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Il dibattito

“Le mura di Bergamo”, il Covid e i bergamaschi: i lettori rispondono “Diamo una tregua alla nostra memoria”

Quanto è successo con il Covid-19 nel nostro Paese, e sul nostro territorio, è destinato a finire sui libri di storia, ma a noi che cerchiamo di comprendere il presente per immaginare un futuro, occorre la consapevolezza che l’identità collettiva di un popolo si forma anche attraverso il dimenticare

L’articolo sulla bassa affluenza nella sala cinematografica per vedere il film di Stefano Savona “Le mura di Bergamo” ha suscitato un dibattito. Di seguito pubblichiamo alcune delle lettere e mail inviate alla nostra redazione.

L’INDENTITÀ COLLETTIVA DI UN POPOLO SI FORMA ANCHE ATTRAVERSO IL DIMENTICARE

Stimatissimo Direttore,
partendo dalla considerazione che la pandemia da Covid-19 ha avuto un impatto totalizzante su di un’ intera generazione, ponendo le basi per una “Coronavirus Generation”, con Lei mi chiedo se tutto questo diventerà, un giorno, memoria collettiva. Eppure, a differenza di quanto da Lei scritto ieri, non mi trovo affatto sorpreso che solo poche decine di persone siano andate a vedere il film sul Covid “Le mura di Bergamo”; anzi trovo questo Suo voler considerare chi non ha minimamente pensato di andarci alla stregua di un disertore, superficiale ed impertinente.
Sarei più portato a pensare i non spettatori da lei additati, come persone che invece, consapevolmente, hanno scelto di non entrare in sala cinematografica per pudore e rispetto
di chi il Covid l’ ha vissuto sulla pelle, come contagiato, come operatore sanitario, come familiare di una delle tante vittime.
Il film “Le mura di Bergamo” dal punto di vista culturale, mi appare piuttosto come sintomo di un’ ossessione tutta contemporanea per la memoria, che ci porta, oggi, ad immaginare ed anticipare cosa diventerà domani memoria collettiva. Ma non è questo il momento della memoria, ed a mio avviso, è probabilmente necessario ci sia una tregua alla formazione di una memoria collettiva sul Covid-19.
Vedo dalle sue parole, il rischio di un accanimento della memoria, permesso che dopo una breve fase iniziale di massima attenzione, si sta passando ad una lunga fase successiva di dimenticanza. Non creda che il senso di oblio socialmente condiviso possa essere rallentato dalla frequente ripetizione dei fatti accertati nei media e nelle conversazioni di una comunità, perché noi non possiamo ricordare tutto e non possiamo dimenticare tutto. Caro Direttore, quello che è veramente tragico e che sono certo continuerà a scrivere, è la diserzione della nostre politiche che, come avvenne per la pandemia di Influenza Spagnola del 1918, la COVID-19 non stanno innescando cambiamenti strutturali a livello sanitario, scolastico, universitario e istituzionale.
Alessandro Messi

SBAGLIATA LA PROGRAMMAZIONE

In merito al flop del film penso che sia stata sbagliata la programmazione nelle sale soprattutto in questo periodo di primavera anticipata. Inoltre, ieri in città, c’era la sfilata di mezza Quaresima che sicuramente ha distratto molti Bergamaschi. Poi, chi viene dalla provincia trova difficoltoso entrare in città con tutti i lavori che stanno facendo. Se fosse stato programmato in inverno e nelle sale di provincia magari avrebbe avuto più spettatori. A me piacerebbe vederlo spero di riuscire e mi dispiace tantissimo che i bergamaschi abbiano dimenticato i giorni bui del Covid.
Scusate la mia osservazione.
Gianantonio Giazzi

