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14 luglio

La presa della Bastiglia, l’evento che ha cambiato il corso della storia francese

La ricostruzione storica degli avvenimenti del 1789, che ritrovano punti di contatto anche nell'attualità

“Prima ci si è presentati in rue Saint-Antoine per penetrare in quella fortezza, dove nessuno è mai entrato senza che lo volesse l’orrendo despotismo: il mostro risiedeva ancora là” (M. Vovelle, La rivoluzione francese 1789-1799, Guerini, Milano, 1993).

Il prezioso documento sopracitato, cioè la voce di uno sconosciuto protagonista della presa della Bastiglia, nel fatidico 14 luglio 1789, ci consente di operare un tuffo nel passato, gettando luce anche sui tristi eventi odierni. La storia della Francia è stata sempre attraversata da rivolte e violenze, in nome di ideali e speranze a cui sacrificare la vita degli uomini, spargendo sangue e consegnando al fuoco rigeneratore sistemi politici ritenuti, a torto o a ragione, inadeguati, ingiusti e opprimenti. Il termine rivoluzione appare di per sé incompleto e ambiguo, necessitante di ulteriori chiarimenti e precisazioni: si trattò di un moto rivoluzionario evolutivo o involutivo? È necessario incamminarsi lungo il corridoio dell’imbarbarimento, dell’odio e dell’omicidio per maturare, ed edificare, una società più equa e solidale? La Rivoluzione francese, al grido di Liberté, Égalité, Fraternité, segnò davvero l’inizio di un vero progresso per l’Europa del tempo, traghettando l’umanità intera nell’età contemporanea? Siamo così convinti che il 1789 abbia dato corpo alle più profonde istanze espresse dalla filosofia dei Lumi, cioè a quell’uscita dal proprio stato di minorità imputabile a un non adeguato utilizzo delle proprie facoltà intellettive?

Torniamo alla ricostruzione storica degli avvenimenti in esame, lasciando volutamente in sospeso gli interrogativi sollevati, consegnandoli alla sensibilità del singolo lettore. Nel luglio 1789, l’ambiguo atteggiamento del debole Luigi XVI, unito alla piaga della povertà e a quella della penuria di generi alimentari, alimentò un clima di sfiducia e di ribellione: “Nei primi giorni di luglio furono fatti affluire intorno a Parigi reggimenti composti da mercenari stranieri, più affidabili di quelli francesi. L’11 luglio Necker venne congedato e sostituito dal barone di Breteuil, un aristocratico reazionario. Di fronte al pericolo la municipalità semiclandestina che era stata costituita a Parigi dal corpo degli elettori del Terzo Stato deliberò la formazione di una milizia borghese” (C. Capra, Storia moderna (1492-1848), Le Monnier, Firenze, 2015).

Il goffo tentativo, orchestrato dal monarca, di recuperare una propria autonomia decisionale, mise in allarme il popolo che, temendo un ritorno all’antico regime, decise di muovere battaglia verso la Bastiglia, simbolo indiscusso dei soprusi aristocratici del passato: “Tra la primavera e l’estate del 1789 in tutta la Francia iniziarono a diffondersi voci che davano per imminenti complotti aristocratici. Frutto della propaganda di scaltri agitatori, esse trovarono accoglienza tra la popolazione, già in fermento a motivo della miseria crescente. Il 13 luglio 1789, spinti dalla voce di un intervento monarchico contro la Costituente, gli abitanti di Parigi scesero in strada ed eressero barricate, assaltarono alcune daziarie e una caserma dell’esercito. I deputati del Terzo stato si posero alla testa dell’insurrezione, organizzarono un governo municipale e formarono le milizie volontarie dalle quali, in seguito, sarebbe nata la Guardia nazionale. Il giorno successivo, 14 luglio, si sparse la voce che nel carcere della Bastiglia le truppe regie stavano concentrando armi e polvere da sparo da usare contro il popolo di Parigi: a quel punto, una folla inferocita, formata da artigiani e piccoli commercianti provenienti dal vicino quartiere di Saint- Antoine, assaltò la fortezza” (A. Zorzi, A. Zannini, W. Panciera, S. Rogari, Storia 2. Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento, Garzanti Scuola, Milano, 2014).

