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Le carte

Inchiesta Covid: cosa successe nei 5 giorni della mancata zona rossa, secondo la Procura

Tra gli indagati ci sono i membri del Comitato Tecnico Scientifico che, secondo i pm, effettuarono errori di valutazione che portarono alla diffusione incontrollata del virus

Bergamo. La loro colpa, secondo la Procura di Bergamo, risiederebbe in errori di valutazione che li avrebbe indotti a non estendere la zona rossa ai Comuni della Val Seriana, in particolare ad Alzano e Nembro, nonostante il continuo aggiornamento circa l’aumento del numero dei casi di Covid in Lombardia.

Un atteggiamento che, secondo quanto riportato nell’avviso di conclusione indagini, “cagionava la diffusione dell’epidemia di Sars-Cov-19 in Val Seriana mediante un incremento stimato non inferiore al contagio di 4.148 persone, pari al numero di decessi in meno che si sarebbero verificati in Provincia di Bergamo, di cui 55 nel comune di Alzano e 108 nel comune di Nembro, rispetto all’eccesso di mortalità registrato in quel periodo, ove fosse stata estesa la zona rossa a partire dal 27 febbraio 2020”. Con l’aggravante di aver cagionato la morte di più persone.

Indagati i membri del Comitato Tecnico Scientifico

Gli indagati in questione, per il reato di epidemia colposa, sono i membri del Cts, il Comitato Tecnico Scientifico istituito con decreto del Capo Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri il 5 febbraio 2020.

Ci sono Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto Superiore di Sanità; Claudio D’Amario, direttore generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute; Mauro Dionisio, direttore dell’Ufficio di coordinamento degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del Ministero della salute; Giuseppe Ippolito, direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive Spallanzani; Franco Locatelli, presidente del Consiglio Superiore di Sanità; Francesco Maraglino, direttore dell’ufficio V della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute; Giuseppe Ruocco, Segretario generale del Ministero della Salute; Andrea Urbani, direttore generale della Direzione generale per la Programmazione sanitaria del Ministero della Salute e Agostino Miozzo, coordinatore del Cts.

Il reato che viene loro contestato è quello di epidemia colposa, insieme a Giuseppe Conte e Attilio Fontana, per i quali procede il Tribunale dei Ministri. Il periodo è quello tra il 26 febbraio e il 2 marzo 2020, giorno in cui il Cts, nel corso di un incontro con l’allora capo del governo Conte, evidenziava la necessità di istituire il lockdown nei comuni di Alzano e Nembro.

Le riunioni del Cts sotto la lente della Procura

Nel corso della riunione del 26 febbraio il Cts, secondo la Procura, valutò “non sussistenti le condizioni per l’estensione ad ulteriori aree della Regione, in particolare in Val Seriana, della zona di contenimento già istituita in Lombardia dal Dpcm del 23 febbraio per dieci comuni”. Questo nonostante, nel corso dell’incontro, i membri del Comitato “avessero dato atto dei casi positivi al coronavirus in Italia provenienti da aree della Regione Lombardia diverse dalla zona rossa fino a quel momento istituita”. In sostanza sapevano dei casi di Covid registrati al di fuori dei dieci comuni attorno a Codogno, ma non estesero comunque la zona rossa.

Lo stesso il giorno seguente, nella riunione del 27 febbraio, “nonostante avessero ricevuto un rapporto aggiornato dei casi totali registrati a quella data in Lombardia, pari a 401, con un incremento giornaliero, nel corso dei 5 giorni precedenti, di circa il 30%”.

Il 28 febbraio, “nonostante a quella data il Cts fosse a conoscenza del numero dei casi (531) registrati fino a quel momento in Lombardia (+ 130 in un solo giorno) e nonostante avessero a disposizione tutti i dati per stabilire che in Lombardia si sarebbe raggiunto il numero di mille casi dopo solo 8 giorni dall’accertamento del primo”, la zona rossa non venne ancora istituita. Eppure il Piano Covid, elaborato proprio da alcuni componenti del Cts e al quale lo stesso Comitato aveva deciso di attenersi, prospettava, già in condizioni come quelle accertate quello stesso giorno, lo scenario più catastrofico per l’impatto sul sistema sanitario e sull’occupazione delle terapie intensive.

Il 28 febbraio il Cts si limitò a proporre misure integrative al Dpcm vigente: chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, sospensione delle manifestazioni organizzate, degli eventi sportivi, dei concorsi, oltre alla diffusione di misure igieniche per la diffusione di malattie respiratorie.

Nemmeno il 29 febbraio e l’1 marzo si decise di estendere la zona rossa in Val Seriana “nonostante l’ulteriore incremento del contagio in Regione Lombardia con 615 casi al 29 febbraio e i 984 all’1 marzo, e l’avvenuto accertamento delle condizioni che, secondo il Piano Covid, corrispondevano allo scenario più catastrofico”.

E lo scenario catastrofico puntualmente si concretizzò come da previsioni. Si sarebbe potuto evitare? Secondo il pool dei pubblici ministeri bergamaschi, che lavorano all’inchiesta da più di tre anni, sì.

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