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Quel giorno a borno...

Emanuela Orlandi: 40 anni dopo si riapre il caso e il fratello cala l’asso, anzi no, cala il…Re (Cardinale)

A 40 anni dalla scomparsa di Emanuela Orlandi, la 15enne di Roma, una pista porta dal Vaticano a Borno, paese natale del cardinal Re

Aristea Canini e Pietro Bonicelli di Araberara – nel numero che trovate in edicola – ricostruiscono quell’incontro con il Cardinal Re nel 2017, quando davanti ai documenti sulla scomparsa di Emanuela Orlandi si irritò e chiuse l’incontro con la frase: “questi non devono uscire, non dico niente su queste cose”. Sono trascorsi sei anni, il fratello di Emanuela Orlandi la 15enne scomparsa nel nulla nell’estate del 1983 a Roma, ha fatto riaprire il caso. E quell’incontro a Borno con il cardinal Re ha oggi una valenza diversa. 

Due ragazze scomparse nel nulla, i Papi che si sono succeduti da quell’estate del 1983 che hanno invitato i famigliari a rassegnarsi e pregare.

Restava il mistero doloroso di cosa è successo veramente, i depistaggi, i silenzi. Non fosse che il fratello di Emanuela Orlandi non si è mai rassegnato, ha sempre preteso che quel mistero non restasse tale, che la verità venisse a galla. Che qualcuno sappia come siano andate le cose veramente è evidente. Quando nel 2017 salimmo a Borno a intervistare il cardinal Giovan Battista Re, avevamo con noi una cartella con dei documenti che provavano le spese (davvero ingenti) fatte dal Vaticano proprio per il “caso” di Emanuela, arrivati alla domanda su che cosa sapesse, il cardinale, fino a quel momento affabile, disponibile ad affrontare anche temi delicati come la morte improvvisa di Giovanni Paolo I (tranciante la sua risposta: “Diciamo che ci ha pensato la Provvidenza…”), si è irrigidito, ha scorso i documenti, ha cancellato interi passaggi e poi ha concluso irritato “questi non devono uscire, non dico niente su queste cose”.

Alcuni documenti era firmati dall’allora assessore della segreteria di Stato. L’attuale direttore del quotidiano “Domani”, Emiliano Fittipaldi ha avuto in mano quei documenti.

Che si dica il peccato e non il peccatore è un leit motiv della Chiesa Cattolica e ormai di tutto il resto del mondo. Ma quando il peccatore è indispensabile per risalire al peccato che si fa reato le cose cambiano. E in questa storiaccia che comincia nell’estate del 1983 e non è più finita c’è di mezzo davvero di tutto e anche troppo, e si arriva a toccare il cielo con un dito, ma qui non è il romanzo di Moccia, e per cielo si intende anche un Santo, Papa Giovanni Paolo II cioè Karol Wojtyła e il Decano del Collegio Cardinalizio Giovan Battista Re. Due pezzi da novanta, anzi da 100.

Giovan Battista Re che qui in queste valli è nato, a Borno, Valcamonica, e a Borno era arrivato grazie a lui Papa Giovanni Paolo II. Ma qui finiamo in altre storie. Qui si parla di Emanuela Orlandi, la ragazza scomparsa nel giugno di quel 1983, di cui in queste settimane si è tornato a parlare e di un filo diretto che unirebbe come un filo di Arianna Karol Wojtyla, Giovan Battista Re, altri prelati e lei. Tutto in realtà comincia, o meglio ricomincia, nel 2017 quando Emiliano Fittipaldi (ora direttore di Domani) racconta di essere venuto in possesso di alcuni documenti davvero particolari: “…C’erano dei fogli: una lettera di cinque pagine, datata marzo 1998. È scritta al computer o, forse, con una telescrivente, ed è inviata (così leggo in calce) dal cardinale Lorenzo Antonetti, allora capo dell’Apsa (l’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), ai monsignori Giovanni Battista Re e Jean-Louis Tauran. Al tempo, Giovanni Battista Re era il sostituto per gli Affari generali della segreteria di Stato della Santa Sede; Jean-Louis Tauran era il numero uno dei Rapporti con gli stati, un’altra sezione del dicastero della Curia romana che ‘più da vicino’, come spiega il sito del Vaticano, ‘coadiuva il Sommo Pontefice nell’esercizio della sua suprema missione’. Insomma, Re e Tauran erano nei vertici della Curia e, secondo l’estensore del documento, si sarebbero occupati direttamente della vicenda Orlandi. Il nome di Re era spuntato fuori già dalla lettura della prima sentenza istruttoria sul caso, firmata dal giudice Adele Rando nel 1997.
La presunta missiva di Antonetti, come molte altre a cui ho avuto accesso nelle mie inchieste sulla Santa Sede, non era firmata a penna. Alla fine, l’autore chiariva che non era stata nemmeno protocollata, “come da richiesta”. Leggo il testo della prima pagina tutto d’un fiato.

