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L'intervento

La festa più bella. Il 25 Aprile!

L'intervento di Mauro Magistrati, presidente dell'Anpi provinciale di Bergamo, in occasione della festa della Liberazione

25 Aprile, 1° Maggio e 2 Giugno rappresentano l’architrave della nostra democrazia. Per chi si sente parte della comunità degli antifascisti, il 25 Aprile è probabilmente la più importante tra le date del nostro calendario civile.

Intanto perché senza quel giorno del 1945 non sarebbe stato possibile riconquistare nemmeno il 1° maggio, abolito dal fascismo, né si sarebbe arrivati all’istituzione della Repubblica che ogni 2
giugno celebriamo. Ma i significati del 25 aprile non si fermano soltanto alla mera celebrazione o a una successione di scadenze.
Infatti, quella data così impressa nella nostra memoria, costantemente rinnovata nelle opere che quotidianamente realizziamo, rappresenta anche e forse soprattutto il culmine dell’idea di riscatto: dopo la terribile esperienza ventennale del fascismo e i difficilissimi mesi della guerra civile, innervati da grandi paure e da altrettanto intensi entusiasmi, il 25 Aprile è la data che ha consentito ai cittadini del nostro Paese di poter tornare a immaginare il futuro e di pensarsi come parte integrante di una società democratica, di una società che condivide alcuni valori di base attorno ai quali costruire pezzi di comunità e di civiltà: libertà, uguaglianza, giustizia, solidarietà, accoglienza, sostenibilità.

Temi antichi e nuovi allo stesso tempo, tutti già inseriti, a pieno titolo, nella lotta partigiana e che hanno trovato un loro amalgama nel coraggio civile di quanti, sulle nostre montagne e nelle nostre pianure, hanno trascorso alcuni dei propri giorni più sofferti, sacrificando tutto ciò che avevano – a volte la vita stessa – per poterci consegnare un Paese diverso da quello che avevano conosciuto durante il regime di Mussolini.

La Resistenza che il 25 aprile celebra è stata una sorta di palestra, l’esercizio di una democrazia possibile: dall’8 settembre del 1943 al 25 aprile del 1945 donne e uomini hanno deciso, volontariamente, di prendere le armi o di sostenere attivamente chi lo faceva, per rifondare radicalmente un Paese. Certo la Resistenza non è stata una lotta di tutto il popolo, ma è stata la battaglia di una vasta minoranza attiva di uomini e di donne. Una minoranza che ha lottato per tutti. Per questo la Resistenza è di tutti, perché i pochi che la seppero fare sono stati espressione di ogni componente della società, diversa per condizione sociale, culturale, politica, per genere e generazione, per provenienza geografica e perfino per nazionalità. Questo è stata la Resistenza. E il contributo dei partigiani va ricordato senza retorica, ma pensando, come scriveva Nuto Revelli, che “«questo era il nostro partigianato: un’esperienza meravigliosa perché vissuta da gente diversa – mille tipi con mille idee – da gente diversa che si era ritrovata proprio nel partigianato, nella lotta. Gente comune, con pregi e difetti, non un esercito di santi”.

Ultimamente ci si chiede se 25 aprile sia una data divisiva. Noi rispondiamo di sì. Ed è giusto che lo sia, perché è una data spartiacque tra un prima e un dopo. Perché la Resistenza è di tutti se tutti si riconoscono nell’insieme di regole che la Repubblica si è data a partire dalla Costituzione. Il 25 aprile è divisivo perché disegna un confine tra chi si vuole pensare libero ed eguale dentro una società democratica e giusta e chi invece si richiama ai valori (o meglio sarebbe dire, disvalori) del fascismo.

Marca il segno tra noi antifascisti e chi vorrebbe restaurare un’ideologia basata sulla negazione della diversità. Indica l’essenziale frattura tra la nostra comunità aperta e plurale e quella di chi ancora si richiama a una mentalità razzista, patriarcale, gerarchica, corporativa, antifemminista. Tra chi ha ricevuto in dono la sovranità popolare che il fascismo aveva calpestato e chi, al contrario, usa strumentalmente il concetto stesso di sovranità per allontanare il nostro Paese dalla grande comunità progressista in Europa e nel mondo. Chi ancora abbraccia questi disvalori si colloca fuori dal recinto delle regole democratiche che stanno alla base della convivenza civile che il 25 aprile disegna ed è bene che non festeggi la Liberazione.

Il 25 aprile è dunque l’essenza dell’antifascismo, che non è stato solo un’opposizione alle barbarie del nazismo e del fascismo, ma è stato e continua a essere un caposaldo nella paziente opera di costruzione della società e della democrazia. Anzi, l’antifascismo si identifica nella democrazia, ne incarna i principii fondamentali. Antifascismo significa amore per la libertà, per la giustizia sociale. Antifascismo vuol dire impegnarsi per un Paese più equo e inclusivo. Per un welfare state che non lasci indietro nessuno.

Antifascismo vuol dire lottare – ogni giorno – per la piena e concreta attuazione della Costituzione repubblicana che quest’anno compie 75 anni. L’antifascismo e il 25 aprile non sono, come qualcuno vorrebbe far credere, la pura testimonianza di chi rivolge lo sguardo a un passato lontano, ma la premessa per guardare con fiducia e passione al domani, anche quando la realtà quotidiana ci sembra un incubo fatto di rigurgiti autoritari.

Per tutte queste ragioni è giusto che chi non si riconosce nei valori di umanità e solidarietà, non festeggi il 25 aprile. Ma non è giusto fare come ha fatto il Sindaco di Seriate: non si può negare la parola all’ANPI, l’erede della Resistenza, il custode di questi valori, la coscienza critica della società. Anche per questo oggi scendiamo in piazza, con la rinnovata voglia di scrivere una nuova storia nel solco dei valori della Resistenza partigiana. Il 25 aprile è questo: la capacità di immaginare un futuro migliore.

Mauro Magistrati, Presidente ANPI Provinciale di Bergamo

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