• Abbonati
Altri percorsi

“Dentro. Una storia vera, se volete”. Al Sociale in scena tabù e silenzi dell’abuso su minori

Ottima prova di Giuliana Musso e Maria Ariis, in un dialogo tra una regista teatrale ed una madre in cerca di un modo per dare voce al proprio dramma e a quello della figlia, abusata dal padre

Bergamo. “Buonasera. Io non sono un personaggio teatrale. Mi chiamo Giuliana, ho cinquant’anni, vivo a Udine. Io sono io. Un anno fa ho incontrato una donna. Si chiama Roberta, Ha la mia stessa età, vive a Milano, ha tre figli. Neanche lei è un personaggio teatrale. Lei è lei”. Nasce da un incontro reale, tra due donne, Dentro. Una storia vera, se volete, spettacolo teatrale proposto dal Donizetti nella sezione Altri Percorsi, andato in scena giovedì 2 marzo al Teatro Sociale. Uno spettacolo nel quale Giuliana Musso, tra le esponenti più importanti del teatro d’indagine contemporaneo, interpreta sé stessa nell’incontro con Roberta (interpretata da Maria Ariis). Roberta interpella la regista per far emergere un dramma segreto e terribile, una vicenda di abuso sui minori, una violenza perpetrata dall’ex marito sulla loro figlia Chiara.

Un atto che per Roberta diventa ossessione, un dubbio che la attanaglia, visto che la giustizia non può rispondere ai suoi quesiti e che anche il rapporto con la figlia assume toni sempre più violenti, con Chiara che la ritiene una nullità, avvicinandosi ad odiarla. Un comportamento che la madre cercherà di analizzare, alla ricerca di una rivelazione piena da parte di Chiara che possa dare un senso a quel dolore, di fronte anche ad una giustizia impotente di fronte ad un fatto di tale portata.

La vicenda rimane un segreto, un atto che deve rimanere tra le mura domestiche per mantenere le apparenze, una dimensione privata che per le vittime rimane immutabile. Un segreto privato che diventa censura e poi tabù, un monito in grado solo di nascondere la violenza, senza affrontarla. Avvocati, carabinieri, psicologi, magistrati: diversi esponenti di un campo giudiziario che non sembra volere (più che avere) una conclusione giusta della vicenda, incapace di formulare sentenze in merito a tabù della società che devono rimanere relegati all’oblio.

Così, lungo i tredici capitoli del racconto, Giuliana Musso e Maria Arris portano avanti un discorso sulla giustizia che riflette in maniera particolare sulla verità e sul proprio valore. Verità che diventa coscienza personale, verità della quale molti hanno paura, ma per la quale non si può tacere. Verità necessaria, per dare di nuovo valore alla persona abusata ed alla definizione stessa del crimine, che deve essere riconosciuto e punito dalla società, non taciuto. Verità necessaria per conoscere il vero volto della violenza, raffigurato cromaticamente sulla scena dal colore rosso, diventato simbolo del contrasto alla violenza di genere.

Dodici sedie rosse circondano, su una scena spoglia, le due attrici, che nel corso dello spettacolo interagiscono con queste, quasi simbolo della rigidità normativa e della superficialità nella comprensione che le istituzioni adottano nell’affrontare il caso.

Rimane quindi il dolore, di una madre e di una figlia, che sfocia in un rapporto che, nella violenza fisica e verbale di Chiara (solo richiamata dalle attrici) vede i segnali dell’isteria analizzata e descritta da Freud, originata in traumi di natura sessuale provati nel corso dell’infanzia.

Un dolore che Giuliana Musso descrive, anche attraverso un richiamo ai diversi protagonisti della vicenda, ma che mai esplode nel corso dello spettacolo. Un dolore che, pur nel crescendo della sua drammaticità, rimane composto, quasi occultato come la violenza che nessuno vuole chiamare con il suo nome. Una tranquillità che evita di scoppiare, così come l’occultamento della violenza permette di non lacerare l’animo di chi quella stessa violenza l’ha subita. L’esistenza però continua con un “Dentro”, un’indagine che scava nel profondo dell’animo e che, parallelamente, si misura con ciò che trova all’esterno. Un’analisi che, per essere piena e consapevole, deve avere l’appoggio dell’altro, un altro capace di affrontare il tabù per esserne veramente cosciente. “Una storia vera, se volete” recita il titolo dello spettacolo. Una volontà necessaria per cogliere il male della società ed affrontarlo, anche a costo di trovarsi di fronte a dolori inspiegabili.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI