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Il punto

Perché non dovremo dimenticare la storia di Patrick Zaki

Il 4 dicembre 2022 la sua voce arrivò a Bergamo, durante Visionary Days, in collegamento da Il Cairo. Il suo messaggio per i giovani partecipanti fu: “Per un futuro migliore dobbiamo concentrarci sui diritti umani"

La parola “fine” a questa vicenda, forse, è stata posta mercoledì 19 luglio 2023: Patrick Zaki ha ricevuto la grazia dal Presidente dell’Egitto Abdel Fatah al-Sisi.

Riavvolgiamo il nastro. Il 7 febbraio 2020 Patrick Zaki viene arrestato presso l’Aeroporto Internazionale del Cairo, appena atterrato da un volo che lo stava riportando in patria per visitare i suoi familiari. Zaki infatti dall’autunno del 2019 si trova in Italia, quando ha iniziato un master sugli studi di genere presso l’Università Statale di Bologna.

Le accuse che gli vengono mosse sono quelle di minaccia alla sicurezza nazionale, incitamento alle proteste illegali, sovversione, diffusione di false notizie, propaganda per il terrorismo, sulla base di una decina di post Facebook – che la difesa sosterrà essere falsi – e Zaki viene posto in detenzione preventiva in attesa di processo.

Quando la notizia arriva in Italia il 9 febbraio grazie all’Egyptian Initiative for Personal Rights l’opinione pubblica rimane profondamente colpita e Amnesty International denuncia da subito i soprusi che il giovane egiziano sta subendo, mobilitando una campagna denominata #FreePatrickZaki.

Da subito infatti è chiaro che si tratti di una persecuzione verso un attivista politico – Zaki aveva sostenuto nel 2018 la candidatura presidenziale Khaled Ali, uno dei principali contestatori del presidente al-Sisi, che fu costretto a ritirare la candidatura denunciando intimidazioni – simile al caso di Giulio Regeni, il dottorando triestino rapito, torturato ed ucciso a Il Cairo da agenti del servizio segreto interno egiziano tra il 25 gennaio e il 6 febbraio 2016.

Amnesty International riportò infatti che Patrick Zaki venne tenuto bendato e ammanettato per 17 ore durante l’interrogatorio in aeroporto, picchiato su ventre e schiena oltre che torturato con scosse elettriche. Inoltre la detenzione preventiva venne prolungata per 18 volte a intervalli di 15 e 45 giorni: alla fine Patrick Zaki passerà in carcere 22 mesi, nel pieno del periodo pandemico.

Viene scarcerato l’8 dicembre 2021, in attesa di processo, con il rischio di una condanna a 25 anni di reclusione. Libero, ma impossibilitato a lasciare il paese, Patrick Zaki si laureerà presso l’Università di Bologna il 5 luglio 2023 dovendo partecipare alla cerimonia da remoto.

Il 4 dicembre 2022 la sua voce arriva a Bergamo, durante Visionary Days, sempre in collegamento da Il Cairo. Il suo messaggio per i giovani partecipanti fu: “Per un futuro migliore dobbiamo concentrarci sui diritti umani. È la mia carriera. È il mio interesse. È la mia passione. Credo ci sia un grande cambiamento tra le nuove generazioni. Loro hanno la possibilità di conoscere sempre di più, grazie alla tecnologia. Anche da una piccola città puoi sapere cosa accade dappertutto, prendere coscienza di cosa accade nel mondo”.

Tenere alta l’attenzione sui fatti che avvengono oltre il nostro cortile di casa ci permette di ricordare come l’Egitto sia ancora piagato dalla repressione del dissenso interno, si veda il rapporto di Amnesty International del luglio del 2016 che segnala la sparizione di centinaia di studenti, attivisti politici e manifestanti, compresi minorenni.

E se iniziassimo un ipotetico giro del mondo delle violazioni dei diritti civili passeremmo anche dall’America Latina, come riporta il dossier “People Power Under Attack 2022” di Civicus che denuncia le minacce di morte agli ambientalisti in Colombia o le violenze della polizia contro i giornalisti ad Haiti, o dal Myanmar dove l’8 giugno 2023 la giornalista Hmu Yadanar è stata condannata a 10 anni di carcere dal tribunale militare per aver filmato una protesta contro la giunta militare che ha preso il potere nel paese da poco più di due anni.

Per questo motivo – e quelli sopracitati sono solo alcuni esempi – la storia di Patrick Zaki deve rimanere un monito per la salvaguardia dei diritti umani in ogni angolo del pianeta, un campanello d’allarme che ci spinga a non distogliere lo sguardo dai soprusi e dalle violenze degli autoritarismi.

C’è infine un collegamento tra Italia ed Egitto che rimane tutt’oggi una ferita aperta ed è la vicenda di Giulio Regeni, che oltre al luogo in cui si è svolta presenta numerose similitudini – dall’età del protagonista all’impegno accademico – con quella di Patrick Zaki.

La storia di Regeni è lontana dalla parola “Fine” – esistono ancora tante ombre su quell’omicidio – a differenza di quella di Zaki. Ma è proprio il fatto che quest’ultima vicenda si sia conclusa a dare la speranza che la ricerca della verità porti sempre ad un risultato.

Tra il 7 e l’8 dicembre del 2021 – nella notte della scarcerazione di Zaki – sui muri di Roma, vicino all’Ambasciata egiziana in Italia, comparve un murale, realizzato dalla street artist Laika, che suscitò grandissima emozione. Ritraeva Patrick Zaki abbracciato con il sopracitato Giulio Regeni. Due vignette riportano il dialogo – immaginario – tra i due: “Stringimi ancora” dice Patrick, “Ci siamo quasi” dice Giulio. Oggi è struggente pensare che il dialogo si sia invertito.

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