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L'intervista

Caos guardie mediche, Garattini: “I medici non mancano, il problema è organizzativo”

Lo scorso fine settimana l’intera provincia di Bergamo è rimasta sprovvista del servizio. Il professore bacchetta Ats e Regione: "Sanità lombarda un'eccellenza? La medicina del territorio non funziona, anche dopo la pandemia"

Bergamo. “In Italia non mancano i medici: il loro numero è comparabile alla media degli altri Stati europei, il problema è organizzativo”. Così il professor Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto Mario Negri, luminare dalla lunga esperienza nel campo della ricerca e della sanità, si esprime su un problema ormai cronico.

Nel fine-settimana del 2 giugno l’intera provincia di Bergamo è rimasta sprovvista di Guardia Medica. Tra giovedì 1 e domenica 4 giugno sono stati 11 i medici fuori servizio per malattia, nove dei quali in turno nel distretto dell’Asst Papa Giovanni XXIII.

Sin dall’inizio del lungo ponte si sono verificati pesanti disagi: nella postazione di Borgo Palazzo giovedì pomeriggio (prefestivo, dunque non coperto dalla presenza dei medici di base) non è stato previsto alcun servizio di Continuità assistenziale, tanto che quando in serata la dottoressa di turno si è presentata ha trovato cittadini in attesa da diverse ore. Ha preso servizio notturno da sola e per lei sono state ore difficilissime: non ha potuto concludere il proprio orario alle 8 del mattino successivo com’era previsto, ma si è dovuta trattenere fino alle 11.30. Sono oltre 15 ore di lavoro consecutive.

Sul tema abbiamo intervistato il professor Silvio Garattini, presidente e fondatore dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”.

Professor Garattini, nel week-end l’intera provincia di Bergamo è rimasta sprovvista di Guardia medica. Come si arriva a un punto del genere?

Non ho idea di cosa sia successo in questo caso specifico. Va precisato, però, che i medici non mancano: il numero dei camici bianchi in Italia è compatibile con la media europea. Il problema non è numerico, ma organizzativo: bisogna aumentarne la produttività, considerando che molti hanno tempo libero che potrebbe essere adoperato meglio. Mancano, invece, gli infermieri: per offrire un servizio migliore ne servirebbero di più.

Ats ha un ruolo fondamentale nell’organizzazione della sanità a livello territoriale. Se dovesse dare un voto alla gestione prima, durante e dopo la pandemia, quale sarebbe?

Non sta a me dare voti. Considerando questi avvenimenti, però, evidentemente la parte territoriale della sanità non è organizzata bene. C’è bisogno di leggi che decidano cosa si deve fare sul territorio, a cominciare dalla definizione del rapporto tra case di comunità e medici di medicina generale. Non è facile perché si devono prendere anche decisioni impopolari, per esempio i medici di medicina generale non vogliono essere assunti, ma non si riesce a capire perché gli ospedalieri lo siano e loro no.

E in Regione Lombardia? La sanità è davvero un’eccellenza?

Se succedono fatti come questo significa che non è un’eccellenza. Più esattamente, lo è per la parte ospedaliera, perché ci sono strutture di alto livello, tra le migliori di tutta Italia e non solo, mentre l’organizzazione sul territorio – da quello che si vede e da questi avvenimenti – è una criticità significativa. Le lamentele sull’attività territoriale sono molte, a dimostrazione del fatto che qualcosa non va. La conseguenza è che si ingolfano i pronto soccorso e questo vuol dire che non si sta facendo quello che si dovrebbe. Penso che ci siano parecchie cose da sistemare perché, come abbiamo visto nel corso della pandemia, si tratta di aspetti fondamentali per la tutela della salute.

Da dove ripartirebbe lei per disegnare un nuovo modello di sanità?

Penso che ci si debba concentrare su due aspetti. Innanzitutto, bisogna risolvere il problema delle liste d’attesa e ristabilire la giustizia. Oggi chi si trova in buone condizioni economiche riesce ad avere in tempi brevi tutto ciò di cui ha bisogno, mentre chi è povero deve aspettare a lungo per effettuare un esame o una visita con il sistema sanitario nazionale. È una forma di ingiustizia che contrasta con l’articolo 32 della Costituzione italiana, dove viene specificato che tutti i cittadini hanno diritto alla salute. Al tempo stesso vanno aumentati gli stipendi dei medici italiani, che sono fanalino di coda in Europa. L’altro punto, infine, è far chiarezza sulle case di comunità: i medici di medicina generale devono lavorare insieme e queste strutture devono offrire servizi che consentano di avere un filtro rispetto all’accesso all’ospedale e al pronto soccorso, che oggi è pieno di persone con problematiche minori perché la medicina del territorio non funziona.

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