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Arte

I bestiari

Femminicidio, ancora si muore

La Scitale e la Fenice. Noli manere ibi - Non rimanerci - è il titolo dell'opera di Giovanni Fornoni e ha un monito dal duplice significato per questo Bestiario. Non rimanerci in una relazione tossica, non rimanere lì, vai via - e non rimanerci, inteso successivamente come: “non morire per amore”

“Sto fatto che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna mi sembra una grande cretinata. È la solita storia che puzza di mancia, di gratifica natalizia, di carità, di bel gesto nei confronti di noi donne, esseri inferiori. Dietro una grande donna c’è sempre chi o cosa? Solo sé stessa, temo”. Mina

La violenza maschile nei confronti delle donne, ha origini molto lontane, strettamente legate al nostro passato e alla lunga storia di disparità e relazioni gerarchiche tra uomini e donne, è un problema complesso, annidatosi nel tempo – nei nostri tessuti sociali, culturali e istituzionali. Il tema delle discriminazioni nei confronti delle donne, venne trattato nella Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) – in tempi tutto sommato recenti, parliamo del 18 dicembre 1979 – entrò in vigore il 3 Settembre 1981 e l’Italia lo ratificò il 10 Giugno 1985.

Anni recenti, se pensiamo ai soprusi taciuti, omessi, ritenuti irrilevanti nei lunghi periodi storici antecedenti queste date. Per far luce sulle modalità correlate alla violenza contro le donne da parte
della società e delle istituzioni, risultano preziose, utili e indispensabili le documentazioni contenute nelle pagine del libro: La violenza contro le donne nella storia – contesti, linguaggi, politiche del diritto nei secoli XV – XXI. L’excursus storico sottolinea come nel corso del Settecento e in maniera determinate nell’Ottocento, la nostra giurisdizione sanzionava gli atti sessuali violenti – ma l’offesa non era associata alla donna che li subiva, ma erano strettamente correlati all’onore e al buon costume, non era quindi una violenza o un delitto contro la persona, bensì contro la morale.

L’ambito domestico – familiare interno e privato – è stato e rimane, terreno di espressione e di azione della violenza maschile contro le donne ed è proprio la violenza di coppia quella che ci
trasciniamo dal medioevo, all’età moderna, fino a oggi. Per anni, il capofamiglia con annesso il suo atavico patriarcato, ha avuto il diritto di esercitare nei confronti della moglie lo ius corrigendi ossia la completa libertà da parte dell’uomo di correggere atteggiamenti della consorte ritenuti da lui inopportuni, per riuscire ad ottenere obbedienza, fedeltà e sottomissione. Dall’età Medievale all’età Moderna la donna ha sempre avuto la possibilità di denunciare abusi o minacce, tuttavia in una sorta di manipolazione psicologica le si è sempre suggerito di anteporre alle denunce, la conservazione dell’unione coniugale, in nome di un credo e di un sigillo matrimoniale.

“Se denunci, distruggi il tuo legame nuziale, la tua stabilità economica e sociale”. 

Anche nei primi anni del Novecento, le dinamiche correlate alla violenza nei confronti delle donne non migliorarono molto, poiché continuarono a essere percepite non come un reato, ma come un delitto contro la facoltà e la natura maschile. In un gioco perverso correlato al principio d’onore, il corpo delle donne non era solo loro, ma era soprattutto di chi lo “possedeva”, tant’è che lo stupro per molto tempo, venne inteso meramente come un semplice furto della verginità e non lesivo della dignità e dell’integrità psicofisica della donna.

Il corpo delle donne, venne inoltre violato, umiliato e strumentalizzato in stupri di massa duranti i conflitti armati della prima e seconda Guerra Mondiale, oggi riconosciuti come crimini contro l’umanità. A tal proposito sorprende, soprattutto in queste specifiche circostanze, come la donna non sia mai stata sostenuta, idolatrata o resa eroica quando riuscì nelle sue imprese a difendersi – ma la sua eventuale capacità di difesa del suo onore, doveva passare attraverso la perdita della propria vita.

L’eroe maschile e il suo onore, invece, passava attraverso il suo trionfo, da vivo. Nei capitoli successivi vengono inoltre affrontati due concetti cardine nella storia delle violenze perpetrate ai danni delle donne, probabilmente ancora non del tutto risolti nel nostro tessuto socio-culturale, ossia il concetto di consenso e di possesso.

Perché si sceglie di denunciare la violenza attraverso immagini che la esprimono?

Importanti le riflessioni argomentate negli ultimi paragrafi, dedicati all’analisi iconografica delle immagini correlate alla violenza nei confronti delle donne. Risulta interessante constatare quanto le immagini di molte campagne atte a sensibilizzare questa tematica, siano state e molte lo sono ancora, tutte molto simili, estetizzate da stereotipi comuni. Il soggetto è sempre ripreso dall’alto. Alto chi ritrae, bassa e sottomessa la figura femminile inquadrata.

