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Arte

I bestiari

Modu e la speranza che anima la rondine, non solo nella migrazione

Modu, ha 25 anni anni, genitori Etiopi ma è nato e cresciuto in Gambia: "L’animale che più mi rappresenta è una rondine, come lei ho spiccato il volo verso l’ignoto, senza sapere dove sarei riuscito a creare un nido tutto mio. Mentre il mostro che ho dovuto fronteggiare durante la traversata e anche dopo, è stata la depressione che in quel periodo chiamavo tristezza"

La questione migranti, insieme alle onde del loro destino, porta alle nostre coscienze storie tragiche e dolorose ma anche narrazioni commoventi, contraddistinte da vicende di accoglienza e solidarietà.

Sebbene i libri, siano stati una risorsa inesauribile e porte d’accesso alla conoscenza utili per approfondire le tematiche contenute nella rubrica dei Bestiari precedenti, qui viene data voce in prima persona a un migrante e alla sua storia.
Modu mi dà appuntamento a Vercelli in una calda domenica di giugno. Decido di arrivare in largo anticipo per farmi un giro in città e per compensare eventuali contrattempi rispetto all’orario concordato. Al mio arrivo, la città è completamente vuota, probabilmente molti sono al riparo dall’afa che attanaglia o riuniti per il pranzo domenicale. Mi sento come se fossi finito in un dipinto di Giorgio de Chirico senza spazio-tempo, o in una fotografia di Gabriele Basilico, i cui scorci architettonici sono privi della presenza umana.

Girovagando tra i vicoli, scorgo la bellezza della Basilica di Sant’Andrea, espressa dalla fusione tra Romanico e Gotico e dall’imponente facciata del Duomo, dedicato a Sant’Eusebio, dai richiami Neoclassici. Proseguo e finisco nel cuore del centro storico, dove trovo le prime presenze umane. Un gruppo di bikers conversa amabilmente mentre beve birra – accanto a loro il busto dedicato a Cavour sembra inserirsi nei loro discorsi, quasi a voler salire sulle loro Harley. Vado avanti, degli ambulanti vendono vecchi vinili, mentre un ragazzo è impegnato al solfeggio ritmico di una batteria, in preparazione dell’imminente esibizione serale. Mi dirigo sotto i portici, al riparo dal sole e tra i mercati scorgo casualmente un 45 giri di Mina del 1969.

A catturare la mia attenzione, oltre ai titoli delle due canzoni, sono i suoi occhi in copertina rivolti al cielo, quel pezzo di cielo si adagia ogni volta sulla terra quando sento la sua voce. Compro il
vinile e m’incammino. Incontro Modu alle 17.30 – entrambi siamo puntuali.

“Ciao Giovanni, benvenuto a Vercelli, ti va se andiamo in un locale a bere qualcosa di fresco? È un posto tranquillo, lì possiamo parlare indisturbati”.

Quando toglie gli occhiali da sole e incrocio il suo sguardo, trovo occhi fieri e onesti, mentre i capelli neri bagnati di gel, mi ricordano quell’esatta punta di nero che solo trovo nell’integra bellezza degli stami vellutati di un tulipano. Sorride, con quella predisposizione all’altro tipica di chi ha conosciuto il rifiuto. Arrivati al locale ci accomodiamo e inizia la nostra conversazione.

“Mi chiamo Mohammed, ma tutti mi chiamano Modu, ho venticinque anni. I miei genitori sono Etiopi ma sono nato e cresciuto in Gambia. Ho tre sorelle e due fratelli. Una delle mie tre sorelle vive negli Stati Uniti, mentre uno dei miei due fratelli vive in Inghilterra”.

Quando sei arrivato in Italia?
Sono qui da quasi otto anni.

A seconda del proprio paese di provenienza, ognuno lascia il proprio luogo per ragioni diverse, tu perché hai scelto di fuggire dal Gambia?
Va fatta una precisazione, è vero ogni stato africano ha una sua storia spesso contraddistinta da situazioni economiche, sociali e politiche molto difficili; prendi ad esempio la Libia fino a dieci anni fa era una potenza, circa due milioni di africani vi trovavano lavoro, aveva livelli di crescita economica pazzeschi. Poi la politica Occidentale e gli Americani l’hanno completamente saccheggiata e devastata, diventando transito di un caotico flusso migratorio. Ora gli stessi stati che l’hanno ferita e martoriata si lamentano del nostro arrivo in Europa. Ma questo non è il mio caso, io non sono
scappato…o forse in realtà sì.