“Resoconto sommario delle spese sostenute dallo Stato Città del Vaticano per le attività relative alla cittadina Emanuela Orlandi (Roma 14 gennaio1968),”, è il titolo.

“La prefettura dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica ha ricevuto mandato di redigere un documento di sintesi delle prestazioni economiche resosi necessarie a sostenere le attività svolte a seguito dell’allontanamento domiciliare e delle fasi successive allo stesso della cittadina Emanuela Orlandi. La sezione di riferimento, sotto la mia supervisione, ha provveduto a raccogliere il materiale attraverso gli attori dello Stato che hanno interagito con la vicenda”. Fittipaldi ha raccontato e documentato, alcuni hanno sostenuto che i documenti fossero falsi, intanto però i documenti hanno cominciato a circolare in alcuni ambienti e il fatto che siano arrivati divieti e chiusure da parte di alcuni ambienti del Vaticano fa sospettare o addirittura per induzione fa pensare che questi documenti in realtà siano veritieri. E questi documenti sono tornati alla ribalta in queste settimane, non tutti però. Ma quali sono questi documenti? Quello che balza all’occhio è l’attività di Analisi per ‘le spese sostenute’. I documenti riguarderebbero la parte relativa ai pagamenti per i quali è stata rilasciata quietanza, sono presentati in forma di resoconto bancario le quantità di denaro utilizzate e prelevate per spese non fatturate. Il periodo va dal 1983 al 1997, quindi Emanuela Orlandi sarebbe vissuta sino al 1997. La somma totale investita in quel periodo sarebbe stata di 483 milioni di lire. Comunque, l’elenco delle spese riempie le pagine due, tre, quattro e in parte la cinque del rendiconto. E ci sono anche spese strane, la prima voce infatti riguarda il pagamento di una ‘fonte investigativa presso Atelier di moda Sorelle Fontana’. La Orlandi, nell’ultima telefonata alla famiglia prima della sparizione, aveva in effetti detto che qualcuno le aveva proposto di pubblicizzare i prodotti di una marca di cosmetici, la Avon, durante una sfilata delle stiliste Fontana. Per la fonte, la Santa Sede aveva sborsato 450.000 lire. C’era un’altra spesa per la ‘preparazione all’attività investigativa estera’ costata altre 450.000 lire, uno ‘spostamento’ di ben 4 milioni di lire e, soprattutto, le ‘rette vitto e alloggio 176 Chapman Road Londra’.

Ma chi ha redatto il documento, aveva però scritto male l’indirizzo, a quello esatto infatti si trova la sede londinese dei padri scalabriniani che dagli anni ’60 gestiscono un ostello della gioventù destinato esclusivamente a ragazze e studentesse. Nel primo triennio, quindi dal 1983 al 1985, sarebbero stati versati 8 milioni di lire di rette.

Nella prima pagina si parla anche dell’ ‘Indagine formale in collaborazione con Roma’ e con l’attività di indagine riserva extra ‘Commando 1 direzione diretta dal Cardinale Casaroli’ e Casaroli era il Segretario di Stato. E poi molti soldi per depistaggio, per spese mediche che riguardano anche il medico personale di Papa Giovanni Paolo II che sarebbe andato a Londra e pure ‘specialisti in ginecologia’. E poi c’è il capitolo finale che è un pugno nello stomaco ‘Attività generale e trasferimento presso Stato Città del Vaticano, con relativo disbrigo pratiche finali: L 21.000.000′ che riguardano probabilmente le spese per il funerale. Il documento circola nelle redazioni da un po’ di anni, le insabbiature e le coperture si sono sprecate in questi anni, ma la famiglia Orlandi non ha mai mollato. Se il documento sia vero o meno non si sa con esattezza, si parla di 197 pagine di fatture sparite, insomma, esisteva o esiste ancora un dossier su Emanuela Orlandi alla segreteria di Stato, mai consegnato alle autorità italiane. Ma perché tutto questo can can per la scomparsa di una ragazza quando di ragazze ne scompaiono ogni giorno?

