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La missione

Nepal, il medico bergamasco Maggi: “C’è ancora tanto lavoro da fare”

La testimonianza del dottor Roberto Maggi al ritorno dalla missione di gennaio e febbraio 2023

La recente missione in Nepal di Interethnos Interplast Italy, compiuta dal chirurgo della mano bergamasco Roberto Maggi, ha aperto nuove prospettive all’attività dell’Associazione confermando una situazione molto precaria nel paese, ma anche la forte volontà dei chirurghi locali ad implementare le loro conoscenze mediche e a rendere i loro ospedali più consoni alle necessità della popolazione. Qui di seguito, la testimonianza del Dottor Roberto Maggi al ritorno dalla missione di gennaio e febbraio 2023.

Come ha trovato la situazione sanitaria del Paese?

A 30 anni dalla mia prima visita, durante la quale ho viaggiato per turismo, ho trovato un’evoluzione in termini numerici della popolazione ed anche nei costumi, ora molto più occidentali: una popolo sempre ospitale e gentile. Questa è stata per me una missione esplorativa per cercare di capire cosa potesse servire e come poter essere utile. Ho visitato il Centro per le Ustioni Kirtipur, a Katmandu, che si occupa soprattutto di ustioni, una piaga impressionane per questo paese, una patologia diffusissima che porta ad una percentuale di mortalità molto alta. Le cause sono dovute al fatto che almeno il 50% della popolazione nepalese cucina in casa su un fuoco aperto posto al centro della stanza, un braciere che può avere anche il diametro di un metro. È quindi facile inciampare e cadere dentro il fuoco, soprattutto per donne e bambini, provocando ustioni superiori al 30%.Per ustioni di questa entità in Nepal si muore perché non è possibile adottare il tipo di terapia intensiva che abbiamo in Italia e quindi il numero dei decessi e degli invalidi è altissimo. Per questo motivo il nostro aiuto si concentra sulle patologie cronicizzate, non l’evento acuto che viene gestito da loro.
Il Dottor Shankar Rai, che è il responsabile della gestione media dell’ospedale di Kirkipur, è una persona molto abile e intelligente di grande esperienza, si è dedicato a creare rapporti con le amministrazioni locali in tutto il Paese, per cercare di creare dei punti di primo soccorso, quelli che ricevono il paziente che si è appena ustionato per trattarlo e reidratarlo nelle prime 24 ore per scongiurare l’immediato decesso. Lo scopo di questi punti periferici è quello di raccogliere i pazienti, salvarli dalla morte rapida e stabilizzarli e poi portarli a Katmandu nell’ospedale specializzato. Arrivare al centro specializzato non è semplice perché questi punti di Primo Soccorso sono anche a 100 km da Katmandu e per coprire questa distanza generalmente sono necessarie fino a 7 ore di viaggio. Mi sono reso conto di questa difficoltà partecipando a una riunione del Rotary locale, che si trovava presso uno di questi centri.

Quali impressioni ha riportato dalla sua esperienza nell’ospedale di Katmandu?

Per raggiungere Hetauda da Katmandu abbiamo impiegato circa 5 ore di viaggio, in montagna, con la jeep, su strade in cui riuscivamo a viaggiare dai 5 ai 20 kilometri all’ora perché sono strade impraticabili e trafficate. Strade sterrate, piene di buche e spesso interrotte dalle frane soprattutto nel periodo delle piogge da aprile a settembre, attraversate da veri torrenti. Il viaggio del
malato dal centro a Katmandu è una vera odissea soprattutto nelle loro condizioni. Il trasporto in elicottero ha costi talmente proibitivi che non viene effettuato. A Kirkipur viene effettuato il trattamento d’urgenza con innesti oppure quello degli esiti: molto spesso le persone arrivano in ospedale molto tempo dopo un’ustione più o meno estesa, son riusciti a sopravvivere ma
sono vittime degli esiti cicatrizzali dello loro stesse ustioni che gli impediscono, per esempio, di muovere il braccio paralizzato dalla cicatrice ed è quindi necessario intervenire con la chirurgia plastica. L’obiettivo è cercare di ricostruire un’elasticità dell’articolazione. Un’altra cosa che mi ha colpito è che, generalmente, in questi ospedali non arrivano le persone più indigenti
ma, sempre nell’ottica di un paese estremamente povero, arrivano persone che hanno un po’ più di possibilità. I più indigenti in ospedale non vengono ricoverati e sono circa il 20% della popolazione mentre chi ha qualche risorsa in più, può permettesti di partecipare alla spesa sanitaria e arrivare in ospedale. Significativi sono i dati di mortalità dei bambini: muoiono per le
ustioni ogni anno 34 mila bambini, per la tubercolosi 33 mila, per la malaria 15 mila. La malaria e la tubercolosi rientrano nei programmi di assistenza mentre le ustioni vengono gestite con strutture offerte dai privati . Lo Stato non assiste finanziariamente i malati di ustione. Questo luogo di pronto soccorso, sovvenzionato dal Rotary locali, è proprio destinato al pronto soccorso per ustioni.

L’obiettivo di Interethnos Interpalst Italy è quello di portare conoscenza.