LORO SONO MORTI, E NOI UN PO’ CON LORO

Caro direttore,
Io che, invece, ho visto la sala gremita e singhiozzante (io tra loro) in occasione del laboratorio teatrale agito dai medici del Papa Giovanni, potrei azzardare una risposta alle sue domande, sapientemente poste. Giorni Muti Notti Bianche ha messo in scena il dolore, autentico e profondo, di testimoni che hanno indossato le vesti degli attori per potersi finalmente staccare dalla loro pelle, per poter guardare dal fuori di loro la tragedia che hanno vissuto, per poterla rielaborare. È stato difficile essere spettatori, per una seconda volta, di quello strazio dove i protagonisti, in fondo, erano loro: i nostri padri, madri, nonni, zii e amici annientati da quell’orrendo virus. Loro sono morti, e noi un po’ con loro.
Ci distrugge, ancora oggi, averli lasciati andare via soli. Strazio nello strazio.
Si è colto perfettamente che, in sala, il pubblico era chiamato a raccogliere questo dolore, a riviverlo, a condividerlo per renderlo più sopportabile. Per tutti. Al pari di una terapia di gruppo. Non un film, non un documentario ma una rielaborazione collettiva. Qui sta la differenza nella partecipazione.
Cosa mi ha fatto bene di questa esperienza? Sentirmi dire dalla loro voce autentica e tremante che i nostri cari non sono morti soli. Lontani da noi, sì, ma non soli. Accanto ai nostri cari, c’erano loro: medici e infermieri con i loro gesti di cura. Per tutti c’è stata un’amorevole carezza. Loro li hanno guardati negli occhi mentre noi (figli, mogli, mariti, nipoti) eravamo appesi al filo di un telefono sperando nella buona notizia che non è mai arrivata. Loro sono stati gli ultimi ministri dell’umana pietà. E noi abbiamo bisogno di sentircelo dire, e di crederlo.
La ferita brucia, brucia ancora. Per tutto il resto – utile, pregevole, necessario – ci vorrà tempo. Quanto non si sa.
E.O.

NON SIAMO ABITUATI A PIANGERCI ADDOSSO E A METTERCI IN MOSTRA

Buongiorno.
Mi chiamo Beppe, 44 anni operaio e abito in Val Seriana. Ho letto il suo articolo sul film “Le mura di Bergamo”; avessi dovuto fare un pronostico sull’affluenza in sala per la visione di questo film avrei detto anche molto meno delle 70 persone che lei cita. Lei si chiede perché, io le posso dare alcune risposte del perché io stesso avrei appunto pronosticato il “flop al botteghino”.
E con questo non dico che sia un flop il film in se, ma solo l’affluenza in sala.

Punto primo perché siamo Bergamaschi, e a noi non piace metterci in mostra, farci vedere; noi lavoriamo nel dietro le quinte figurarsi andare a vedere una cosa che ci sbatte in primo piano.Un po’ lo stesso motivo per cui (sbagliando) non ci interessiamo molto del nostro passato e della nostra arte, e la mettiamo sempre in secondo piano rispetto alla storia e all’arte degli altri paesi o città. Non siamo mai stati capaci ne forse mai abbiamo voluto venderci o farci pubblicità, per primi a noi stessi.

Punto secondo, al cinema dopo una settimana di lavoro si va per svagarsi. Lei potrebbe ribattere che si vedono anche i film tristi: vero, ma quelli sono film che riguardano altre persone… Penso anche che dovessero trasmetterlo in TV sarebbe più visto che al cinema, moltissime persone al cinema non ci vanno nemmeno per vedere altro. Persone anziane che non vivono magari nei paesi dove il cinema più vicino è comunque troppo lontano. Il cinema è frequentato da ragazzi e ragazzini, famiglie e qualche coppia di fidanzati che a torto o ragione cercano appunto uno svago, un divertimento.

Terzo punto che si lega al primo: piangiamo i nostri morti in silenzio, senza fare rumore, senza disturbare. Soprattutto senza disturbare. Credo che mai si saranno viste in pubblico “scenate” a riguardo, per nessuna tragedia del passato che ci ha riguardato. Altri invece le fanno per molto meno. D’altro canto, il detto che meglio ci descrive da sempre un perché di essere tale lo ha;
Non è scritto a caso, e anche in questo caso calza a pennello…. carater de la razza bergamasca, fiama de rar ma sota la scender brasca…
In quel “fiama de rar” sta tutto. Una volta capito questo tutto è chiaro quando si parla dei bergamaschi.

Queste sono le risposte che io do alla sua domanda.
Buona giornata e buon lavoro
Beppe B.

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