Perché la chiesa di Giovanni Paolo II avrebbe fatto investimenti economici di questa portata e coinvolto i servizi segreti del Vaticano? Si cita un ‘Commando 1’, guidato direttamente da Agostino Casaroli, allora potentissimo Segretario di Stato della Santa Sede, con un gruppo di persone appartenenti anche ai servizi segreti vaticani; il corpo della Gendarmeria ha funzioni di ordine pubblico e di polizia giudiziaria, ma svolge anche lavoro di intelligence per la sicurezza dello Stato. Che ci sia implicato un Cardinale non regge, di Cardinali implicati in scandali e poi scoperchiati dallo stesso Vaticano ce ne sono a bizzeffe, allora era il periodo di Paul Marcinkus, che non era Cardinale ma era più potente di molti Cardinali e finì dritto nello scandalo dello Ior, era chiamato ‘il banchiere di Dio’ o il Cardinale Groer, Arcivescovo di Vienna, numero uno della Chiesa austriaca, finito in uno scandalo sulla pedofilia e l’elenco potrebbe continuare.

Quindi perché tutto questo can can per Emanuela Orlandi?

Secondo qualcuno perché si potrebbe trattare di un coinvolgimento a un livello più alto di un Cardinale e sopra i Cardinali c’è solo una persona. Come mai nella nota sulla ragazza viene indicato che il capo della Gendarmeria del tempo, Camillo Cibin, avrebbe sborsato 18 milioni di lire, tra il 1985 e il 1988, per andare avanti e indietro da Londra? Chi sarebbe andato a trovare, qualche tempo dopo, il medico personale di papa Wojtyla, Renato Buzzonetti, insieme a Cibin, ‘presso la sede l. 21’, una ‘trasferta’ da 7 milioni di lire? Perché e a chi, all’inizio degli anni novanta, il Vaticano avrebbe pagato spese sanitarie – come segnala ancora l’estensore dello scritto – per i controlli (o addirittura un ricovero) alla Clinica St. Mary, sempre a Londra? Chi è andata, sola o accompagnata, a farsi visitare dalla ‘dottoressa Leasly Regan, Department of Obstetrics & Gynaecology’ dello stesso ospedale, un’unica ‘attività economica a rimborso’ di cui il capo dell’Apsa non indica la spesa precisa, invitando a leggere i ‘dettagli in allegato 28’?

A metà del 2017 il documento che qui pubblichiamo circola anche al Corriere della Sera e la famiglia Orlandi presenta un’istanza di accesso agli atti per poter visionare ‘un dossier custodito in Vaticano’. Il quotidiano accredita che il fascicolo possa contenere resoconti di attività inedite fino al 1997, con dettagli anche di natura amministrativa svolta dalla segreteria di Stato ai fini del ritrovamento’. Il Vaticano interviene subito, monsignor Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della segreteria, nega l’esistenza di qualsiasi carta riservata: “Abbiamo già dato tutti i chiarimenti che ci sono stati richiesti. Il caso per noi è chiuso”. Anche il cardinale Re interviene, assicurando che “la Segreteria di Stato” di cui nel 1997 lui era sostituto “non aveva proprio niente da nascondere”.

Anche noi di Araberara, come accennato sopra, nel 2017 siamo venuti in possesso dei documenti e con quei documenti siamo andati dal Cardinal Re a Borno, fine settembre, aria frizzante e il Cardinal Re che ci ha accolto con una tavola imbandita (non per noi: aspettava l’allora Ministro Giulio Terzi di Sant’Agata a pranzo. Nel suo studio la sorella ci ha servito karkadè e nocciole, poi una lunga chiacchierata sul suo ruolo in Vaticano, a quel punto abbiamo preso il faldone dei documenti che riguardavano Emanuela Orlandi e il Cardinal Re si è irrigidito, ha preso i fogli e ha tirato delle linee con la penna “questi non devono uscire, io non dico niente di queste cose”, e ci ha accompagnato alla porta. Decidemmo di non pubblicare nulla.

E arriviamo ai nostri giorni. Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, è riuscito a far riaprire il caso. E chiama in causa il Cardinale Re, il Cardinale Sandri, il procuratore Pignatone e i gendarmi Giani e Alessandrini. Pietro Orlandi nei giorni scorsi ha avuto un incontro di 8 ore con il promotore di giustizia di Papa Francesco, Alessandro Diddi. Il Vaticano ha deciso di aprire un fascicolo a quarant’anni dalla scomparsa della cittadina vaticana a Roma il 22 giugno 1983. Pietro Orlandi è stato ascoltato come ‘persona informata sui fatti’, ovvero come testimone, nell’ambito della nuova inchiesta. Il fratello di Emanuela ha riferito di aver fatto anche nomi eccellenti. Tra questi, quello del cardinale Giovanni Battista Re, attuale decano del Collegio cardinalizio. Re è una delle persone a cui era indirizzata la presunta ‘nota spese’ su Emanuela Orlandi. Ma non c’è solo questo.

“Re all’epoca stava sempre a casa nostra e aveva relazioni strette con l’avvocato Gennaro Egidio -ha detto Pietro Orlandi all’uscita dall’incontro con Diddi- Sapeva tutto quello che accadeva e qualche anno fa l’ho incontrato e mi ha detto che della storia Emanuela ha letto qualcosa. Dirmi così dopo tanti anni… è una delle persone a cui venivano mandati i cinque fogli sul trasferimento di Londra” ha concluso Pietro. Che poi ha fatto i nomi delle altre personalità segnalate al procuratore vaticano tra cui Giuseppe Pignatone e tutta quella questione delle intercettazioni della moglie di De Pedis: lo chiamavano il ‘procuratore nostro’ e dicevano “ci penserà lui a far tacere Orlandi”. Ha cacciato Capaldo e poi è stato promosso presidente del Tribunale Vaticano”.

 

orlandi cardinale re

 