Ti va di spiegarmi meglio?
Frequentavo il Liceo con indirizzo marketing, dopo una colazione in famiglia sono uscito e poco dopo ho ricevuto una chiamata del tutto inaspettata, mia mamma si trovava in gravi condizioni, probabilmente in seguito a una caduta. Sono corso subito a casa e poi in ospedale, dove lì mi è stato comunicato il suo decesso. Nemmeno oggi conosco le cause effettive della sua morte. Avevo 17 anni e per me è stata una perdita immensa, lei era il mio bene più prezioso ma in un attimo ho perso il suo amore.

[L’onda emotiva si presenta ai miei occhi come uno tsunami, le sue parole si stratificano ai miei vissuti personali, è così che per rispetto nei suoi confronti, decido di “accompagnare” la mia
emotività all’esterno del locale e lì rimarrà per tutta la durata dell’intervista]

Possiamo definirlo l’evento scatenante del tuo percorso migratorio?
Sì. Di fatto non sono fuggito per problemi economici, la mia famiglia sta bene, mio papà è proprietario di una Bakery ed è anche un Imam*, sostanzialmente sono fuggito dal dolore e dal trauma che questa perdita m’ha provocato, ma non è avvenuto tutto in maniera lineare. C’è spesso un’intenzionalità nel voler incasellare le motivazioni che portano una persona a compiere un percorso migratorio ma penso che le cause siano molteplici a seconda dei vissuti personali di ognuno.

*All’interno di una comunità religiosa islamica, è una persona che conduce la preghiera comunitaria. Spesso ha compiuto studi specifici in campo religioso, ha una buona conoscenza del Corano e della giurisprudenza islamica e una retorica che gli permette di pronunciare adeguatamente vari sermoni.

Sicuramente ogni scelta merita rispetto. Dicevi però che non è avvenuto tutto in maniera lineare, in che senso?
Dato lo sconforto per la perdita di mia mamma, uno zio e la sua famiglia m’hanno ospitato da loro in Costa d’Avorio, sperando potessi riprendere il corso della mia esistenza e superare il lutto, lì sono rimasto per qualche mese, ma successivamente ho scelto di lasciarli per raggiungere un cugino in Algeria.

Cosa è accaduto durante queste tue peregrinazioni?
Lasciata la Costa d’Avorio, sono rimasto in Algeria circa tre settimane e al rientro, precisamente in Niger, in maniera del tutto casuale, ho conosciuto un signore il quale gestiva mezzi di trasporto. Lui e la sua famiglia sono stati molto premurosi nei miei confronti, penso sia stato l’unico a intravedere profondamente ciò che stava radicando in me, ossia una profonda tristezza. Fu lui a dirmi: perché non vai Italia?

A fronte di questa tua profonda tristezza, pensi sia stato un suggerimento opportuno?
Non ho preso nell’immediato e alla lettera questo suo consiglio, sebbene volessi andarmene da tutto e da tutti. Chiariamo, nessuno m’ha costretto a migrare, sono io che l’ho voluto. Quando poi ho iniziato a prendere seriamente in considerazione l’idea di andarmene non mi sono sottratto agli aiuti economici da lui offerti per affrontare la traversata.

Quindi hai deciso di migrare?
Sì, sostanzialmente sono scappato da mio papà, ero ancora minorenne quando mi sono imbarcato. Mio papà non me l’avrebbe mai permesso, non m’avrebbe mai messo su un barcone, tanto meno m’avrebbe acquistato un biglietto aereo per l’Europa. Quando sono arrivato in Italia e l’ho contattato, è andato su tutte le furie.