De Launay, il governatore della prigione, cercò inizialmente di intavolare una trattativa con gli insorti, ma di fronte all’atteggiamento ostile di alcuni facinorosi, penetrati nei cortili della fortezza, impaurito dall’evoluzione della situazione, optò per la soluzione militare, condannando se stesso e i suoi uomini a una morte violenta: “Verso l’una del pomeriggio Launay, impaurito, diede l’ordine di sparare: restarono uccise circa cento persone. Verso le cinque, una nuova ondata di folla, che si era impadronita di quattro cannoni alla fortezza degli Invalides, invase la Bastiglia. Nell’assalto rimasero uccisi tre ufficiali e tre soldati, oltre allo stesso Launay. Le teste mozzate delle vittime furono portate sulle picche attraverso le vie della città” (M. Palazzo, M. Bergese, A. Rossi, Storia Magazine. Dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento, (II A), La Scuola, Brescia, 2009).

Fu un bagno di sangue che non diede spazio a pietà alcuna. L’eco degli avvenimenti non si arrestò a Parigi, raggiungendo le campagne francesi, determinando un contagio pericoloso: ovunque, scoppiò una grande rivolta contadina “innescata e accompagnata da una vera e propria ondata di panico collettivo” (M. Fossati, G. Luppi, E. Zanette, Parlare di storia. Dall’Antico regime alla società di massa, (II), Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2014) che gli storici avrebbero, in futuro, ribattezzato “la grande paura” (Op. cit.). Dalla città alle campagne, gli intenti, le paure e gli obiettivi non cambiarono di molto: “Rimbalzarono da una parrocchia all’altra, al suono delle campane a martello, voci incontrollate di vendette nobiliari, massacri, razzie di truppe mercenarie e di bande di briganti. I contadini si armarono e assalirono uffici delle imposte, castelli, abbazie, dando alle fiamme i registri catastali e gli archivi dei tribunali signorili, dove si trovavano gli odiatori terrier, i documenti di proprietà che fissavano tributi e prelievi” (Op. cit.).

Uno sviluppo problematico che avrebbe reso protagoniste le masse contadine, creando una sorta di rivoluzione nella rivoluzione, contrapponendo i ceti cittadini a quelli dell’entroterra agricolo. Dopo la violenza e le stragi efferate, la politica doveva riprendere in mano la situazione. L’Assemblea nazionale, con il decreto dell’11 agosto 1789, dichiarò l’abolizione della feudalità, mettendo fine ai diritti di servitù personale, ai canoni e ai censi, alle decime, alla venalità delle cariche pubbliche, alle immunità fiscali per città, province e comunità, garantendo, infine, accesso a tutti i cittadini alle cariche militari, civili ed ecclesiastiche (Cfr. Op. cit.). Il 26 agosto, infine, l’Assemblea sanciva ufficialmente, nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, “i diritti fondamentali (libertà, proprietà, sicurezza), l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la separazione dei poteri ed enunciava l’idea della sovranità popolare” (M. Fossati, G. Luppi, E. Zanette, Parlare di storia. Dall’Antico regime alla società di massa, (II), Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2014).

Il popolo, soprattutto quello piegato sulla terra da secoli, sfruttato e vessato, veniva liberato, almeno formalmente, da vincoli e catene. L’Ancien Régime veniva ferito a morte, vinto e umiliato fin nella sua massima e più alta rappresentanza, nella persona stessa dell’inetto e pavido Luigi XVI che, all’indomani delle insurrezioni parigine, non seppe fare altro che appuntarsi sul petto la coccarda tricolore, simbolo della milizia rivoluzionaria. La rivoluzione finirà per divorare i propri figli, i suoi attori principali, sfociando nel terrore e in nuove forme di violenza e di soprusi, consegnandosi, infine, in modo paradossale, nelle mani di un unico individuo, massima espressione del potere personale.

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