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L'intervista

Salario minimo, Piccinali: “Troppo generico, si indichino ambiti in cui non viene applicato”

Il direttore amministrazione, finanza e risorse umane di Scame Parre guarda con distacco alla discussione: "Si generalizza sempre e si spara nel mucchio. A Bergamo nel settore meccatronico i contratti superano di gran lunga i 9 euro"

“Il salario minimo? Continuo a pensare che si sta discutendo di un tema senza voler effettivamente andare al punto”.

Agostino Piccinali, direttore amministrazione, finanza e risorse umane di Scame Parre spa, guarda con un po’ di distacco alla misura che sta riempiendo le agende politiche di maggioranza e opposizione, che venerdì si incontreranno per confrontare le relative posizioni.

Piccinali, da imprenditore come si pone di fronte alla questione del salario minimo? 

Credo che porre la questione sia legittimo, in generale, ma da imprenditore che lavora in un’azienda che applica il contratto dei metalmeccanici, o meccatronici come ci chiamiamo a Bergamo, dico che il nostro accordo nazionale non conosce il problema dei minimi. Penso che ci si debba concentrare su altro, sul regolare due aspetti come l’applicazione vera e propria di questi contratti e la rappresentanza. Se il contratto fosse applicato ovunque ridurremmo il problema del salario minimo a un numero davvero esiguo di lavoratori. Perché tutti i contratti che conosciamo superano di gran lunga il minimo dei nove euro, sul quale si sta ragionando.

Alla luce di quest’ultima considerazione, secondo lei, dovesse passare la misura in questi termini, non rischierebbe di esporre addirittura a condizioni peggiorative con un passo indietro sulle retribuzioni minime? 

Non credo ci sia questo rischio, ma comunque per assurdo potrebbe anche succedere: probabilmente, però, a quel punto si andrebbe incontro a situazioni poco applicabili dal punto di vista legale. Posso capire la proposta, perché ci sono situazioni legate al lavoro nero o non perfettamente aderenti alla normativa, dove viene applicato un contratto ma al lavoratore alla fine dei conti si riservano condizioni differenti, con pratiche ovviamente non legali. Ma sono aspetti che non sono tipici delle nostre imprese, soprattutto quelle iscritte a Confindustria, ma che riguardano aziende di dimensioni molto contenute e appartenenti a particolari settori economici dove probabilmente la definizione di un minimo e l’obbligo di applicazione di un contratto risolverebbe le problematiche.

Per Bergamo, quindi, cambierebbe poco o nulla.

Certamente i territori ad alto sviluppo e industrializzati come il nostro sono messi meglio di quelli dove ci sono poche aziende di dimensioni ragguardevoli. Vero che il nostro tessuto economico è fatto anche di tante piccole aziende, ma quasi tutte fanno parte di filiere che sempre più applicano obblighi e richieste per tutti i fornitori. Ormai l’azienda media, camminando sempre più sul sentiero della sostenibilità, dovendo adottare codici etici, modelli legge 231, dovendo garantire a sua volta che il prodotto venga realizzato da una filiera eticamente a posto, impone una certa linea a ritroso su tutta la filiera. E così si crea un humus dove la regolarità si diffonde a macchia d’olio. Il territorio meno sviluppato è invece più esposto all’annidarsi di comportamenti scorretti.

Non è una proposta che la esalta, insomma…

La sto vivendo abbastanza distaccato. Parliamo di salario minimo in generale e non abbiamo mai il coraggio di indicare i settori e gli ambiti in cui questo salario minimo non viene applicato. Se non siamo in grado di effettuare controlli sul lavoro nero o non lo vogliamo fare, non travestiamo questa incapacità in necessità di salario minimo. Non sarà quello a fermare il lavoro nero. Per colpire un comportamento illegale si va sempre a sparare nella massa, come spesso succede in Italia. Credo che sia ora di mirare di più i discorsi.

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