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La storia

Dario Ranza, un bergamasco diventato chef di prestigio in Svizzera

Partito da Fino del Monte e stabilitosi sulle rive del lago di Lugano, è uno dei migliori nel suo settore nel paese elvetico

Fino Del Monte. Quante storie, tutte con lo stesso motivo di partenza! Quella di Dario Ranza, nome che oggi brilla nel firmamento degli chef in Svizzera e oltre, non fa eccezione alla regola. Partire, cercare, quasi sempre (per i bergamaschi) soprattutto un approdo che cambiasse la vita. Quando ai tempi di Valerio Bettoni presidente della Provincia si tenevano i raduni dei nostri emigranti, che giungevano da ogni angolo del pianeta, si sono raccolte centinaia di vicende del popolo con le valigie. Donne e uomini che partivano verso un altrove.

Fu così anche per Massimo Ranza e Luigia Scandella, entrambi nativi di Fino del Monte. Primo a lasciare il paese, anche questo un copione ricorrente, a metà Novecento, fu il padre, agricoltore di robusti bicipiti e volontà di ferro. Destinazione Ginevra, dove già viveva da anni, ormai ben inserito, un fratello. Dalla città del Lemano, altro balzo nel Canton Grigioni con cambio di mestiere. Massimo aveva optato per cantieri dove si costruivano ripari antivalangari e gallerie legate alla rete idroelettrica, dove le buste paga erano un po’ più gonfie. Sul finire degli anni Cinquanta, ritorno con intenzioni di radicamento a Ginevra, raggiunto da un altro fratello e da una sorella. Lì Massimo lavorava nell’edilizia e la moglie Luigia come portinaia e aiuto domestico. Stagionali per statuto, solo braccia, niente famiglia. Finalmente a metà 1966 le autorità elvetiche staccarono il sospirato permesso B per dimoranti, che consentiva il ricongiungimento dei familiari. Dario, che compirà 67 anni il 22 settembre, e la sorella Antonia, che fino ad allora vivevano seguiti da premurose zie, si poterono unire ai genitori.

Dario Ranza
In famiglia, con la moglie Brigitte, la figlia Debora, il figlio Massimo e i nipoti Matteo e Bianca

“La vita – ricorda Dario – riportò poi mia sorella a Fino del Monte, dove vive con la sua famiglia, mentre io, deciso a fare il cuoco, iniziai a girovagare per cucine di ristoranti di tutta la Svizzera”. E in una stagione a Flims, ha conosciuto Brigitte, diventata sua moglie. Dal 1980, con i figli Massimo e Debora e due splendidi nipoti, Matteo e Bianca, la famiglia ha messo radici a Melano, ai piedi del Monte Generoso, che gli ricorda la Presolana, e sulle rive del Lago di Lugano. “Ma il legame con Fino del Monte – si affretta ad aggiungere lo chef, oggi famoso – resta saldo. Lì abbiamo la casa paterna e sia noi che i nostri figli ci torniamo sempre con un puntuale piacere. Siamo molto uniti alla famiglia di mia sorella e ho ancora alcuni parenti e amici d’infanzia. Il paese dove si nasce resta nel cuore, parlo volentieri il bergamasco con qualche innesto di ticinese e gustiamo con golosità i casoncelli che mio cognato e mia sorella ci preparano, come li faceva la mamma, ad ogni ritorno a Fino”.

Dario Ranza, da piccolo cosa sognava di fare?
Prima il calciatore e poi il cronista sportivo.

Quando le è venuto in mente di mettersi ai fornelli?
Quasi per caso, anche se vedevo mia madre molto impegnata in cucina. Ma alla fine della scuola dell’obbligo, o si andava avanti a studiare o si andava a lavorare, ho scelto la seconda opzione. Ho fatto un paio di stage in diversi settori e quello della cucina mi ha attratto.

Dove, come e con chi sono stati i suoi inizi?
Abitavo a Ginevra con i miei genitori ed è li che ho iniziato. Un apprendistato di 3 anni con “chef” e cuochi francesi , tosti , esigenti, ma anche capaci. Grazie a loro mi sono appassionato a questo lavoro. Il ristorante privato di una grande banca, molti coperti, ma anche pranzi di lavoro di alta qualità.

Che ricordi ha di quell’esordio?
Molto belli, perché dopo tre mesi non ero più il bambino da istruire, ma mi consideravano già uno di loro.

Se ha avuto un maestro al quale le piace fare riferimento ancora oggi, chi è stato?
Diciamo che ormai non mi ispiro a nessuno, ma alcuni “chef” abruzzesi che ho avuto nelle montagne grigionesi e Giuseppe Tizzano, “chef” campano doc che ho avuto durante la mia seconda esperienza in Ticino, mi hanno inculcato ed insegnato la cucina all’italiana. Poi ho avuto esperienze con molti altri “chef” stellati e no, ma tutti avevano una grande passione e hanno fatto aumentare la mia.

Dario Ranza
Dario Ranza, primo da destra, con Andrea Bertarini, Lorenzo Albricci e Chicco Cerea

E lei come si comportava poi con quelli che arrivavano da lei in cucina per seguire le sue orme?
Sono sempre stato molto esigente, cercando però di tramettere la passione che mi è stata inculcata e le conoscenze che ho acquisito.

Se le chiedo di descrivere il suo carattere?
Impulsivo e burbero, ma anche socievole.

Fare l’emigrante delle grandi e più nobili cucine che cosa ha rappresentato per lei?
Essendo nato in una famiglia di emigranti, specialmente in quel periodo sottomessi, la voglia era quella di emergere dimostrando qualità, per poter vivere “meglio” dei nostri genitori. Devo dire che la cosa mi è venuta molto facilmente e solo in pochissime occasioni ho avuto qualche problemino.