LA COMPAGNA DI CLASSE DI EMANUELA

“Si confido con me…aveva paura, pensavo fosse per un ragazzo e invece….”
Riproduciamo integralmente la testimonianza della ex compagna di classe di Emanuela Orlandi che è stata raccolta per la serie tv Vatican Girl
“Grazie di essere venuta. So che è la prima volta che racconti questa storia.
Immagino che sia difficile per te. Grazie di avere avuto questo coraggio. Oggi tu stai parlando in incognito. Perché in incognito?”
“Perché mi sento più tranquilla. Sono più tranquilla. Anche perché riesco a parlare meglio di lei. Con Emanuela ci siamo conosciute perché andavamo a scuola insieme.
Abbiamo avuto una simpatia subito l’una per l’altra, quindi ci siamo trovate subito molto bene e ci siamo frequentate al di fuori della scuola. Era una ragazzina carina, una ragazzina acqua e sapone; la mia e quella di Emanuela sono state due adolescenze molto riservate. E i nostri genitori erano molto rigidi e molto cattolici. Però, comunque, ci piaceva fare la marachella; uscire di nascosto quando la mamma ci diceva “Non andare in giro!” magari ci allontanavamo un pochino, magari uscivamo dal Vaticano per andare a vedere un ragazzetto; quello che deve fare una ragazzetta di quella età, 14-15 anni.
L’ultima volta che io e Emanuela ci siamo viste è stato un giorno che Emanuela mi chiamò: la settimana prima che succedesse questa cosa… Giovedì 15 giugno 1983. Dice, “Senti, ci dobbiamo vedere perché io ho un segreto da confessarti, da dirti. Una cosa segreta da dirti. Ci siamo viste al di fuori del Vaticano, ma sotto casa sua. Io lì per lì ho detto: c’è qualche ragazzetto; però io capii subito che non era il segreto bello che io m’ero immaginata da come stava lei dal suo essere rigida; aver paura, anche vergogna forse.
E poi Emanuela mi ha detto – durante uno dei suoi giri vaticani – che una persona molto vicina al Papa l’aveva infastidita (sullo sfondo del racconto della testimone scorrono le immagini di Marcinkus e Wojtyla, ma io non credo che fosse stato Marcinkus ad aver molestato Emanuela, ndr).
“Usò queste parole”.
“Sì. Infastidita… non c’è una parola per definire questa cosa; a me è bastato proprio – te lo giuro – guardarla. E capii quello che voleva dire.”
“Tu sapevi che aveva a che fare con l’attenzione sessuale?”
“Assolutamente sì.”
“A chi doveva dirlo? L’ha detto a me pensando di liberarsi di sta cosa. Non ho fatto niente. Non lo so, non lo so… (si asciuga le lacrime con il senso di colpa, ndr).
La sensazione era anche un po’ sai, di vergogna. Ma… a parte, … noi a chi avremmo detto una cosa del genere? Chi avrebbe creduto a una cosa del genere? Due ragazzine che magari stanno insieme… se inventano qualcosa (con accento romano, ndr); non lo so, però veramente è la cosa più grande è stata di vergogna, di vergogna di dire una cosa del genere.”
“Però non c’era nessuno, lei era attaccata… all’interno della famiglia con cui si sarebbe confidata su questa cosa?”
“No, no su questo non credo lei si sarebbe mai confidata su una cosa del genere in famiglia.”
“… A me non hai raccontato: c’è un cardinale che mi ha importunata.
“Credo che sia importante dire questa cosa perché non l’ho fatto prima, e forse se l’avessi fatto prima, forse qualcosa poteva cambiare; non lo so, scusatemi (si mette a piangere, ndr)
“Tu hai paura che qualcuno del Vaticano possa vendicarsi?”
“Mah, io paura ce l’ho sempre perché purtroppo è un mondo brutto; dove tante cose non ce dovrebbero essere però ci sono.”

CHI È IL CARDINAL GIOVAN BATTISTA RE
Giovanni Battista Re è nato a Borno il 30 gennaio 1934 (83 anni). La sua famiglia (contadina) risulta presenta a Borno fin dal 1630. Il papà era falegname. Un fratello e cinque sorelle (una suora canossiana). Va in seminario a 11 anni, nel 1945. Ordinato sacerdote da Mons. Giacinto Tredici il 3 marzo 1957. Il Vescovo lo manda a Roma a perfezionare gli studi con la prospettiva di destinarlo all’insegnamento in seminario. Si laurea a Roma in Diritto Canonico presso la Pontificia Università Gregoriana. Dall’ottobre 1960 e fino alla fine del 1961 insegna in seminario a Brescia. Il 1 luglio 1963, dopo aver frequentato i corsi della Pontificia Accademia Ecclesiastica, è destinato come “addetto” alla Nunziatura Apostolica in Panama.
Nel 1967 viene inviato in Iran dove rimane fino al 1971 alla sede pontificia. Poi, nel gennaio 1971 torna in Vaticano come segretario dell’allora Sostituto Mons. Giovanni Benelli. Nel 1979 Papa Giovanni Paolo II lo nomina Assessore della Segreteria di Stato.

Il 9 ottobre 1987 è segretario della Congregazione per i Vescovi e segretario del Collegio Cardinalizio. Il 7 novembre 1987 è ordinato Vescovo direttamente dal Papa alla presenza dell’arcivescovo di Brescia Mons. Bruno Foresti e gli viene assegnato il titolo di arcivescovo di Vescovìo. Nel 1989 è nominato sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato. Il 9 giugno 1998 il Papa visita Borno e lo chiama “mio stretto, carissimo e fedelissimo collaboratore”. Il 16 settembre 2000 è nominato Prefetto della Congregazione per i Vescovi e Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (il 21 aprile 2005 lo confermerà nella carica Papa Benedetto XVI che accetterà le sue dimissioni il 30 giugno 2010).

