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Migranti, Giorgio Gori: “Non possiamo lasciarli morire così”

Dopo gli ultimi due naufragi avvenuti a Lampedusa nella giornata di sabato 5 agosto, riproponiamo un'intervista a Giorgio Gori, sindaco di Bergamo

Migranti. Sono due i naufragi avvenuti nelle ultime ore al largo di Lampedusa, con una trentina di dispersi. Dopo lo sbarco sull’isola, nella tarda serata di sabato 5 agosto, di 57 migranti e due cadaveri (una donna e un bimbo) ripescati dalle motovedette della Guardia costiera, i mediatori dell’Oim, sentendo i superstiti, sono riusciti a ricostruire che le barche colate a picco sarebbero due. La prima carretta aveva a bordo 48 migranti, 45 dei quali sono stati salvati.  I 14 naufraghi della seconda imbarcazione, anch’essa salpata da Sfax giovedì scorso, hanno sostenuto di essere partiti in 42. All’appello mancherebbero dunque altre 28 persone.

Di fronte a questi dati riproponiamo l’intervista che Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, ha rilasciato a Marianna Aprile e pubblicata questa settimana su Oggi. 

Giorgio Gori è stato direttore di Canale 5 e Italia 1 e produttore televisivo (fondò Magnolia). Da nove anni è sindaco di Bergamo. Nella vita futura, che inizierà tra un anno, alla scadenza del suo secondo mandato e in concomitanza con le elezioni Europee, non sa ancora cosa farà: “Ma mi occuperò di immigrazione. Non si può continuare a lasciare che i migranti anneghino o siano torturati e lasciati morire dall’altra parte del Mediterraneo. Lo farò con organizzazioni internazionali e Ong o attraverso la politica, quindi in Europa. Ma non ho ancora deciso”, dice. Intanto ha iniziato ad accendere fari sul tema in ogni occasione utile. Di recente, con un tweet, ha puntato il dito sul punto debole dell’intesa tra Unione Europea e Tunisia promossa da Giorgia Meloni: “Voler stabilire un rapporto coi Paesi di provenienza dei migranti e promuoverne lo sviluppo per ridurre i flussi è condivisibile. Ma non può tradursi nella richiesta di fermare i flussi con qualsiasi mezzo e senza condizioni sulla tutela dei diritti umani”.

Nel 2017, il governo Gentiloni, col ministro Minniti, strinse accordi molto simili con la Libia. Che differenza c’è?

Il giudizio che oggi diamo di quegli accordi – e la ragione per cui il Pd ha votato contro il loro rinnovo – dipende dal fatto che nel frattempo la situazione li è cambiata e che abbiamo avuto le prove di campi di deportazione, stupri, torture. Oggi la Libia non è un Paese sicuro. Ma nel 2017 Minniti aveva costruito relazioni con sindaci e capi tribù della Libia di allora. In quel periodo gli parlavo spesso, era preoccupato per la torsione democratica che si stava creando attorno all’idea che i flussi migratori fossero senza controllo. Non diceva che gli sbarchi fossero “in sé” un fattore di destabilizzazione ma che quei flussi robusti davano benzina a destre e forze populiste. Anche perché a differenza di oggi i tg gli sbarchi li mostravano. L’esito delle elezioni politiche del 2018 e delle europee del 2019 ha confermato quei timori. Già allora dicevo a Minniti che se nel frattempo non ci si preoccupava della ricaduta sui territori, di accoglienza e gestione di chi non otteneva l’asllo, il problema sarebbe rimasto. Concordava ma era convinto che la priorità fosse frenare le partenze. Nel 2017 si poteva fare, oggi sappiamo cose che non rendono più accettabile rinnovare quegli accordi

Come giudica invece l’approccio di Giorgia Meloni?

C’è un riposizionamento del centrodestra e in particolare di Meloni su questo; non si parla più di blocco navale. L’impegno nel creare un fronte internazionale, con l’accordo con la Tunisia di Saied e la recente Conferenza sulle migrazioni a Roma, è condivisibile, ma denuncia una certa fretta e fa passare l’idea di un automatismo tra il dare dei soldi alla Tunisia e lo sviluppo economico dei Paesi di partenza. Non è cosi, sono fenomeni strutturali, dureranno anni, Non aver condizionato gli aiuti al rispetto dei diritti è non più perdonabile. Inoltre, l’idea che la soluzione sia pagare qualcuno per mettere un freno, quale che sia, finisce col confermare nell’opinione pubblica l’idea che non ci sia altra soluzione.

migranti
Migranti. Foto d'archivio

Il governo ha anche aumentato molto le quote del decreto flussi. È parte del riposizionamento?

