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L'analisi

Atalanta, la Champions a -7: non è fallimento, ma un’occasione mancata

A inizio stagione pensare di entrare tra le prime quattro era quasi impensabile, ma il percorso lascia comunque rimpianti

È sempre stata lì. A volte prima, poi un po’ più dietro. Sembrava uscita dalla corsa, ci è rientrata. Ora, però, l’Atalanta e la Champions League si sono allontanate probabilmente in maniera definitiva: 7 punti da recuperare nelle ultimo trittico di giornate sembrano troppi.

Nel migliore dei casi, la Dea toccherà quota 67 punti, nel peggiore resterà a 58. Basta un punto per eguagliare l’anno scorso, due per pareggiare il 2018, tre per superare entrambe le annate. Il settimo posto sembra comunque garantito, ma non è detto che possa bastare per qualificarsi per una competizione europea. Dipenderà dalla Fiorentina, che finirà probabilmente dietro in classifica, ma è finalista di Coppa Italia e semifinalista di Conference League.

Vincendo una delle due andrebbe di diritto in Europa League, strappando il pass alla Dea, che resterebbe per un’altra stagione senza competizioni continentali. Tornando con la mente ad agosto e alle aspettative che circondavano la squadra, non dovrebbe essere qualcosa di sorprendente.

Il percorso però racconta altro. Perché come ha ripetutamente sottolineato Gasperini, l’Atalanta è sempre stata lì. Ha mantenuto il passo di Inter e Milan, ma anche della Roma. E neanche Juventus (che ha fatto su e giù con la penalizzazione) e Lazio sono mai scappate troppo lontano. Insomma, Napoli a parte, si è vista una Dea alla pari delle potenze del campionato.

Nessuno ha fatto lo scatto decisivo in avanti, tanto che è possibile che la soglia Champions sia appena superiore ai 70 punti. Sicuramente basterà una media inferiore ai due punti a gara per entrare tra le prime quattro. Come nel 2019, quando alla Dea ne furono sufficienti 69.

Non riuscire ad approfittare dell’annata molto altalenante un Milan ormai entrato in crisi, di una Inter che ha avuto grandi momenti di difficoltà o di una Juventus che nella prima parte dell’anno ha annaspato non è certo una colpa, ma un peccato probabilmente sì. Un’occasione mancata.

Demeriti da qualche parte ne esistono sicuramente, ma c’è anche un forte fattore di sfortuna. Un enorme fattore sfortuna. Le assenze a rotazione di Lookman, Zapata, Muriel e poi persino Højlund e Boga nel momento più delicato, più Palomino, Djimsiti, Koopmeiners, i cambi in porta, Zappacosta e Hateboer disponibili in maniera beffardamente alternata. Alibi no, condizionamenti sì.

Dubitare che si sia effettivamente fatto il massimo, anche al netto di diversi passi falsi evitabili, rischia di essere ingeneroso. A Salerno è emersa anche la stanchezza fisica e mentale di chi da troppo tempo tira la carretta, mischiata alla frustrazione di dover sempre vedere il piano gara rivoluzionato dagli infortuni e dalla discontinuità.

Si poteva fare meglio in alcune occasioni – pareggio a La Spezia, zero punti col Lecce, gli stop interni con Cremonese, Udinese e Bologna – poteva andare molto peggio in altre. Resta un principio: non è un fallimento e probabilmente nemmeno una delusione. Le chances però c’erano, concrete, che potrebbero non ripresentarsi a breve. E questo rischia di essere un amaro rimpianto.

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