di adulti che si impongano un obiettivo: rendere felici e costruire un futuro per i nostri figli e i nostri studenti, smettendola di chiedere loro di essere figli e studenti di 30 o 40 anni fa.

C’è una differenza tra le manifestazioni violente dei giovani di oggi e quelle del passato? 

Come dicevamo, la comunicazione mass mediatica rende difficile discernere tra aumento dei fenomeni violenti o aumento della comunicazione dei fenomeni stessi. Il tema oggi è la società iperconnessa e dietro questi comportamenti ci sono significati diversi per ogni epoca: l’assunzione di droghe probabilmente non è aumentata né diminuita, sono i motivi che sono differenti e sta a noi, se vogliamo aiutarli, comprendere i comportamenti generazionali. Questi ragazzi non si sentono al centro del progetto futuro, vivono la disperazione legata ad adulti che non si rendono conto che ogni giorno coi loro comportamenti alimentano la società che hanno creato. E poi si scandalizzano se arrivano le challenge o la rissa in piazza: serve un’alfabetizzazione emotiva degli adulti, devono comprendere che hanno creato le condizioni per cui se non sei popolare non vali niente, perché il fallimento e l’inciampo non sono consentiti.

La situazione secondo lei è destinata a peggiorare? 

La disperazione prende forme sempre più auto-riferite, ma continuerà a manifestarsi anche sotto questa forma mettendoci di fronte al rischio di conflitti sociali. In Italia dovremmo prenderci il tempo per ragionarci: pur non essendo nelle condizioni vissute in passato in Inghilterra o attualmente in Francia, dove la violenza verso gli insegnanti è molto superiore, gli episodi di questo tipo iniziano ad aumentare.

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