Com’è stata la traversata?
Sono partito dalla Libia. Dopo circa tre quarti d’ora di tragitto la barca ha iniziato a prendere acqua nella parte anteriore e quindi la probabilità di affondare si è palesata subito. Pertanto siamo dovuti rientrare col rischio di trovare le autorità libanesi pronte a far casino e ad arrestarci. Ma nulla delle ipotesi che ti sto elencando si è avverata. Abbiamo trascorso un pò di tempo lì, poi ci hanno dato un altro barcone, senza chiederci altri soldi, ed è iniziata la nostra traversata durata due giorni.

In quanti eravate e come sono le dinamiche a bordo? (Nel frattempo, penso al dipinto La zattera della Medusa di Théodore Gericault)
Eravamo in 116. So che avviene una sorta di selezione ma non saprei dirti chi la stabilisce e quali sono i criteri selettivi. Non è consentito portare nulla con sé, siamo saliti a bordo con gli unici indumenti che indossavamo. Durante la traversata ci hanno dato dell’acqua e dei biscotti, gli unici due alimenti presenti a bordo. So di traversate difficili e controverse le quali si protraggono più del tempo previsto – portando decessi proprio a causa della mancanza d’acqua, oltre a tante altre variabili, come potrai immaginare. Le dinamiche a bordo tra di noi si sono rivelate pacifiche ma so di traversate dove non sempre questo accade.

Davvero non hai portato nulla con te? Scusami per la domanda superficiale.
Non è una domanda superficiale, sì ho trasgredito le regole nonostante i controlli serrati. Ho portato l’anello che indossava mia mamma. Lo conservo ancora. Qualora fossi
annegato in mare, avrei comunque avuto una parte di lei con me.

Nei giorni scorsi al telefono ti ho descritto questa piccola rubrica chiamata Bestiari la quale mette in relazione la condizione umana con quella animale, attraverso tematiche importanti, come la tua. C’è un film intitolato “La vita di Pi” di Ang Lee, il quale indaga attraverso una traversata dall’India verso il Canada alcune dinamiche familiari con delle metafore le quali sono un po’ lo specchio dei nostri mostri interiori. Te la senti di dirmi qual è l’animale che rappresenta il tuo percorso migratorio e se ci sono stati dei “mostri” che hai dovuto affrontare durante la tua traversata?
L’animale che più mi rappresenta è una rondine, come lei ho spiccato il volo verso l’ignoto, senza sapere dove sarei riuscito a creare un nido tutto mio. Mentre il mostro che ho dovuto fronteggiare durante la traversata e anche dopo, è stata la depressione che in quel periodo chiamavo tristezza.

M’hai detto che tuo padre è un Imam, presumo che la religione sia stata una costante all’interno della tua famiglia. Questa formazione ti è servita durante questo tuo percorso?
Durante la traversata non ho pensato ad altro se non a due ipotesi: vivere o morire. Attualmente considero Dio una sorta di Spirito, ma non sono praticante, anzi è più corretto dire che il rapporto tra me Dio è solo nostro e non è mediato da terzi. È un discorso complesso. Esistono persone che ancora uccidono in nome di Dio, che compiono azioni facendo i loro interessi in nome di Dio o che manipolano o controllano altre persone in nome Dio. La mia regola, molto semplicemente, è non fare del male.

Mi sembra una regola molto nobile e che ti onora. Tornando alla traversata, dalla Libia siete quindi arrivati in prossimità della coste Italiane?
No, abbiamo smarrito la rotta e quindi a bordo si è creato il panico generale, soprattutto perché l’unico dispositivo presente, utile per chiedere aiuto, non funzionava. In mare aperto, ossia in mezzo al nulla, abbiamo chiesto soccorso al personale a bordo di una petroliera incontrata casualmente, ma non ci ha minimamente considerati, mentre la fortuna ha voluto che un grande peschereccio gestito, se non ricordo male, da Filippini ha avviato le procedura di salvataggio, allertando quindi l’emergenza. Successivamente ci hanno condotto su una nave, molto grande, la quale stabilmente staziona in quello che viene chiamato mare internazionale e lì abbiamo aspettato l’arrivo dei soccorsi italiani i quali successivamente ci hanno portato a Lampedusa. Lì, in seguito alle cure prestate e dopo aver espletato tutto l’iter burocratico è iniziato il nostro smistamento, ognuno di noi è stato indirizzato in diverse città Italiane. Io sono finito a Settimo Torinese e poco dopo qui a Vercelli presso un centro di accoglienza per stranieri, grazie al quale ho avviato il mio processo di integrazione. Ho iniziato a studiare la lingua italiana e a lavorare, è così che ho imparato a conoscere la vostra cultura.

