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Progetto di crescita

Ricerca, la nuova strategia dell’Unibg: network europei e una struttura specializzata per affiancare i docenti

Giacomo Copani, Dirigente dell'Area Ricerca e Terza Missione dell'Università di Bergamo, illustra il cambio di rotta voluto dal rettore Cavalieri: "Vogliamo crescere, ma in modo identitario e legato alle caratteristiche del nostro territorio, per sviluppare modelli poi replicabili anche in altri ecosistemi simili al nostro"

Bergamo. Sette ricercatori dell’Università degli Studi di Bergamo inseriti nella classifica mondiale degli scienziati con il più alto livello di produttività scientifica: sono all’interno del 2% dei migliori al mondo, secondo la graduatoria elaborata dall’Università di Stanford, in collaborazione con Elsevier, e pubblicata dalla prestigiosa rivista scientifica PLOS Biology.

Si tratta dei professori Andrea Remuzzi, Silvio Vismara, Giampietro Cossali, Sergio Baragetti, Angelo Gargantini, Elena Cefis e Andrea Belleri. 

Un risultato straordinario per l’ateneo guidato da Sergio Cavalieri, sotto la cui direzione l’ambito della Ricerca è stato potenziato e indirizzato verso obiettivi chiari e definiti.

Lo sa benissimo Giacomo Copani, Dirigente dell’Area Ricerca e Terza Missione dell’Unibg, che guida una struttura recentemente potenziata e che ha l’obiettivo di affiancare i docenti in quel dedalo che negli ultimi anni è diventato il percorso di riconoscimento della loro attività di ricercatori, soprattutto in campo europeo.

“La classifica stilata dell’Università di Stanford è un po’ tecnica, ma è guidata da alcuni razionali particolari che portano alla definizione del ranking – spiega Copani – Sostanzialmente tiene conto di un ‘indice della citazione’, che va a pesare quanto i ricercatori siano stati citati negli articoli scientifici in base alle loro pubblicazioni. Ma conta anche la rilevanza della citazione: quella in una rivista specializzata, ad esempio, conta di più di quella in una conferenza”.

“Io sono arrivato a Bergamo perché il rettore Cavalieri, nel momento del suo insediamento, ha voluto puntare con decisione sulla ricerca – spiega ancora Copani – I sette professori inseriti nella graduatoria della Stanford possiamo dire che sono ‘outstanding’, si sono distinti nel campo della ricerca muovendosi sostanzialmente in autonomia. Hanno sicuramente vissuto un ateneo nuovo e in crescita, ma senza quelle opportunità di supporto che la nuova governance sta mettendo in campo. Nel loro immenso lavoro avranno incontrato tantissime difficoltà: quando uno vuole fare ricerca a quei livelli deve essere innanzitutto bravissimo, e loro lo sono, ma poi si deve anche creare un network internazionale di docenti eccellenti, e questo è decisamente meno semplice. Ora l’Università di Bergamo, in modo strutturato e grazie al lavoro dell’Ufficio Ricerca, sta spingendo tutti i docenti a crearsi reti di quel tipo: abbiamo portato l’ateneo a fare da membro in molti network europei che contano, come le piattaforme tecnologiche europee dove si ritrovano università e imprese che suggeriscono di fatto alla Commissione Europea le priorità di ricerca da finanziare. Siamo quindi arrivati al tavolo di chi conta in questo ambito, oltre a essere inseriti in tutti, o quasi, i cluster tecnologici di Regione Lombardia”.

Una strategia nuova, che l’Università ha voluto mettere in campo dopo che per anni si era concentrata sulla crescita dimensionale dell’ateneo, che l’hanno fatta rientrare tra quelli medio-grandi grazie a una serie di investimenti lato education e corsi di laurea: un percorso che, si augurano i vertici, possa essere altrettanto proficuo anche nel campo della ricerca.

“Ed è un lavoro che stiamo costruendo proprio attorno a questi profili di eccellenza che la nostra Università già vanta – conferma Copani – Possono essere dei catalizzatori, di gruppi di lavoro, network internazionali e nuove attività. Non sono gli unici ricercatori a farlo, ovviamente, e oggi abbiamo aperti circa una cinquantina di progetti di ricerca finanziati a livello nazionale e 15 a livello europeo. Quindi Bergamo è già nel giro della ricerca italiana e internazionale. Aggiungiamoci poi i 6 grandissimi progetti legati al Pnrr, con un budget complessivo di circa 31 milioni di euro. Ma vogliamo continuare a crescere e per farlo occorrono investimenti”.