Le donne ritratte, si coprono quasi tutte il volto con le mani, oppure se visibile è contraddistinto da lividi e tumefazioni; spesso sono sedute o accovacciate in un angolo, comunicando disagio, disperazione e angoscia. Oltre al volto, una parte del corpo, a volte una spalla o un seno sono esposti allo sguardo dello spettatore, quasi a voler suggerire un corpo facilmente violabile. Questo ci porta a considerare che le immagini che ritraggono la donna aggredita, mettono lo spettatore nello stessa visuale che ha l’aggressore nei confronti della vittima. In effetti sorge un interrogativo. Come possiamo togliere il ruolo di vittime alle donne se per molto tempo siamo stati “istruiti” a questo alfabeto visivo?

Infine le ultime pagine del libro indicano quanto le donne vittime di violenza siano ancora “attraversate” dalla medesima preoccupazione, quella di non essere credute o di non avere sufficienti elementi per sporgere denuncia. Va detto però che la giustizia penale nel corso del tempo ha inciso profondamente, migliorando un processo atto a sconfiggere molti stereotipi e pregiudizi, migliorando gli aspetti correlati al valore dell’autodeterminazione e della libertà delle donne.

È opportuno quindi, continuare a parlarne e a strutturare discorsi atti a prevenire questo triste fenomeno. Le istituzioni, le associazioni, le religioni, i mezzi di informazione, è giusto che continuino a interrogarsi in merito al ruolo della donna nei loro contesti, strutturando azioni costanti di educazione civica, parlando di emancipazione ed evoluzione culturale.

In alcuni contesti istituzionali esiste ancora un divario retributivo tra donne e uomini. Le religioni incidono ancora profondamente sulla coscienza sociale poiché nei loro processi, la donne sono sempre considerate in secondo piano o escluse in molti dei loro rituali. Se pensiamo, invece ai mezzi di informazione Pier Paolo Pasolini – cinquant’anni fa in un’intervista a Dacia Maraini disse: “la donna in TV è considerata a tutti gli effetti un essere inferiore: viene delegata a incarichi d’importanza minima, come per esempio informare dei programmi della giornata; ed è costretta a farlo in modo mostruoso, cioè con femminilità. Ne risulta una specie di pu**ana che lancia al pubblico sorrisi di imbarazzante complicità e fa laidi occhietti. Oppure viene adoperata ancillarmente come
valletta”.

La fenice di Giovanni Fornoni

La Scitale e la Fenice
Noli manere ibi – Non rimanerci – è il titolo e un monito dal duplice significato per questo Bestiario. Non rimanerci in una relazione tossica, non rimanere lì, vai via – e non rimanerci, inteso successivamente come: “non morire per amore”.

Qui la donna incontra il nostro sguardo, avanza, va avanti, l’espressione è libera, non più sottomessa al volere di un uomo violento, sul volto non sono presenti ingiurie, lividi, sangue, tagli e suture, ma adagiata sul suo viso, troviamo una Fenice – emblema di rinascita, trasformazione e resilienza. Non lasciarti abbattere. Ai primi sospetti di violenza, fronteggia gli avvenimenti chiedendo aiuto, esci da quello che credevi essere un amore sano e autentico. Non tornare sui tuoi passi. Non ripetere le dinamiche che hanno portato le donne a perdere la propria vita per mano di uomini di violenti, risorgi dalle loro ceneri.

La figura maschile è invece rappresentata in secondo piano. Dal volto, precisamente dalle labbra emerge una Scitale – serpente leggendario, dall’incantevole bellezza e affascinante grazie alle
decorazioni poste sul suo dorso ma che approfitta dello stupore di chi se ne “innamora” in un crescendo manipolatorio e narcisistico, per poi aggredire, annientare e divorare.

Bibliografia:
– Citazione in apertura di Mina Mazzini
– La violenza contro le donne nella storia – contesti, linguaggi, politiche del diritto nei secoli XV – XXI di Laura Schettini e Simona Feci – Ed. Viella 2017
– Pier Paolo Pasolini – frase tratta dall’intervista a Dacia Maraini, “Ma la donna non è una slot machine” – Da l’Espresso – 22 ottobre 1972

Giovanni Fornoni
Ha studiato presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano.
All’attività di artista affianca quella di docente. Con i suoi Bestiari sovrappone o accosta la condizione umana a quella animale, indagando simbolicamente fatti di cronaca contemporanea, mettendo in rilievo verità ataviche, antropologiche, sociali e culturali.

Immagine dell’opera: Noli manere ibi – collage fotografico, inchiostro e frottage su pietra – 35×50 cm. 2023

 

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