Arrivato in Italia, quali sono stati i pregiudizi che hai riscontrato nei tuoi confronti?
Se analizziamo il discorso pregiudizi da un punto di vista sociale direi che ancora è fortemente radicata l’idea secondo la quale in Africa tutti muoiono di fame, ma l’Africa è tanto e molto altro. In Francia, ad esempio, c’è un canale televisivo il quale tratta argomenti di Cultura Africana ed ha un suo seguito, oggettivamente restituisce un’immagine dell’Africa costruttivo e in grado di evolversi. Infine, se penso al mio arrivo a Vercelli, devo dire che c’è voluto del tempo per far fronte alle difficoltà e per superare il rifiuto che percepivo nei miei confronti. La questione non è Vercelli in sé, penso sia fondamentalmente il corrispettivo di molte altre città italiane. La paura dello straniero rimane per molti un ostacolo insormontabile. Se un africano delinque automaticamente parte l’onda discriminatoria e generalizzata nei confronti di tutti gli stranieri, se un africano aggredisce una donna, automaticamente siamo noi la causa della violenza nei confronti delle donne* e di esempi ne potrei fare molti altri, uno dei quali è questo: “il locale in cui ci troviamo ora è gestito da due omosessuali italiani, poi te li presento; anni fa scelsero di
aprire questo Internet Cafè per avviare un processo di inclusione e integrazione rivolto a migranti e a persone locali. Hanno subìto contestazioni di ogni sorta, in molti pensavano potessero creare un crocevia di delinquenza e depravazione. Eppure, sono ancora qui. Siamo ancora qui a dimostrazione del fatto che integrarsi è possibile, è nel rispetto e nella conoscenza delle diversità altrui dove avviene il vero incontro”.

*Qui emerge un dato che fa riflettere, secondo l’Istat il comportamento di denuncia da parte delle donne italiane cambia molto quando l’autore della violenza è straniero. Solo il 4,4 % delle donne ha sporto denuncia dichiarando di essere stata vittima di stupro da parte di un italiano, mentre se l’autore è straniero la frequenza della denuncia è sei volte maggiore: 24,7 %. Tuttavia alcuni dati del 2020 stabiliscono che i casi di stupro in Italia subiti dalle donne italiane sono stati commessi da italiani in oltre l’80 % dei casi (81,6 %), mentre quelli ad opera di stranieri sono circa il 15% (15,1 %)

Un’ultima domanda, come stai oggi qui in Italia?
Sto bene, chiaramente la felicità è sempre passeggera ma sto meglio e ho chiuso un cerchio. Penso ogni giorno a mia mamma ma qui ho potuto ritrovare quell’amore che si era interrotto. Sono stato adottato. Devo molto alla mia mamma adottiva, non tanto in termini materiali poiché ho una mia indipendenza, ma affettivi. Mi ha educato e continua a educarmi alla vita, regalandomi la libertà.

L’amore, alla fine, vince sempre. 

Grazie a Mauro e a Stefano per aver creato la situazione giusta affinché potessi incontrare Modu, a tutte le persone che svolgono aiuti umanitari, a tutti i centri di accoglienza per stranieri, a tutti gli insegnanti che istruiscono i migranti nei loro percorsi di lingua allo studio, ai proprietari e gestori de – La Gare Human Cloud Internet Cafè – che ci hanno ospitato e infine, grazie Modu, è stato un incontro prezioso e un’importante lezione di vita.

bestiari - la rondine di Giovanni Fornoni

* Giovanni Fornoni ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano.
All’attività di artista affianca quella di docente. Con i suoi Bestiari sovrappone o accosta la condizione umana a quella animale, indagando simbolicamente fatti di cronaca contemporanea, mettendo in rilievo verità ataviche, antropologiche, sociali e culturali.
Immagine dell’opera: Advenisti [dal Latino: sei arrivato] – collage fotografico, disegno a inchiostro, frottage e vernice spray – 40×50 cm. 2023

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