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Cinema

Il film

“Barbie”, manifesto pop-femminista che mostra la fragilità contro una perfezione di plastica

Greta Gerwig mostra una Barbie in crisi esistenziale in viaggio nel Mondo Reale per ritrovare la bambina che ha smesso di credere in lei e quindi ritrovare la felicità. Il messaggio femminista, poco incisivo, viene accompagnato però da un’intelligente e ben girata presa di coscienza

Titolo: Barbie
Regia: Greta Gerwig
Paese di produzione / anno / durata: USA, Regno Unito / 2023 / 114 min.
Interpreti: Margot Robbie, Ryan Gosling, America Ferrera, Kate McKinnon, Michael Cera, Ariana Greenblatt, Issa Rae, Rhea Perlman, Will Ferrell
Programmazione: Capitol Bergamo, UCI Cinemas Orio, UCI Cinemas Curno, Garden Clusone, Starplex Romano di Lombardia, Arcadia Stezzano, AriAnteo Treviglio, Treviglio Anteo spazioCinema

 

Un’eterna perfezione di plastica, fatta di giorni rosa tutti uguali e tutti perfetti, che si sciolgono nell’intensità di una lacrima. Una perfezione rosa simbolo della consapevolezza femminile e femminista, portata in scena in Barbie, il nuovo film di Greta Gerwig, in sala dal 20 luglio.

Interpretata da una splendida Margot Robbie, Barbie stereotipo è, dal nome, la Barbie più riconoscibile del mondo rosa pastello di Barbieland. Insieme a lei, convivono in un matriarcato (senza figli) Barbie Presidente, Barbie premio Nobel per la Fisica, Barbie Dottoressa, Barbie Avvocata, fino a Barbie Sirena. Le donne, a Barbieland, sono padrone della propria vita e del proprio eterno presente, possono essere tutto ciò che vogliono. Donne emancipate, con vite perfette, passate tra rivendicazioni del proprio status a momenti di divertimento, come i balli o le eterne e sempre uguali “serate tra donne”. Una perfezione che si incrina quando Barbie Stereotipo si accorgerà di avere i piedi piatti, le prime smagliature e, soprattutto, “irrefrenabili pensieri di morte”. Per trovare un senso a questi cambiamenti, dovrà rivolgersi a Barbie Stramba (una bambola maltrattata nel mondo reale) che, attraverso una divertente citazione a Matrix (décolleté o sandali Birkenstock?), la porterà a compiere un viaggio nel Mondo Reale, per ritrovare Sasha, la bambina con i pensieri tristi che sta giocando con lei, per farle ritornare la felicità e recuperare così anche la propria.

Attraverso un’ormai celebre citazione al monolite di 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick, Barbie/Margot Robbie, pin up dal costume zebrato, diventa nuovo modello di riferimento per le bambine, che distruggono i propri bambolotti e, con loro, l’idea che debbano solo essere madri, per essere invece anche donne. La fashion doll creata da Ruth Handler e commercializzata da Mattel nel 1959 segna in questo senso uno spartiacque nel mondo dei giocattoli, con bambole che, da neonate, diventano donne, con ruoli e professioni da adulti. Dal paesaggio desertico dell’incipt si passa poi al mondo glitterato e fluo (ben realizzato) di Barbieland, gigantesca riproposizione live action di un immaginario ben codificato (e pubblicizzato), che grandi e piccoli non stenteranno a riconoscere.

Greta Gerwig, però, non prende solo spunto dalla linea di giocattoli Barbie, ne fa invece riferimento diretto, tra case che si aprono nella loro interezza, docce senz’acqua, auto senza motore e piedi che si muovono eternamente sulle punte. La regista, dopo Lady Bird e Piccole donne, utilizza questo mondo rosa pastello e ne fa manifesto femminista, attraverso il racconto di una bambola-donna emancipata che non ha bisogno dell’uomo per sentirsi realizzata. Se Margot Robbie è “ingenuamente” perfetta nel ruolo, il Ken di Ryan Gosling rimane il personaggio più caratterizzato. Nel ribaltamento dei generi, Ken è solo un comprimario, che “esiste solo se Barbie lo guarda” e che, a Barbieland, viene definito solo come “spiaggia”. Un uomo perfetto e dal fisico scolpito che esiste solo in funzione di spalla della protagonista, con un ruolo che oscilla in modo intelligente tra l’ironico e il patetico. Un uomo che sprigiona però la propria “Ken-ergy”, una forza che risiede nell’ironia e nell’accettare di rimanere in secondo piano, fino a quando non scoprirà il ruolo dominante dell’uomo nel mondo reale.

Uno scambio continuo di ruoli di potere che, in un mix di commedia, musical e racconto di formazione, vedrà protagonisti nel Mondo Reale anche i vertici di Mattel, un gruppo di soli uomini a decidere le sorti di un giocattolo per bambine, che dovrà entrare in azione per riportare Barbie nel suo mondo. Un riferimento autoironico, che risulta però poco credibile, da parte di un’azienda che ha coprodotto il film, lasciando spazio alla regista, ma spingendo anche sull’utilizzo diretto della sua intera produzione, con intenti chiaramente promozionali. Il (corretto) messaggio di emancipazione portato avanti nel film e dal ruolo della stessa Barbie, si scontra poi con il pensiero polemico della teenager Sasha, raggiunta dalla stessa protagonista nel Mondo Reale, che vede una propria versione di “Barbie fascista”, la bambola stereotipata simbolo di una bellezza ideale ed irraggiungibile, salvo poi cedere passivamente al proprio volere quando si tratta di unirsi alla madre per salvare Barbieland.

La riflessione sulla società contemporanea (leggera, ma a tratti un po’ stucchevole) viene portata avanti, nella messa in scena, da diversi riferimenti cinematografici. Dai già citati Kubrick e Matrix a Zoolander e The Truman Show, il film è costellato da citazioni esplicite, che giocano con lo spettatore, ma che rendono sterile a volte il racconto complessivo. Resta però la figura di Margot Robbie, incarnazione vivente della perfezione fisica di Barbie, a mostrare come, oltre alla bellezza, c’è di più. L’intelligente ingenuità della protagonista evolve in una fragilità provata nel Mondo Reale che mai aveva sentito prima, accompagnata da una perfezione “di plastica” che nasconde i primi segni di cellulite (!) e il dolore dei tacchi alti. Un’evoluzione che porta ad una presa di coscienza, femminile ed universale allo stesso tempo, di come un’esternazione delle emozioni (come la Nellie di Babylon, sempre interpretata da Margot Robbie) passi da sterile esercizio ad una sincera accettazione di sé stessi. Perché, alla fine, lo stereotipo femminile (ma anche maschile) deve lasciare spazio alla singola affermazione, risultato di un’accettazione che è cambiamento che supera i modelli imposti e che ritrova la vita oltre ad un mondo di plastica glitterato e rosa pastello.

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