Non partiamo con l’idea di dedicarsi esclusivamente alla chirurgia ma soprattutto di trasmettere competenze, che è poi quello che ci chiedono espressamente. Trasmettere conoscenza diventa un moltiplicatore di potenzialità: è come se al nostro ritorno le nostre mani rimassero a disposizione e aumentassero la possibilità di curare. L’importante è che i chirurghi locali imparino da noi e possano a loro volta trasmettere la loro esperienza. Non diamo il pane ma la lenza per pescare. Condivido appieno la linea di Interethnos Interplast Italy, dal mio punto di vista è il modo migliore di agire.

Generico febbraio 2023
Il dottor Mazza, secondo da destra, con alla sua destra il dottor Shankar Rai

Come è la situazione nell’ospedale di Pokhara?

Il Green Pastures Hospital di Pokhara, al contrario di quello di Katmandu, che è soprattutto di pronto soccorso, tratta principalmente gli esiti di queste patologie e disabilità provocata dalla lebbra. In Nepal la lebbra è endemica e si sviluppa in tutta la zona della pianura del Terai, lungo il confine con l’ India. La malattia è attiva e si trasmette in maniera molto subdola: nel corso degli
anni, se non curata con antibiotici tempestivamente, comincia lavorare e distruggere l’organismo , soprattutto il sistema sensitivo e motorio. I malati di lebbra sviluppano prima un’anestesia sensitiva, non avvertono per esempio il dolore da trauma, anche i più pesanti: la pelle perde le caratteristiche di idratazione, si ulcera e cominciano a perdere parte degli arti . Per quanto
riguarda la parte motoria, nella mano cominciano a perdere la possibilità di afferrare oggetti. Dal punto di vista pratico possiamo bloccare la diffusione della lebbra con l’antibiotico ma molto spesso queste persone sono malate e non si sono mai fatte curare per cui arrivano che non muovono più le mani o magari gli mancano dita, falangi o anche un piede o una mano. Nell’ospedale di Pokhara si fanno ricostruzioni della mano, del suo movimento mettendo i pazienti nelle condizioni di poter afferrare oggetti, per lavarsi e fare altre attività essenziali. Anche quest’ ospedale sta cercando di elaborare una rete di centri nel Nepal dell’Ovest, che raccolgano i pazienti e li convoglino a Pokhara dove c’è un chirurgo plastico che si occupa di questa patologia. Il chirurgo, dottor Suraj Maharjan lavora con l’aiuto di un altro chirurgo generale, in formazione. L’ospedale è ben strutturato, realizzato con prefabbricati a un solo piano, si trova in una zona ben tenuta e c’è anche una divisione di ortopedia, una di chirurgia e una di otorinolaringoiatria che vengono sostenute dalla presenza periodica di medici volontari europei, americani e di altre nazionalità.

Qual è stata la sua attività durante il soggiorno in Nepal?

Ho aiutato a fare degli interventi, un po’ formazione e mi piacerebbe anche ritornarci in modo più organizzato poiché questa è stata principalmente una missione esplorativa per rendermi conto di persona quale aiuto si potesse portare. La situazione è difficile: la popolazione molto dipendente dalla tecnologia su cui però mancano di competenze, un popolo che sta cercando di emanciparsi. Sono in possesso di strumentazioni mediche che ricevono dalla nostra associazione, che usano fino all’usura ma non sono in grado di ripararle e questa è una grossa criticità Non hanno i pezzi di ricambio ma neanche la capacità tecnologica per ripararli in caso di guasto. Non hanno il personale specializzato che sia in grado di farlo. Ci sono molti medici da formare, una classe medica composta di persone intelligenti e ricettivi che aspettano solo di essere plasmati di nuove competenze. Quando gli è possibile, mandano all’estero questi medici per una formazione specifica in
modo che quando tornano, siano in grado di formare gli altri. Come il Dottor Anurag Thapa che è appena rientrato dopo il suo periodo di formazione al Bufalini di Cesena. Un medico molto disponibile e ricettivo. L’altra soluzione è invece inviare in loco, come fa Interethnos, medici specializzati che facciano da tutor.
Una delle cose più belle che ho vissuto in Nepal è la riunione del mattino all’ospedale di Kirkipur, coordinata dal dottor Shankar Rai: nella riunione viene chiesto ai medici stranieri la disponibilità all’insegnamento, a spiegare durante la mattina le cose che gli altri medici devono apprendere, coinvolgendo anche chi è stato in formazione all’estero per confrontarsi sul trattamento dei casi. Lo stesso avviene presso l’ Ospedale di Pokhara. È un popolo che ha veramente voglia di emanciparsi e di imparare.

Di cosa hanno principalmente bisogno in questo momento?
Come ho detto hanno bisogno di molta formazione, di materiale ma soprattutto hanno bisogno di un sistema che li metta in condizione di riparare i macchinari che si rompono o si usurano. Sarebbe bello poter organizzare un centro di raccolta dei macchinari rotti o usurati dove ripararli e ridistribuirli agli altri ospedali. Un centro che potrebbe nascere ed essere strutturato in Italia e
poi trasferito in Nepal.

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