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In tribunale

Omicidio di Fara, parla l’imputato: “Ero in un tunnel, volevo a tutti i costi riconquistare Romina”

Nell'udienza davanti alla Corte d'assise Carlo Fumagalli ha reso spontanee dichiarazioni: "Non vivo più, non parlo più, non capisco come posso aver fatto una cosa del genere. Ho paura ad incontrare i nostri figli"

Fara Gera d’Adda. “Non riesco ancora a credere a quello che ho fatto, anche perché in trent’anni insieme non abbiamo mai litigato, mai alzato la voce, non ho mai avuto atteggiamenti violenti nei confronti di Romina, nemmeno a livello verbale”.

È il giorno delle dichiarazioni di Carlo Fumagalli, il 49enne che davanti alla Corte d’assise del tribunale di Bergamo deve rispondere dell’omicidio della sua compagna, Romina Vento, 44 anni, avvenuto il 19 aprile 2022. Dopo essere andato a prenderla al lavoro, Fumagalli l’ha caricata in auto ed ha lanciato la vettura nell’Adda. Nell’abitacolo invaso dall’acqua, il 49enne ha afferrato la testa della donna e l’ha annegata, per poi fuggire raggiungendo l’altra sponda del fiume.

L’imputato ha voluto rilasciare spontanee dichiarazioni nell’udienza di venerdì 10 marzo ed ha cercato di spiegare, con la voce incrinata dal pianto, cosa lo ha spinto a commettere quel terribile gesto. Nessun dettaglio su quanto accadde quella sera della scorsa primavera, Fumagalli si è concentrato sulle motivazioni, sul suo stato d’animo, sul rimorso per aver tolto la vita alla compagna, per aver privato della madre i loro due figli, per aver fatto soffrire la famiglia di lei “che mi ha sempre accolto come un figlio, mi volevano bene”.

“Io e Romina eravamo insieme dal 1997, abbiamo cercato di costruirci una vita stabile, di crescere i nostri bambini in modo adeguato – ha spiegato -. Ma mi sono accorto che negli ultimi anni davo tutto per scontato, forse non vedevo più i suoi bisogni. Già dall’estate mi ero accorto che c’era qualcosa di diverso, che i suoi sentimenti nei miei confronti erano cambiati. Così ho cercato di rimediare ma più io mi avvicinavo più lei si allontanava e io cadevo in depressione. Ero assillato dai dubbi, volevo recuperare il rapporto a tutti i costi ed ho iniziato a farmi aiutare da uno psicologo”.

Fumagalli aveva convinto anche la compagna ad andare con lui a qualche seduta: “In quella sede ammise che mi voleva bene, ma la passione non c’era più. Io ho avuto un crollo. Da gennaio non dormivo più, avevo brutti pensieri, paranoici, pensavo ci fosse qualcuno che mi spiasse, che mi ascoltasse. Vedevo nero, senza di lei non avevo più speranze, mi immaginavo in un tunnel buio dal quale non riuscivo a riemergere. Fuori dal lavoro dovevo stare con lei, se non la vedevo mi mancava l’aria. Ho iniziato a stare male a gennaio, ma a marzo e aprile è stato il picco: non andavo più nemmeno a trovare i miei, dopo il lavoro andavo subito a casa, la assillavo cercando di riconquistarla, ma lei si sentiva soffocare, ho peggiorato la situazione con il mio atteggiamento. Lei aveva il diritto di essere felice e io gliel’ho tolto. Ora in carcere la sogno 8 notti su 10, è un pensiero fisso. Non parlo più, sto tutto il giorno in branda. Non mi perdonerò mai”.

La volontà di riconquistare Romina ha indotto l’operaio ad abbandonare la terapia: “Volevo dimostrarle che ero un uomo, che sarei riuscito da solo, con le mie forze, a tornare come prima. Ma senza medicine la mia condizione si è aggravata. Mi sentivo osservato anche al lavoro. Non riesco proprio a capire perché ho commesso un gesto del genere. Pensare che fino a due anni fa andavamo al cinema, a cena fuori, alla spa. I figli crescevano, eravamo tutti sani, eravamo una bella famiglia. Cosa ho fatto…”.

“Ora vedo le mille strade che si potevano percorrere, anche da separati. Potevamo essere più complici, più felici, anche se non stavamo più insieme. Ogni giorno il peso che mi porto dentro cresce sempre di più – aggiunge -. Non ci arrivavo a dirle: “Sei stanca? Hai avuto un turno pesante al lavoro? Non cucinare, vieni che ti porto a mangiare una pizza””.

L’imputato si è poi detto rammaricato per il dolore che con il suo gesto ha procurato a tutti coloro che amavano la vittima: “Capisco che il perdono è impossibile. Penso molto alla mamma di Romina, a suo fratello, ai nostri figli. Come posso incontrarli, dire loro che mi mancano, che voglio loro bene, quando ho tolto loro la mamma?”.

La prossima udienza, con la discussione, è stata fissata per il prossimo 12 maggio.

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