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L'intervista

Bergamo dedica a Enzo Tortora i giardini di piazza Dante, la figlia Gaia: “Gesto di libertà”

Il ricordo: "Quello che è successo non si può cancellare e nemmeno attutire con il passare del tempo"

Bergamo. “È un gesto di attenzione, sensibilità, ricordo e memoria per un uomo che ha dato molto alla storia della tv e del giornalismo”. Gaia Tortora saluta con affetto la decisione del Comune di Bergamo di intitolare a suo padre Enzo i giardini comunali di piazza Dante, nel centro della città.

È una scelta dall’elevato significato simbolico, considerando che il dolore di Enzo Tortora, che fu vittima di un caso di malagiustizia, ha fatto tappa anche nel capoluogo orobico.

Gaia Tortora prenderà parte alla cerimonia d’intitolazione venerdì 19 maggio alle 19.30, mentre alle 18 in Sala Galmozzi presenterà il suo libro “Testa alta, e avanti. In cerca di giustizia, storia della mia famiglia”. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti: è gradita la prenotazione inviando un’e-mail a coordinamento@innovabergamo.it

L’abbiamo intervistata per saperne di più.

Cosa rappresenta l’intitolazione dei giardini di piazza Dante a suo padre?

“È un gesto di attenzione, sensibilità, ricordo e memoria per un uomo che ha dato molto alla storia della tv e del giornalismo. Bergamo, purtroppo, per papà è stata un luogo di sofferenza. Nel corso della vicenda giudiziaria che lo aveva investito, infatti, ha trascorso qualche mese nel carcere bergamasco. La volontà del sindaco Giorgio Gori e del Comune di dedicargli i giardini di piazza Dante restituisce – attraverso la memoria – un senso di libertà a un uomo che viene ricordato dalla comunità non solo per essere stato in quel luogo di detenzione”.

E cosa ricorda del caso di malagiustizia di cui fu vittima suo padre?

“Ricordo tutto. Quello che è successo non si può cancellare e nemmeno attutire con il passare del tempo. È sempre presente nella mia mente come se fosse accaduto ieri. Il forte senso di ingiustizia, il dolore e la sofferenza che ha provato in primis lui e di conseguenza tutti noi familiari sono un tatuaggio indelebile. È un dolore che rimane per sempre: hanno distrutto la vita di una persona e della sua famiglia: non si può dimenticare e nemmeno rimuovere con un colpo di spugna”.

Venerdì parteciperà alla cerimonia e presenterà il suo libro “Testa alta, e avanti. In cerca di giustizia, storia della mia famiglia”.

“Si, scriverlo mi è costato parecchio perché ha significato ripercorrere quello che è successo. È la storia di come una famiglia e non solo la persona vittima di malagiustizia siano state distrutte. Racconto i tanti effetti a cascata che investono chi ha dovuto compiere un viaggio all’inferno come mio padre”.

Ci spieghi.

“Noi familiari abbiamo vissuto assieme a lui quello che ha passato. In tutto e per tutto. Non siamo mai riusciti a capacitarci del fatto che un’enormità come quella che gli era accaduta, con un vergognoso arresto a mezzo stampa, non si fosse voluta risolvere in pochi giorni. Sarebbe bastato poco tempo per provare che quello di cui veniva accusato non era vero e invece sono passati giorni, settimane e lunghi mesi senza che la situazione cambiasse. È stato faticoso e devastante”.

Tante volte vi sarete chiesti il motivo di tutto questo. Che risposta vi siete dati?

“Non ce la siamo data. Dovrebbero essere altri a dirci come mai si sia verificato un accanimento giudiziario di questa portata ma non abbiamo ancora ricevuto spiegazioni”.

Ma lei crede ancora nella giustizia?

“Si, coltivo la speranza nella giustizia e più in generale in questo Paese, altrimenti non mi impegnerei in una battaglia come questa. La sto portando avanti da tempo per coltivare la memoria di mio padre e per sensibilizzare sui casi di malagiustizia. Colgo l’occasione per dare un segnale di vicinanza alle tante persone che hanno vissuto o stanno vivendo esperienze simili alla nostra: ci si sente emarginati, etichettati. I risvolti umani e psicologici sono parecchi ed è fondamentale non sentirsi soli”.

Per concludere, una considerazione logistica. Piazza Dante si trova di fronte alla Procura. Da una parte c’è la piazza, luogo del popolo, luogo in cui i cittadini s’incontrano, e dall’altra una delle sedi del mondo della giustizia. È un simbolo?

“Non conosco bene la conformazione del centro di Bergamo, perché quando sono stata in città mi sono sempre recata al carcere da mio padre. Penso, però, che la giustizia sia una parte fondamentale della vita di tutti noi: sono convinta che chi la maneggia debba farlo con cura e se sbagliasse non dovrebbe essere promosso e avanzare nella sua carriera”.

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