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Lo spettacolo

Al Sociale Gregorio Samsa e la danza come esigenza vitale

Lorenzo Gleijeses, accompagnato nella regia da Eugenio Barba e Julia Varley, si confronta con Kafka, portando in scena la ricerca ossessiva della perfezione del gesto che diventa ricerca di sé, superamento dei limiti e del confronto conflittuale con il padre

Bergamo. “Gregor Samsa, svegliandosi una mattina dopo sogni agitati, si trovò trasformato, nel suo letto, in un enorme insetto immondo”. Un insetto dalle numerose zampe, che in Kafka è paura che pietrifica, diventa lotta e voglia di cambiamento in Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa, spettacolo portato in scena da Lorenzo Gleijeses al Teatro Sociale nella serata di giovedì 27 aprile (nella sezione Altri Percorsi del Donizetti).

Uno spettacolo (produzione Teatro Biondo Palermo e Gitiesse Artisti Riuniti in collaborazione con Nordisk Teaterlaboratorium) con la regia anche di Julia Varley ed Eugenio Barba, che accompagna da anni Gleijeses in un percorso che, in questo caso, si discosta dall’Odin Teatret nell’affrontare Le metamorfosi di Franz Kafka. Rimanendo distante dalle figure allegoriche del Nordisk Teaterlaboratorium, Gleijeses mostra “il lavoro del danzatore su sé stesso”, fatto di ripetizioni del gesto teatrale e coreografico alla ricerca quasi ossessiva della perfezione. Così, attraverso movenze simili ad impulsi, in gesti attoriali in perfetta sincronia con il sonoro, i movimenti ripetuti incessantemente da Gregorio Samsa diventano danza e, inevitabilmente, gesti di vita. Gesti ripetuti in uno spazio domestico e sicuro, che prende forma sulla scena grazie ad un pannello bianco come sfondo e quattro funi pendenti che sembrano richiamare gli angoli di una stanza, pilastri del luogo protetto dal quale il Gregorio di Kafka e di Barba non intende uscire. Una scenografia minimale, ideale cornice ad un Lorenzo Gleijeses in abiti scuri che si rifà all’ “insetto immondo” per stagliarsi ancor di più sopra lo sfondo. Un luogo sicuro per un gesto ed una parola svolti sempre a ritmo sostenuto, per sottolineare un animo inquieto, che muove il protagonista tra ansia e conflittualità.

L’incapacità di trovare un proprio posto nel mondo narrata da Kafka diventa, nello spettacolo, un malessere che porta il protagonista a scavare dentro di sé, una ricerca da portare avanti necessariamente attraverso l’arte e la danza. Una ripetizione del gesto, un perfezionismo ed un’affermazione di sé che porta il protagonista a scontrarsi con una famiglia che sembra non riuscire a comprenderlo. Una ricerca ed uno scontro all’interno dei quali confluiscono tre narrazioni: la biografia di Kafka, il Gregorio Samsa descritto dallo scrittore boemo e l’omonimo danzatore ossessionato dalle prove coreografiche in vista di un debutto sulla scena. Si confrontano così lo studio delle gestualità con un rapporto conflittuale, quello del protagonista con la figura paterna. Una “Lettera al padre” nella quale Kafka sottolinea la propria incapacità di emancipazione e l’impossibilità di trovare una via di fuga dalla famiglia, che sfocia in un confronto con la reale voce off del padre di Gleijeses, direttore artistico del Teatro Quirino. Un rapporto con l’altro sempre problematico, che si allarga anche alle figure del regista e della fidanzata.

Un confronto con l’altro che diventa poi lotta contro i propri limiti: all’interno del proprio luogo sicuro, infatti, Gregorio cerca un rapporto anche con chi può aiutarlo nell’affrontare i propri timori. Prende vita così un’involontariamente ironica telefonata allo psicologo, trasformatasi nella registrazione di un messaggio nella segreteria telefonica. Il racconto di un sogno, da parte di Gregorio, che altro non è che l’allegorica metafora narrata ne La Metamorfosi di Kafka, conclusasi anzitempo a causa del raggiunto numero di minuti disponibili.

In questo travalicamento di confini tra vita reale e performance teatrale, l’alienazione si manifesta sulla scena grazie a strumenti tecnologici che sembrano invadere lo spazio vitale, oltre che a bagliori che interrompono il bianco dello sfondo ed alle sonorità elettroniche di Mirto Baliai che accompagnano il ritmo sostenuto dello spettacolo. Un ritmo che accompagna Gregorio Samsa in una corsa continua ed affannosa verso il sole e verso la libertà, verso una luce che permette di uscire dalle inquietudini, attraverso un gesto performativo che propone un’arte in grado di lottare, incapace di soccombere al fallimento e ad un avvenire lontano dalle proprie ambizioni.

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