Accompagna Papa Wojtyla spesso in viaggi all’estero. Gli viene assegnata la porpora cardinalizia il 21 febbraio 2001 da Papa Giovanni Paolo II. Viene chiamato in causa da Mehmet Alì Agca come “persona informata” sul delitto di Emanuela Orlandi (1983) ma segue smentita. Nel conclave del 2013 svolge il compito di decano del Collegio cardinalizio. Compiendo 80 anni, nel 2014, esce dal novero dei cardinali elettori in conclave. Il 10 giugno scorso Papa Francesco approva la sua elezione a vicedecano del Sacro Collegio.

IL RAPIMENTO
22 giugno del 1983, una ragazza sparisce per sempre dopo essere uscita dalla sua scuola di musica. Da quel momento in poi ci si addentra in una fitta matassa di misteri e di intrighi tra chiesa, Stato e organizzazioni mafiose. A distanza di quasi 40 anni, il fratello Pietro Orlandi è ancora in cerca di risposte. Quando si svolge la vicenda, Emanuela ha 15 anni e vive nella Città del Vaticano insieme ai suoi genitori e a 4 fratelli.

La ragazza aveva una passione e un talento innato per la musica, aveva appena terminato il secondo anno di liceo scientifico presso il convitto nazionale Vittorio Emanuele II ed era stata rimandata a settembre. Studiava flauto alla scuola di Piazza Sant’Apollinare a Roma e quel 22 giugno, dopo la lezione di musica, chiama la sorella Federica a casa per avvertire che avrebbe ritardato il suo rientro poiché aveva incontrato un uomo che le aveva offerto un lavoro di volantinaggio per la Avon. Federica però le consiglia di rientrare comunque e di chiedere il permesso ai genitori. Ma Emanuela le risponde di avere già accettato e quel pomeriggio scompare. Non vedendola rincasare, la famiglia si preoccupa subito e dà immediatamente l’allarme. La madre e una delle sorelle ripercorrono la strada fatta dalla ragazza fino alla scuola di musica, mentre Pietro fa la stessa cosa in moto. Erano entrati nel panico e non sapevano bene cosa fare, ma a tutti viene subito in mente quella strana proposta di lavoro con un compenso davvero troppo alto.

Il padre invece va immediatamente all’ispettorato di Polizia del Vaticano per denunciare la scomparsa della figlia. La prima reazione delle autorità è stata quella di minimizzare il fatto, supponendo che Emanuela si fosse solo dimenticata di avvertire. La denuncia non viene raccolta fino al giorno dopo, lasciando passare le prime 24 ore che sappiamo essere cruciali nei casi di sparizione. Una volta partita la denuncia, la prima mossa delle autorità vaticane è quella di avvertire il Papa Giovanni Paolo II, che al momento si trovava in Polonia. Ma perché scomodare subito il Papa? Qualche giorno dopo la scomparsa, il padre e lo zio di Emanuela tappezzano ogni angolo della città con dei manifesti con sopra la foto della ragazza ed è lì che se ne comincia a parlare, che il caso diventa ufficialmente pubblico. Da quel momento in casa Orlandi cominciano ad arrivare telefonate di persone che dicono di averla vista.

Le cose si complicano quando, dopo 11 giorni, il 3 luglio 1983, il Papa in persona fa un appello: “Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è in apprensione per la figlia Emanuela di 15 anni che, da mercoledì 22 giugno, non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso” (Giovanni Paolo II) Papa Wojtyla in persona aveva appena parlato di responsabili, quindi aveva praticamente detto che Emanuela era stata rapita da qualcuno, ma fino a quel momento nessuno aveva mai parlato di rapimento.

Questo appello fa esplodere il caso, il fatto che il Papa avesse dato la disponibilità della chiesa per aiutare la famiglia dà il via a una serie di pensieri, come il fatto che magari il Vaticano sapesse qualcosa. Due giorni dopo questo appello arriva una telefonata alla sala stampa del Vaticano da parte di un uomo con un forte accento anglosassone, che dice di essere uno dei rapitori della ragazza. Il giorno dopo ancora arriva all’ANSA un’altra telefonata dell’americano in cui finalmente fa una richiesta: il gruppo di rapitori avrebbe rilasciato Emanuela soltanto se avessero rimesso in libertà Alì Agca, condannato per il tentato omicidio di Giovanni Paolo II.

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