Quali? Innanzitutto in una struttura più solida a livello di Ufficio Ricerca e di Dipartimenti, con risorse interne impegnate anche per riuscire ad attrarre talenti stranieri.

Ma la crescita dell’Università di Bergamo non vuole essere indiscriminata. Anzi, tutt’altro.

“Vogliamo che sia guidata da un’identità precisa – illustra Copani – Siamo un ateneo basato a Bergamo, operiamo in un contesto che ha peculiarità uniche in Europa, con una grande densità di Pmi innovative che si distinguono in settori e nicchie industriali e sono disseminate in un territorio complesso che vede una città di media dimensione circondata da aree montane e rurali, con infrastrutture per questo complicate. Un territorio che ha fabbisogni specifici e ha un’elevata vocazione turistica. Per noi sperimentare nuovi modelli di innovazione all’interno di questo scenario è un unicum a livello Europeo: l’obiettivo è mettere a punto modelli di ricerca in territori complessi, che possa essere da esempio per altre aree con caratteristiche simili alle nostre“.

Per questo motivo l’Università ha stretto alleanze con atenei simili in giro per il Vecchio Continente, tre i quali Amiens, Weimar, Katowice e Blekinge: insieme stanno portando avanti un progetto europeo di consorzi universitari che sviluppano queste tematiche e offrono un determinato tipo di formazione agli studenti.

“Stiamo crescendo nella ricerca, ma lo vogliamo fare in modo identitario in relazione al nostro territorio, con un ruolo che può essere unico nel mondo – ribadisce il responsabile dell’Area Ricerca di Unibg – Non solo per impatto scientifico, ma anche economico: così facendo leghiamo il nostro tessuto industriale a quei territori, perché quando ci muoviamo lo facciamo sempre come ecosistema e possono nascere relazioni proficue. Recentemente abbiamo anche portato l’ateneo all’interno della New European Bauhaus, dotata di una piattaforma in cui fare networking, concepire progettualità di massa critica, lavorare a contatto con le istituzioni. Un’iniziativa orientata alla sostenibilità dei territori e all’inclusione sociale. È così che i nostri professori possono entrare in determinati network: se i sette ricercatori già ‘premiati’ per il loro lavoro lo hanno fatto in autonomia, noi adesso come università proviamo a mettere tutti i nostri docenti nelle condizioni per farlo”.

Ma c’è anche molto altro in questo percorso di accompagnamento, perché spesso il docente che vuole fare ricerca o partecipare a un progetto a livello europeo si scontra con una serie di adempimenti burocratico-amministrativi al limite dell’insormontabile. Ed è qui che ora sta intervenendo l’Università di Bergamo, in prima battuta stimolando alla partecipazione e in seguito mettendo a disposizione di chi decide di mettersi in gioco un team dell’Ufficio Ricerca che lo supporti in tutto e per tutto: dalle pratiche al tema della gestione della proprietà intellettuale, fino al project management. Ma nell’idea della nuova governance c’è anche quella di dare maggiori possibilità ai ricercatori eccellenti di esserlo, trovando il modo di garantire loro più tempo da dedicare all’attività di ricerca.

“Oggi avvertiamo la necessità di agire in questo modo a sostegno dell’attività scientifica – conclude Copani – Solo con una struttura specializzata di complemento e di massa critica si riesce ad aumentare le possibilità di successo. Ha comportato uno sforzo notevole anche per noi, che abbiamo dovuto investire parecchio sulla formazione interna per poter avere figure preparate su un tema tanto complesso: allo specialista scientifico ne va necessariamente affiancato un altro tecnico-amministrativo. Non si tratta solo di fatture o burocrazia, ma anche di conoscere a fondo tematiche come l’etica o saper sviluppare l’impatto previsto dei progetti in ambito ambientale, economico e sociale. Sono nuove competenze che vanno sviluppate se si vuole evolvere e competere in campo internazionale”.

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