A uno che voglia prendere la sua strada cosa consiglierebbe soprattutto?
Di non guardare la televisione. Uno deve trovare la forza e la passione dentro di sé.
La cucina è artigianato, bisogna conoscere i prodotti, le tecniche per trasformarli senza snaturarli, e questo richiede molto tempo. Non ci sono molti tipi di cucina, per me c`è quella fatta bene e quella fatta male. Le mode, le novità, ci sono sempre state, ma non bisogna dimenticare il passato per avere un futuro.

È stata dura arrivare al successo e il costo le pare stia salendo?
Il successo è una conseguenza del lavoro. Lo si può mantenere solo se ci sono fondamenta solide, altrimenti il castello rischia di cadere in fretta. In molti casi, oggi
si vuol diventare chef prima di diventare cuoco.

Tre piatti che sono la sua specialità-top?
Difficile alla mia età parlare solo di alcuni piatti. Alcuni identificano la mia cucina con il risotto, ma cucino volentieri sia carne che pesce, che pasta e adesso sempre più anche piatti con meno proteine. E adoro riprendere e magari interpretare i grandi piatti della tradizione lombardo-ticinese. Comunque quando penso ad una pietanza, già la immagino a livello di sapore e come vorrei fosse nel piatto. Se poi al terzo tentativo non mi soddisfa ancora, l’accantono.

Il suo successo più memorabile?
Penso che aver rappresentato la Svizzera al Bocuse d’Or sia stato il coronamento nel mio mondo dei concorsi, e qui ricordo con piacere il Tartufo d’Oro di Gubbio o il Taittinger Svizzero. A livello culinario puro, è un motivo d’orgoglio per me aver superato l’esame di Maestria Federale, essere stato invitato come chef ospite al Gourmet Festival di St. Moritz, o aver ricevuto il Merito Culinario Svizzero, pari ad un cavalierato, ma sicuramente dimenticherò qualche cosa.

Dario Ranza
Vincitore al concorso mondiale di cucina “Bocuse d’Or

E un flop che le è rimasto addosso come un peso?
Non aver controllato abbastanza un piatto in uscita che ha mandato un ospite in cure intense perché allergico al sesamo, problema del quale eravamo stati avvertiti.

Un’opinione spassionata sulle trasmissioni televisive, un po’ ovunque: non c’è un perdurante effetto bulimico? Con quali risultati secondo lei?
Se all’inizio grazie a personaggi come Bocuse, Marchesi, Witzigmann, la tv ci ha dato lustro, ha fatto conoscere la professione, ci ha fatto uscire dalle cantine, oggi c’è un’esasperazione legata alla spettacolarizzazione dei troppi programmi, creando personaggi antipatici (mentre nella vita normale sono persone squisite), generando false aspettative, con spettacoli molto distanti dalla realtà, che illudono seminando l’idea che in tre mesi di tv si possa diventare “chef”.

Quando si siede a tavola in un ristorante e le portano il menu, cosa guarda innanzitutto e cosa sceglie?
Solitamente scelgo il ristorante in base a quello che vorrei mangiare, l’unica cosa che mi spaventa sono i menu troppo lunghi. Se entro per la prima volta, faccio una veloce “radiografia” dell’ambiente, penso come tutti.

Guardando al tempo della pensione, come si sente?
Siccome l’età della pensione è già superata di due anni, ritengo veramente sia l’ora di pensare anche ad altro; in ogni modo lo spirito è ancora intatto, e sono fortunato perché faccio un mestiere che mi piace ancora, poi il tempo dirà…

Infine, quale il ricordo – uno solo – più bello che si porta dentro?
La festa che alcuni miei ex collaboratori in combutta con mia moglie mi hanno dedicato un anno fa con circa 200 persone venute a festeggiare la mia “quasi pensione”.

A TAVOLA CON DARIO RANZA
FILETTO DI VITELLO ARROSTO AL CRUDO E SPUGNOLE (per 2 persone)

Ingredienti e preparazione
Carne:

– Parare e forare al centro con l’acciaino 0,28 kg. filetto vitello e farcire con la duxelles ( vedi sotto)
– Lavare asciugare e tritare 0,01 kg. salvia e rosmarino
– Cospargere il filetto con le erbette
– Stendere 5 fette di crudo e avvolgerci il filetto farcito
– Rosolare bene su tutti lati in rosticcera calda con 0.02 l. olio di girasole poi mettere in forno su una griglietta e cuocere a bassa temperatura (forno ventilato a 85° cottura a cuore 54°).
Lasciare riposare sulla bocca del forno per 10 minuti, oppure cuocere in forno a 180°, per 8 min. dentro la rosticcera, irrorando sovente con il grasso di cottura e poi lasciare riposare.
Tagliare e servire su zoccolo di semolino, o purea o….

Salsa:

– Ridurre della metà 0,04 l. marsala aggiungere 0,1 l. sugo d’arrosto, lasciare sobbollire un paio di minuti e finire aggiungendo 0,01 kg. burro.

Duxelles alle spugnole: 

– Stufare con 0.01 kg. burro 0,01 kg. scalogno tritato, aggiungere 0,04 kg spugnole crude tritate e 0.04 kg. champignons tritati e lasciare evaporare la loro acqua.
– Aggiungere sale e pepe e poi bagnare con 0,03 l. di vino bianco secco e 0,03 l. di sugo d’arrosto.
– Fare asciugare completamente.
– Lasciare raffreddare.

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