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Il ricordo

Berlusconi e il calcio, storia di una rivoluzione partita (anche) da Bergamo

La sua eredità non è soltanto nei trofei vinti dal Milan e dal Monza in Serie A, ma anche nel modo di costruire le squadre di calcio. E tutto è iniziato con l'Atalanta

Due retrocessioni in una manciata di anni, una ricostruzione complicata, una squadra ferma a metà classifica che non riusciva a tornare più su. Il Milan a inizio anni ottanta viveva il periodo più difficile della propria storia, tra Serie B e problematiche economiche. Fu Silvio Berlusconi l’uomo che ne cambiò la storia rilevando il club il 20 febbraio 1986. Ma quello che fece il Cavaliere, allora cinquantenne, fu molto più grande di far rinascere una società. Portò nel calcio un nuovo modo di fare impresa, attuando una vera e propria rivoluzione. Che, nei primi step, ha indirettamente un passaggio cruciale anche da Bergamo.

Quando il Cavaliere ha acquistato la società, al timone c’era ancora Nils Liedholm e il gruppo vedeva l’emergere di un giovane rampante di nome Paolo Maldini, una luce nel buio. Il primo atto da presidente fu l’esonero del tecnico svedese, leggenda del club da giocatore. Poi, nell’estate 1986, l’inizio dei grandi acquisti. Ed ecco il legame con la terra orobica.

Il primo della lunga serie di colpi grossi fu un giovane ventitreenne che si stava mettendo in luce all’Atalanta, con cui aveva disputato due annate in Serie B e poi altre due in Serie A: si chiamava Roberto Donadoni e secondo molti all’epoca aveva tutto per diventare uno dei migliori giocatori italiani.

Non a caso era seguito anche dalla Juventus, con cui la Dea aveva già dei rapporti, ma Berlusconi gestì in prima persona il suo tesseramento: invitò ad Arcore il presidente Bortolotti, sborsò 10 miliardi di vecchie lire, un’enormità per i tempi che correvano, smorzati dai cartellini di Incocciati e Icardi che fecero il percorso inverso.

“Ricorderò sempre la sua capacità di prevedere, aveva coscienza di ciò che poteva fare e ne parlava sempre anzitempo, ci trasmetteva questa coscienza”, ha ricordato nel giorno della morte del Cavaliere l’ex calciatore a Sky.

Roberto Donadoni

Insieme a lui arrivarono Giovanni Galli, Bonetti, Galderisi, Massaro. La prima campagna acquisti faraonica, seguita a ruota l’anno dopo dai colpi olandesi di Van Basten e Gullit, poi Rijkaard. Tutto talento messo a disposizione del genio di Arrigo Sacchi, che vinse in quattro anni lo Scudetto e due la Champions League, poi un altro trionfo europeo e quattro titoli nazionali con Capello. Media superiore a un trofeo all’anno.

Se il grande Milan è ricordato come una delle squadre più forti di tutti i tempi lo si deve ai suoi interpreti, sì, ma soprattutto a chi lo ha pensato e realizzato mettendoci i soldi di tasca propria, mettendoci soprattutto la faccia senza mai tirarsi indietro. Berlusconi voleva il meglio, voleva che i suoi giocatori avessero la qualità per regalare spettacolo, proponendo un calcio offensivo e propositivo.

Fu il primo esempio di società-azienda nel grande calcio, il primo caso in cui il successo si costruiva anche con il denaro. Pensarlo al giorno d’oggi, quasi quarant’anni dopo, sembra scontato. Al tempo fu una vera e propria rivoluzione. L’investimento era sui giocatori, sulla creazione di un ambiente stellare in cui convivevano due anime di calcio e quello che qualche anno più tardi sarebbe stato chiamato show-biz.

Nel loro trentennio berlusconiano, i rossoneri fecero incetta di titoli, scrissero ancora di più il loro nome tra le squadre più nobili e blasonate del mondo. Il Milan divenne un brand intercontinentale. Al suo addio, nel 2016, la società si ritrovò a dover ripartire da zero. Oggi è in mano a fondi statunitensi, mentre il Cavaliere insieme al suo fido braccio destro Adriano Galliani aveva già messo gli occhi su un’altra creatura da portare in alto: il Monza.

Partito dalla Serie C, il duo ha centrato la prima promozione in Serie A nel 2022. Nella stagione d’esordio il club brianzolo è andato oltre i 50 punti, un traguardo inimmaginabile. Il secondo marchio indelebile a fuoco in quasi quarant’anni.

Sembra quasi una chiusura del cerchio che l’ultima partita che Berlusconi abbia visto giocare (dalla tv, non essendo più in salute per frequentare lo stadio) ad una squadra di sua proprietà sia stata proprio a Bergamo, dove 37 anni prima aveva strappato Roberto Donadoni a suon di miliardi dando una prima idea di ciò che avrebbe voluto raggiungere. E che poi, come sempre, ha realizzato. Una costante della sua vita.

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