Erano ferme da 10 anni, il che ha contribuito all’aumento degli ingressi irregolari, quindi è una cosa positiva. Ma non basta. Col decreto flussi non entra un solo migrante nuovo: chi vuole assumerne uno deve indicarne il nome, che quindi già conosce. i di fatto una regolarizzazione di chi è già in Italia. Comunque, una cosa positiva: centinaia di migliaia di migranti sono “irregolari” perché hanno perso il lavoro o non hanno ottenuto il permesso di soggiorno, e sono spinti a vivere senza potersi sostentare legalmente. E un problema serio. basta guardare nelle carceri. In quello di Bergamo, su 521 persone il 33% è costituito da stranieri extra-Ue senza permesso di soggiorno, categoria che in Italia rappresenta lo o.8% della popolazione. Chi non ha un permesso di soggiorno ha una possibilità di finire in carcere 20 volte superiore a chi ce l’ha. Se devi sopravvivere e non puoi farlo legalmente lo fai illegalmente. In questa chiave, l’aumento dei flussi è positivo, ma le destre non hanno ancora davvero affrontato di petto il problema.

A suo tempo, neanche le sinistre.

Vero. Chiunque guardi lontano vede che siamo destinati a diventare un Paese di vecchi senza una forza lavoro in grado di sostenere il nostro welfare. E anche facendo tutto il possibile per riattivare le dinamiche demografiche, gli effetti non li vedremmo prima di 25 anni. Dobbiamo preoccuparci adesso di attivare flussi regolari commisurati alle necessita di demografia e lavoro. Quindi anziché star lì a compiacerei del fatto che Meloni stia facendo passi indietro rispetto alle sue posizioni originarie sull’immigrazione, dovremmo considerare che è ancora ferma al contrasto di quella illegale e fare noi due passi avanti per occuparci di quella legale.

In che modo, se siete all’opposizione?

Dopo il salario minimo, è un altro terreno su cui le opposizioni possono trovare una convergenza. Certo, i Cinquestelle hanno firmato con Salvini i decreti sicurezza ma hanno cambiato posizioni, e con Calenda il dialogo è possibile. Ci sono vari modelli su cui lavorare. Intanto, i corridoi umanitari che consentano a chi ne ha diritto di arrivare qui senza rischiare la vita sui barconi. Poi la proposta di legge di iniziativa popolare Ero straniero, ripresentata da Riccardo Magi di +Europa alla Camera, che prevede di cancellare quote e reato di immigrazione clandestina, e ripristinare lo “sponsor” (aziende che si fanno carico dell’ingresso di una persona e delle spese del suo mantenimento) o il permesso temporaneo di 1 anno per ricerca di lavoro. L’altro modo è quello canadese: si definiscono quote e si attivano graduatorie per ciascun settore, in cui il punteggio è subordinato a conoscenza della lingua, profilo professionale, rete familiare nel Paese di arrivo. Un approccio di questo tipo troverebbe il favore anche del mondo delle imprese. Non solo: se si attivano flussi regolari e attraverso la cooperazione si lavora allo sviluppo dei Paesi di provenienza, si svuotano i flussi irregolari e si ottiene più facilmente anche collaborazione per rimpatriare chi non può stare qui.

Per promuovere proposte alternative serve un Pd stabile. La nascita della “corrente” di Stefano Bonaccini, cui ha assistito a Cesena, fa fare un passo in avanti o indietro a questo consolidamento?

In avanti. II Pd non può permettersi lacerazioni né contestazioni della leadership di Schlein, nonostante gli elementi di fragilità emersi in questi mesi. Ma si può cooperare apportando un pragmatismo, un’attenzione a imprese e crescita, che alla leadership in alcuni casi a volte difetta a vantaggio di una spinta più ideale. Anche Romano Prodi, a Cesena, ha invitato a una maggiore concretezza. Se riusciamo a saldare questo pragmatismo senza conflitti i risultati possono essere positivi. Dobbiamo essere quelli dell’inclusione e della giustizia sociale ma anche quelli che si preoccupino della crescita, che scommettono sulla società e sulle sue energie.

Nella sua vita precedente era a Mediaset. Come valuta il nuovo corso voluto da Pier Silvio Berlusconi dopo la scomparsa del Cavaliere?

«Vedere per credere. L’arrivo di Bianca Berlinguer di per sé non basta a cambiare il profilo dell’offerta di Rete4; quanto al resto, basta dare un’occhiata a Temptation Island per avere dei dubbi sul cambio di passo. E non credo che il Grande Fratello si emendi dai suoi contenuti solo perché a commentarli in studio c’è la mia amica Cesara Buonamici invece di Sonia Bruganelli. Sembra un po’ face-washing…

Sarà più facile per Mediaset apparire “terza” ora che Silvio Berlusconi non c’è più?

Leggevo che Adriano Galliani si candida a Monza nel collegio che fu del Cavaliere, “con il pieno consenso della famiglia Berlusconi” ha detto Antonio Tajani. Non mi pare sia cambiato molto.

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